VIII
L'amore è il sole dell'anima, ha detto e stampato Vittore
Hugo, quando non contava che vent'anni, ossia quando nemmeno gli uomini di
genio hanno potuto ottenere dall'esperienza il permesso e il diritto di parlar
dell'amore, nè di nessuno degli altri enti morali che costituiscono l'infesta e
crudele famiglia dell'umane passioni; Vittore Hugo s'attenne poi al metodo più
sicuro per definire una cosa a rovescio, quella di non guardarla che da un
lato. - S'egli in quel punto si fosse limitato a descrivere la felicità, certo
vi sarebbe riuscito; chè egli amava allora, riamato, quella virtuosa e
leggiadra fanciulla, che poi sposò coll'assenso de' superiori, colla
benedizione dei parenti, con tutti i più felici augurj degli amici, colla
contentezza della Francia, che preconizzò altissime sorti al suo giovine poeta,
il quale si assestava nella vita con tutto il suo agio, stornando per sempre,
coll'applicazione di un matrimonio precoce, quelle feroci ambascie del cuore
che troppo spesso hanno la compiacenza persin di sfiancare i più robusti
intelletti. Così il primo poeta della Francia fece coll'amore la cura
dell'amore, e, avendolo in isbaglio preso per il sole, lo curava intanto al
pari di una malattia, innestandoselo come il vajuolo. L'amore è una malattia;
una delle più terribili malattie del genere umano, in quanto i nove decimi
degli uomini ne devono essere flagellati almeno una volta nella vita. Se non è
oggi, sarà domani, ma verrà il tuo giorno anche per te, o gaudente bevitore di
wermuth. Felici noi, soltanto, che, grazie al cielo non siam più di primo pelo,
e che, avendolo subìto a' nostri giovinetti anni colla sequela di non so quante
ricadute, ora, al pari di Renzo, possiam diguazzarci in mezzo al flagello,
sicurissimi d'andarne illesi. Ma chi fosse innamorato della definizione di Hugo
e sospettasse il paradosso nelle nostre parole, a persuadersi rifletta questo
fatto, che di tante centinaja di migliaja di suicidj onde l'umanità fu
contristata da Adamo in poi, di due terzi buonamente ne fu cagione l'amore; a
compire l'altro terzo, pare abbia contribuito la confraternita dei debitori.
Allorchè la favola inventò la camicia avvelenata di Nesso
che arse le immani membra del semidio Ercole,
côlto all'impensata, seppe ben ella cosa faceva; ma in Fedra, in Medea, in
Didone, nella Saffo, e a voler saltare più di due mila anni, in Gaspara Stampa
e in Properzia de' Rossi, che consolazione e qual sole sia l'amore, ognuno lo
può vedere, perchè l'amore, se non trova contrasti, si spegne o si trasmuta in
un'infiammazione benigna che non intacca l'appetito e non infesta le digestioni
e allora non è amore; e quando sia tale veramente, si crea i contrasti da per
sè, quantunque non ci provveda la perfida fortuna; inventa fantasmi e larve e
sospetti e affanni, e si confedera alla gelosia; ed è allora che esso entra nel
suo pieno stadio, nel suo più completo sviluppo, che assume le sue virtù più
micidiali, che fa scomparire il color vivo delle fronti, che emunge le guancie,
che turba il numero delle battute del polso, che toglie il sonno, che sfila e
sfianca anche le vite meglio costrutte dalla rigogliosa natura. O giovinetti, o
giovinette, o donne, o uomini, che versate in qualche periglio amoroso, o voi
tutti adunque che mi ascoltate, se mai il quadretto che v'ho delineato fosse
atto a produrre alcun effetto, fate buon pro dell'avviso, e ringraziatemi; e
chiudete i vostri cuori in fretta, come quando si chiudono le persiane al
comparir dell'uragano.
Così fossimo vissuti al tempo di donna Clelia e fossimo
stati suoi amici, e avesse ella potuto bere il contravveleno di queste poche
righe! ma, pur troppo, non siamo nati in tempo, e l'uragano scoppiò, e il suo
cuore, rimasto aperto, ne fu messo sossopra, e terribile uscì il malanno;
perchè potrebbe darsi benissimo che qualche testolina leggiera ne avesse a
ridere, ma noi non ridiamo: tanto quella donna era diventata infelice, chè
l'amore esaltato dalle furie della gelosia, era penetrato nel cuor suo per
siffatto modo, che ben poteva esser definito un tétano morale.
In quella notte del trionfo d'Amorevoli e della Gaudenzi,
preveduto, ne siamo quasi certi, dal primo, e per nulla aspettato dalla
seconda; tanto che, non sapendo darsene una spiegazione a sè stessa, ne
richiese, piena di meraviglia, lo stesso tenore che non le seppe dir nulla
(poichè se arrivava a comprendere il motivo per cui egli era stato così
festosamente accolto dal pubblico, non riusciva a capacitarsi perchè anche la
Gaudenzi dovesse avere una porzione di quegli applausi prodigati in via
straordinaria); in quella notte adunque la falsa diceria degli amori della
ballerina col tenore, aperse a tutta prima una profonda ferita nel cuore di
donna Clelia; chè la gelosia, stranamente immaginosa nell'inventar sospetti,
anche allora che nessun fatto vi dà argomento, aveva trovato in quelle voci il
naturale suo pascolo; pur tuttavia, per la relazione spontanea della stessa
passione ajutata dal desiderio, a poco a poco si lasciò persuadere dagli
interni ragionamenti a creder false tutte quelle voci, e si veniva così
rassicurando e quasi consolando; chè l'idea del gravissimo pericolo in cui ella
si trovava in faccia al marito, e in cui si trovava la sua fama in faccia al
mondo, se il vero si fosse scoperto, dopo il primo spavento, erasi quasi del tutto
dileguata; tanto l'amore è imperterrito. Ma la sventura volle che un cavaliere,
di quelli che in teatro esercitano l'officio di gazzettino orale e, raccolta
una notizietta alla porta, la sparpagliano di palchetto in palchetto col
cinguettio d'una cutrettola, volle dunque la sventura che colui entrasse da
lei, presente il conte ex-colonnello, a raccontarle che il Pretorio in quella
sera stessa aveva mandato d'ufficio un invito cortese alla Gaudenzi, affinchè
per il giorno susseguente dopo mezzodì volesse aver la compiacenza di recarsi
nelle sale della giudicatura per essere sentita intorno ad un fatto in cui essa
poteva avere qualche parte. Tale notizia era la pura verità, poichè il giudice,
al cui orecchio dopo molti giri e rigiri capitò pure la fama di quei pretesi
amori della Gaudenzi con Amorevoli, sospettando nella delicatezza generosa del
secondo il motivo del suo silenzio, pensò che sarebbe stato forse più facile
cavar la confessione sincera dalla bocca della Gaudenzi, e così poter mandar
libero e assolto da una imputazione gravissima un uomo, che in faccia al mondo
era fuori d'ogni dubbio innocente, ma non lo poteva essere in faccia alla
legge.
Ma quella notizia tornò a suscitar la tempesta nel cuore di
donna Clelia, che già erasi venuta tranquillando; e le si fisse in petto,
relativamente agli amori di Amorevoli colla Gaudenzi, con tutti i caratteri
della certezza, di quel genere di certezza che produce la desolazione. Il conte
marito e il cavaliere s'accorsero di un certo trasmutamento nel volto di lei,
onde ad una voce le domandarono s'ella si sentiva male, senza però insistere di
troppo, tanto erano lungi dal vero. Ma il ballo e l'opera finirono, il sipario
calò, il lacchè entrò nel palchetto, il conte e la contessa scesero nell'atrio,
salirono nel carrozzone, e in breve, ridottisi a casa, il conte
spagnolescamente accompagnò la contessa alle soglie del suo appartamento, ed
egli, come consueto, ritirossi nel proprio. - Or che notte fu quella per la
contessa Clelia! che irrequietudine, che affanno! Coloro che in questo punto
stanno comprimendosi le mascelle per uno spasmodico dolor di denti; quelli che
all'inattesa notizia di un grosso fallimento guardano spaventati al totale
rovescio dei proprj affari; quelli che si sentono annunciare dal medico che
bisogna risolversi all'amputazione di una gamba, han tutto il diritto di dire
che la contessa avea buon tempo, e che bisognava aver smarrita la ragione onde
pigliarsi tanto affanno per l'infedeltà di un tenore. - E il medesimo quasi
diciam anche noi, che non abbiamo nè dolori, nè gambe in pericolo, nè
fallimenti... Ma non per nulla abbiam detto che l'amore è una malattia, e che
la mente cessa di essere sana quand'è investita dai suoi roventi pensieri. -
D'altra parte quell'affanno veniva accresciuto alla contessa dal non avere a
chi confidarlo. Un male, soltanto a raccontarlo altrui, scema della sua
intensità. Ma la contessa non aveva amiche, non ne ebbe mai: e ciò non tanto
per la sua indole naturalmente altera, quanto perchè, cresciuta tra l'invidia
astiosa delle sue pari, che non poteano sopportare la superiorità del suo
ingegno e il prodigio della sua dottrina, si era venuta, a così dire, guastando
il sangue in quella necessità continua di render disprezzo per invidia. Ma
qualcosa conveniva pur fare, pensava la contessa nella veglia angosciosa di
quella notte; ma se Amorevoli era stato arrestato, qualunque fossero le sue
relazioni colla Gaudenzi, era pur stato côlto in un momento (e tal pensiero la
beatificava) in cui stava intrattenendosi seco in affettuosi e caldi parlari;
ma se Amorevoli si mostrò così generoso a tacere il suo nome, ella non doveva
permettere, serbando un vile silenzio, che quell'uomo avesse a subire tutte le
conseguenze d'una imputazione infame. Nella stretta di tali pensieri, e nel bisogno
che più e più sentiva di confidarsi a qualcuno, si ricordò d'una donna; di una
matrona milanese, colla quale erasi trovata due sole volte a parlare in tutta
la sua vita maritale; d'una donna che a Milano era l'oggetto dell'amore,
dell'ammirazione, della venerazione universale, e dal cui colloquio anch'ella
aveva raccolto un grande conforto; così grande che aveva potuto comprendere per
la prima volta com'è soave l'amicizia d'una donna, quando questa abbia tutte le
virtù che le son proprie, senza le sue debolezze. - Sapeva inoltre che colei,
quasi per una professione della vita, era stata ed era pur sempre
mediatrice pietosa, eccitatrice imperterrita di buone opere, benefattrice
instancabile, in molte gravissime contingenze in cui altri erasi trovato. Risolse
pertanto di recarsi da quella signora. - Questa si chiamava donna Paola Pietra;
severa come la vetusta Cornelia, in continuo lutto vedovile, andava essa
educando severamente due suoi figliuoli.
Le avventure di costei, fuori affatto di ogni ordine comune,
la costanza, la virtù, i sacrifizj, il coraggio che ebbe a mostrare in una
condizione di vita specialissima... tutto ciò aveva diffuso la sua fama per
tutta l'Italia ed anche per l'Europa; chè, già claustrale professa nel convento
di Santa Radegonda, ne era fuggita per adempiere il voto fatto in segreto a
Dio, di far cancellare da più alta autorità gli effetti d'una violenza che si
era voluto farle, spingendola renitente ai voti monastici.
Intorno a questa donna Paola Pietra, sta manoscritta una
relazione in una serie di motti volumi miscellanei raccolti da un padre
Benvenuto di Sant'Ambrogio ad Nemus di Milano, ed esistenti nella biblioteca di
Brera.
Il monaco suddetto comincia dal premettere al suo, come egli
stesso lo chiama - "Succinto rapporto degli avvenimenti della signora
donna Paola Pietra, uscita dal monastero di Santa Radegonda di Milano nell'anno
1730" - scritto di sua propria mano, pare, nel 1766; comincia, diciamo,
dal premettere "un'efficace invettiva contro il non mai abbastanza
detestato (sono sue parole), e dall'Italia principalmente non mai cacciato
abuso di sagrificare, o cogli artifizj o colle violenze, le povere fanciulle
allo stato religioso, a cui nè da Dio nè dalla loro inclinazione, sono
chiamate". Assicurando indi il lettore "che nella relazione (son pure
sue parole) non si dirà cosa veruna di cui non se ne abbiano autentiche
prove," viene a raccontar il fatto, dichiarando però di dover passar sotto
silenzio, per un certo riguardo, gli avvenimenti che precedettero la professione
religiosa fatta da donna Paola nel 1718.
Tali riguardi sembra che
fossero comandati al monaco di S. Ambrogio dall'esistere in Milano, nel momento
in cui egli scriveva, e dall'avervi grande autorità coloro, per colpa de' quali
la fanciulla Paola ebbe a sopportare tanta violenza. - Ma quegli avvenimenti in
prima da noi sospettati, poi inseguiti e sorpresi, a dir così, in alcuni cenni
sfuggiti quasi per inavvertenza ad altri paurosi autori di memorie intorno a
quel tempo, noi li verremo esponendo, giacchè non siamo condannati dai riguardi
che facevano ostacolo ai contemporanei di donna Paola. - Narrando la storia
della quale, se dobbiamo uscire per poco di via, dall'altra parte avremo facile
il mezzo di rilevare certi atteggiamenti particolari del pubblico costume, in
un periodo anteriore al tempo che ci siam proposti d'illustrare, ma di cui è
necessario conoscere quanto basta per valutare con più sicuro criterio il tempo
successivo. Vedrà inoltre il lettore, nel rovescio della medaglia che offre la
monaca di Santa Radegonda di Milano a suor Virginia di Santa Margherita di
Monza, che mai possa la forte volontà assistita dalla pura coscienza, e come il
solenne spettacolo d'una sincera virtù sia talora potente a placare anche il
decreto di consuetudini di ferro.
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