I
Se il lettore desiderasse di tener dietro alla povera
contessa Clelia, per conoscer tosto le sue risoluzioni e le conseguenze di
esse, noi ci troviamo nella necessità di non poterlo accompagnare, perchè siamo
invitati da altre persone, per esempio dalla
ballerina Gaudenzi, la quale in quella sera in cui il pubblico delirio toccò la
sua massima espressione al di lei riguardo, si trovò in camerino l'usciere del
Pretorio che le presentò una citazione a comparire; e subito dopo vide il
signor Lorenzo Bruni, violino di spalla per l'opera, e primo violino direttore
d'orchestra pel ballo; il signor Lorenzo Bruni venutogli innanzi agitato,
convulso, iracondo e cogli occhi stralunati; il quale, se in quella sera non
proruppe in parole violenti e non fece una scena dietro le scene, è perchè i
veglianti regolamenti proibivano a quelli dell'orchestra di andare in camerino,
ed egli comprendeva che, se i cavalieri ispettori chiudevano per lui, a loro
dispetto, un occhio su quella contravvenzione, perchè così voleva la da tutti
quanti idolatrata Gaudenzi, avrebbero còlto però assai volontieri la prima
occasione in cui egli avesse commesso qualche stranezza, per far ritornare nel
più crudo rigore i regolamenti del palco scenico. Però erasi limitato a dir
sottovoce alla Gaudenzi, ma con un fremito mal compreso:
- Che cosa dunque è successo, Margherita?
- Ma non siete contento? Non vedete, che pazzie fa il
pubblico per me?
- Pazzie, eh?
- O forse vi dà noia che il pubblico divida le sue grazie in
due esatte porzioni tra me e il tenore?
- Il tenore, eh?... il tenore... Ma sapete che cosa si dice
in pubblico di voi?... Ma sapete perchè il pubblico v'applaudisce?
- Gran novità da domandare e da sapere.... perchè il
pubblico m'applaudisce? Oh curiosa!.... perchè siamo belle, perchè siamo
divine, come dicono gli allocchi che vengono da me; perchè Tersicore
potrebb'essere la nostra fantesca, come dice il poeta di teatro; perchè, in
conclusione... Ma guardate che paio d'occhi mi fate ... Ma sapete che siete
bello stasera, ma bello assai... Oh che matto!
- Matto? Or sentirete se son matto, or sentirete che cosa
dice il pubblico di voi... Dice... dovreste per dio sentirvi a scottar la
faccia pel rossore della vergogna... Dice che il tenore stanotte era disceso
dalla finestra della vostra stanza, in quel punto che fu preso dal bargello...
- Ora ho capito, oh bella!... e una sonora e lunga e
giocondissima risata, di quelle che in buona lingua si chiamano cachinni, fu il
comento che la Gaudenzi fece a quella notizia inaspettata. Poi soggiunse: -
Guardate, Lorenzo, cosa c'è lì su quel tavolino.
- Che? una citazione?
- Una citazione, sì... ma ora comprendo tutto, oh bella,
bella davvero!
E per quella sera non ci fu altro, perchè il fischio acuto e
importuno dell'avvisatore costrinse Lorenzo ad affrettarsi in orchestra; e la
Gaudenzi, quando il ballo fu finito e rivide Lorenzo più torbido di prima:
- Addio, Lorenzo, gli disse; avete bisogno di dormire... e
di far buona cera; a rivederci domattina, caro; e vispa e vivace e saltellante
e sghignazzante l'aveva lasciato là senz'altro.
Ma la mattina venne presto, e quando fu un'ora ragionevole,
Lorenzo Bruni non si fece aspettare, ed entrato nell'angusto ma elegantissimo
appartamento della Gaudenzi:
- È alzata la Margherita? - domandò ad una zia di lei; una
zia rachitica e gibbosa, ma piena di acutezza, e che stava presso a quella
giovane beltà come il cane che ringhia sul tesoro messo sotto la sua custodia.
Lorenzo Bruni non aveva finito di nominar la Margherita, che
questa, coi capegli mal raccolti dalla notturna rete e fuggenti sulle spalle, e
in veste breve e discinta, dalla stanza da letto balzò con un salto nella
camera dov'egli trovavasi colla zia; e appoggiando ambedue le mani sulle spalle
di lui, fece due o tre battements rapidissimi, dicendogli intanto con aria
motteggiatrice e carezzosa:
- Siete guarito, Lorenzo? - e accompagnò queste parole con
quella giocondissima e suonante risata a lei abituale; suonante e leggera, e
nel tempo stesso plebea insieme e gentile, che assomigliava ad una scala
musicale o ad un vocalizzo, in cui le note spiccansi nette e granite; o che, se
il confronto non è troppo da naturalista, pareva il lieve e oscillante nitrito
di una cavallina che si stacchi allora dalla materna poppa. Lorenzo, venuto là
torbido e arrovesciato, com'ella ebbe finito di saltare e di ridere, non potè a
meno di spianare la sua fronte corrugata; tanto era completo e ricreante lo
spettacolo che, avvolta così a bardosso nelle bianche vesti mattinali, offeriva
quella regina della beltà, della gioventù, della salute e dell'allegrezza. E
tale davvero era la Gaudenzi, che, veduta a quell'ora, avrebbe fatto girar la
testa anche al rettore magnifico dell'università di Bologna. E tanto più
riusciva pericolosa, quanto più era inconscia degli effetti che produceva;
effetti che potevan suscitare incendj funesti, perchè nella vivacità romorosa e
irrequieta e, quasi diremmo, infantile, del suo carattere, ella celava una
calma profonda e inalterabilmente serena, cui nulla avrebbe potuto offuscare.
E a vedere com'ella moveva e girava quei suoi grandi occhi
azzurri, e come li fermava negli occhi altrui era imposibile credere che quegli
sguardi non avessero una significazione profonda; ed era impossibile a non
sospettare com'ella non fosse innamorata morta di chiunque, segnatamente se
fosse un bel giovane, che stesse parlando seco; e che il più delle volte,
infatti, beveva avidamente la luce di quelle pupille, esclamando fra sè con
gran tripudio: Son io dunque il fortunato! - Ma ella non ne sapeva nulla, tanto
era tranquilla e ingenua!! Ingenua, sì signori, quantunque da nove anni, (chè
allora toccava i diciotto) respirasse l'aria torbida e la polvere corrosiva del
palco scenico. Ma oltre ad essere perfettamente calma, era anche perfettamente
buona; e la calma e la bontà, moltiplicate per una salute non mai stata turbata
dal giorno che, bambina, aveva finito di metter l'ultimo dente, sino a
quell'ora, davano per prodotto il buon umore appunto, e l'allegria costante; al
che, se si aggiunga un'esistenza vissuta nell'agiatezza senza il fasto, tra gli
applausi senza l'invidia, nell'amore dell'arte che la preoccupava assiduamente
senza le amarezze di chi non è al primo posto, e tutto ciò col condimento di
un'ignoranza felice, ignoranza d'ogni altr'arte e d'ogni altra cosa; il lettore
potrà valutare completamente il fenomeno di questa figliuola ingenua della
natura, della natura che aveva voluto appunto sfoggiare tutti i proprj tesori
nel formarla e nel crescerla.
Ma in che rapporti viveva questa giovinetta di diciott'anni
con Lorenzo Bruni, e in che tempo si erano conosciuti e in che modo? e da qual
luogo erano usciti e l'una e l'altro?
Lorenzo Bruni aveva avuto per patria Treviso, dove nacque da
un padre notajo, trentacinque anni addietro. Anch'esso aveva atteso alla
giurisprudenza nello studio di Padova; ma essendosi applicato, così per
passatempo, a suonare il violino, e riuscitovi più che mediocremente, e fatto
con questo i primi guadagni a Venezia, e non colla giurisprudenza, la quale
invece lo aveva condannato alla soggezione di un padre insopportabile, tempra
curiosa d'uomo che forse suggerì l'idea di sior Todero a Goldoni; risolse di
non farne altro, e un bel giorno, senza domandare il permesso paterno e senza
nemmeno salutare i consanguinei, fece la scritta con un impresario, e passò da
Venezia a Bologna; e così, d'orchestra in orchestra, percorse le principali
città d'Italia. A Livorno s'impegnò in seguito con un impresario di Marsiglia,
e da questa città erasi condotto a Parigi, dove rimase un pajo d'anni. Libero
come l'aria e insofferente d'ogni benchè minimo legame, aveva scelto la
professione di suonatore appunto perchè, indipendente da qualunque padrone, da
qualunque paese, da qualunque autorità, cittadino di tutto il mondo, trovava
dovunque il fatto suo. E oltre a ciò, dotato di mente svegliatissima e istrutto
più che mediocremente, travasandosi di luogo in luogo, si godeva a notare le
varietà dei costumi, della natura dei paesi, dell'indole dei ceti, delle leggi,
delle corti, de' cortigiani, delle arti, ecc., e a far la conoscenza degli
uomini più distinti d'ogni città che visitasse; a Parigi, tra gli altri, aveva
avvicinato Voltaire e Rousseau e Diderot e d'Alembert. Quella sua natura
inquieta e libera, per la quale non aveva potuto sopportare il giogo paterno,
nè indursi a chiudersi in una città sola per tutta la vita, dimostra com'egli
fosse più adatto che mai ad esaltarsi alle idee di quei quattro atleti
dell'intelligenza, che erano destinati a far da leva al mondo invecchiato.
Fin da giovinetto, quantunque i precetti paterni avessero
fatto di tutto per chiudere il suo spirito in una scatola, egli aveva però
compreso, in confuso, che troppe cose non andavano bene intorno a lui; a
Venezia, per esempio, si era invelenito
pensando alla consuetudine delle denunzie segrete, e siccome aveva visto che
colà al reggimento della cosa pubblica non saliva che il patriziato, ad esso
dava colpa di tutto e l'aveva preso in odio con tutta l'esagerazione di un
giovane più caldo che riflessivo, il quale non guarda che un lato unico dei
prospetti umani. Nè, quando stette fuori di Venezia, potè mai nelle altre città
trovar cosa che placasse l'ideale delle sue aspirazioni; e allorchè, venuto a
Parigi e lette le prime opere di Voltaire, e sentitosi preso d'amirazione per
esso, udì poi raccontare il fatto, incominciato a tavola del duca di Sully, tra
Voltaire e l'arrogante marchese Rohan Chabot, e finito in istrada con quella
bastonatura che il nobile borioso avea fatto applicare, per vendetta, a
Voltaire; tanto più sentì crescere l'avversione verso quel ceto, il quale allora
almeno, se non cercava di aggiungere i proprj ai meriti aviti, si ajutava
d'orgoglio e di prepotenza per essere rispettato. E, in tale avversione,
Lorenzo non aveva nè modo nè misura; e quantunque ricevesse le sue impressioni
dalla realtà che lo circondava, pure, trascinato dall'imaginazione, o
infervorato dallo sdegno, della società di allora faceva piuttosto la
caricatura che il ritratto.
Avveniva pertanto che se, per esempio,
raccontavasi qualche bell'atto generoso di un qualche nobiluomo, egli se ne rodeva
come di una causa perduta, e cercava cento modi per offuscarlo; e invece, se
taluno della bassa plebe si fosse distinto per un qualunque nonnulla, ei ne
menava sì lungo scalpore, da provocare lo spirito di contraddizione anche in
coloro che pur la pensavano al pari di lui. Era insomma un uomo irrequieto, e
che malissimo s'adagiava nel suo tempo. - Ma, di tali uomini, in quel momento
critico della metà del secolo passato, ne eran nati parecchi, non si sapeva
come, in molte parti dell'Europa. Eran come quelle nuvolette bigie che si
mostrano a grandi lontananze e a vari punti dell'orizzonte su di un cielo tutto
sereno di un giorno d'estate e d'affannosa caldura; nuvolette che sembran
comparse a caso e per dileguarsi tosto; ma che, invece, s'avvicinano grado a
grado e, nell'avvicinarsi, s'ingrandiscono finché, a un tratto, tutto il cielo
non è che una nuvolaglia sola, e intanto il sordo brontolìo del tuono si fa
sentire in lontananza.
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