II
Codesti curiosi mortali che, dotati d'intelligenza eccedente
la sfera comune, non poteano trovarsi bene nel loro tempo e ne sentivano la
pesantezza, non sapeano ancora, al punto in cui siamo con questa storia, quel
che si volessero. Assomigliavano a chi, fornito di fibra delicata e
straordinariamente eccitabile, si sente dominato da un mal essere che non sa
spiegare, e volendone assegnare la causa all'aria, alla stagione, a qualche
cosa insomma, si vede invece contraddetto dal limpido sole e dalla serenità del
cielo e dall'allegria di quanti lo circondano, i quali si lodano e del tempo e
del sole e dell'aria. Tale era la condizione in cui versava la maggior parte
delle intelligenze squisitamente acute che vivevano alla metà del secolo
passato. Del resto, nemmeno Voltaire sapea precisamente quel che si volesse,
quantunque fosse il più maturo di tutti; nemmeno Diderot, che si agitava in
un'assidua contraddizione e, se parlava chiaro negli intimi sfoghi cogli amici,
smarriva il coraggio quando trattavasi di stampare quel che pensava; nemmeno
Rousseau, il quale non faceva che accusare un gran dolore senza saper indicarne
il luogo. Al pari di costoro, che, per l'ardimento sin colpevole delle loro
opere, dovevan poi salire al più alto fastigio della rinomanza, un numero non
piccolo d'uomini ignoti e dalle circostanze condannati all'oscurità perpetua
discutevano e si disfogavano ne' parlari privati; anzi era codesta massa di
uomini ignoti che somministravano la materia, e venivano a determinare i
propositi di quelli chiamati a capitanarli. Ed uno di tali uomini, che nel
sentire e nel considerar le cose, non era inferiore a quegli ingegni
predestinati all'immortalità, era Lorenzo Bruni, che forse avrebbe potuto
spiccare sul fondo del suo tempo fra i pensatori più audacemente liberi, se
invece di suonare il violino in tutte le orchestre delle principali città di
Europa, avesse atteso agli studj con volontà costante, e avesse avuto pazienza
di sopportare il burbero padre.
Lasciata Parigi, quando finirono i suoi obblighi contratti
coll'impresario, e ritornando in Italia, Lorenzo conobbe a Venezia la
Margherita Gaudenzi ancor fanciulla, rimasta due anni addietro orfana del
padre, stato ballerino grottesco e morto d'una contusione per un salto mortale
mal calcolato; e poi anche della madre, perita nell'incendio del teatro di
Sinigallia, la quale, esercitando la professione di figurante ed essendo stata
una bella donna, avea sempre fatto le parti
d'una qualche dea, quando non si trattava nè di agire nè di danzare; e nelle
pantomime che finivano coll'Olimpo illuminato, costantemente era stata
incaricata di sedere in qualità di Giunone accanto a Giove Tonante. La
fanciulletta, quando rimase orfana, era già tanto innanzi nell'arte, da
eccitare la meraviglia di quelli della professione. Allorchè Lorenzo Bruni la
vide per la prima volta a ballare sulle scene del teatro di San Moisè, ne fu
anch'esso maravigliato, insieme col pubblico che accorreva da tutte le parti
della città per ammirare quel piccolo portento; tuttavia, rincrescendogli che
anch'ella, come voleva il pessimo gusto di allora, si lasciasse andare alla
danza grottesca, e ricordevole delle lunghe discussioni tenute a Parigi con
Rousseau stesso, sull'origine e sullo scopo del ballo, nell'occasione che al
teatro del Re aveva ballato la celebre Guzzani; e abborrendo al pari del
Ginevrino, quella danza che non può al bisogno, suggerire movenze e pose e
contorni e linee al pittore ed allo statuario, e non sapendosi contenere nei
limiti di una casta eleganza, si abbandona frenetica e lasciva, a inconditi
movimenti, in cui non si cerca che di superare strane difficoltà;
dispiacendogli dunque tutto ciò, volle conoscere quella fanciulla, colla quale
tanto disse e tanto fece, che senz'esser ballerino e solamente guidato dal buon
gusto e dal bisogno che sentiva di riformar tutto, la ridusse ad un sistema di
danza allora insolito, ma che pure destò ovunque un insolito entusiasmo; tanto
è vero che v'è un bello assoluto, il quale trionfa anche ne' più corrotti
periodi dell'arte! Basta solo avere il coraggio di promulgarlo.
Era dunque stato in gran parte per merito di Lorenzo Bruni,
se la Gaudenzi aveva potuto riuscire un'eccezione gloriosa tra le danzatrici
più celebri del suo tempo. - Ma siccome la fanciulla aveva obbedito, fosse per
naturale pieghevolezza, fosse per un felice istinto, alla volontà di Lorenzo, e
questi compiacevasi del frutto dei proprj consigli; così venne stringendosi tra
di essi una spontanea dimestichezza, che stava però ne' rapporti di un maestro
colla scolara, d'un tutore colla pupilla; il qual tutore, guidato da una grande
onestà naturale, e sollecitato da quel suo spirito irrequieto e originalissimo
che lo metteva sempre in contraddizione colle
opinioni più generali; volle, aiutando la custodia vigile della zia della
fanciulla, far vedere al mondo come la virtù potesse conservarsi intera anche
in seno a quella professione che, comunemente, era creduta il varco della
perdizione. Suonatore di violino, aveva seguìto così la fanciulla, da quell'ora
in poi, di teatro in teatro, facendole sempre
da padre e da tutore e da maestro. Se non che il padre e il tutore, man mano
che la fanciulla cresceva, e l'adolescenza diventava giovinezza, sentì in petto
qualche cosa che non era più nè calma di affetto paterno, nè severità di
precettore. Gradatamente insomma e inconsapevolmente s'era innamorato della
fanciulla; ma se non aveva mai voluto confessar ciò nemmeno a sè stesso, non è
possibile che volesse manifestarlo alla giovinetta Margherita, la quale di
qualunque benchè minimo sospetto non aveva neppur gli elementi in sè stessa,
onde continuò con ingenuità e con obbedienza a non riguardarlo che come padre e
tutore. Se taluno de' nostri lettori è così mal andato di salute da rifiutarsi
a credere ciò che diciamo, non getteremo nè il tempo nè il fiato per cercare
argomenti a persuaderlo. Non si crede veramente se non ciò che si sarebbe
capaci di fare.
Di teatro in teatro, eran venuti ambidue la prima volta al
Ducale di Milano, nel 1748, dove erano stati confermati per il carnevale
dell'anno 1750. Godeva il Bruni dei trionfi della sua, diremo dunque, pupilla;
godeva a sentirla lodata dappertutto dell'onesta virtù onde conservavasi
ornata; perchè, anche ne' tempi del più indulgente galateo morale, e del più
rilasciato costume, la virtù è sempre
applaudita e rispettata, al pari del vero bello artistico che trionfa ognora,
pur nel mezzo delle deviazioni del gusto. Pensi ora adunque il lettore che
pugnalata al cuore di Lorenzo dovette essere la prima voce che gli giunse
all'orecchio del sospettato amore di Margherita con Amorevoli e, più che
dell'amore, della notturna tresca. Per verità che non prestò fede neppur un
istante a quella bugiarda voce, e tanto più che, quando entrò nel camerino
della Margherita a dirle di che trattavasi, le vide l'innocenza in volto e
s'accorse d'un'ingenuità fin quasi stolta in quel suo ridere spensierato. Ma
che fa l'esistenza delle virtù se nessuno ci crede?
Lorenzo, pur mettendo da canto ogni altro affetto, sentiva
l'entusiasmo della vittoria nel poter dire: - Cosa mi diventano tante dame
superbe che tutti i giorni cambiano il cicisbeo come la camicia? cosa mi
diventano al confronto di questa povera figliuola di un grottesco e di una
figurante? - E una voce sinistra, che in un baleno era corsa per tutta la
città, aveva bastato a distruggere tutto, e a far succedere parole turpi e
scherni inonesti al rispetto di prima! Perchè ben è vero che gli applausi della
sera trascorsa eran saliti fin al velario per festeggiar la Gaudenzi; ma eran
gli applausi di quella parte di pubblico che avea goduto nello scoprire che la
intemerata colomba, cui bisognava rispettare per forza, era pur essa iniziata
ai misteri d'amore tanto allora in voga.
- Cara mia, disse dunque Lorenzo alla Margherita, quando
questa, ridendo, gli domandò se stava bene di salute; voi ridete, ma vogliatemi
credere che non c'è da ridere.
La Margherita si fece allora un po' seria, e soggiunse :
- Caro Lorenzo, non vi comprendo; in fin de' conti la verità
è una sola... e quando avrà parlato, perché so parlar alto anch'io, vedete,
quand'è necessario, ogni sospetto sarà dileguato.
- Cioè volete dire che non avrete più citazioni in Pretorio,
e nessuno potrà insultarvi impunemente, se non vorrà essere passato da una
parte all'altra, perchè di scherma io so giocar tanto bene, quanto suonare un
a-solo di violino. Ma tutto ciò non vuol dir nulla... e fino a tanto che non
esca il nome di colei per la quale il tenore dev'essere venuto in queste
vicinanze, a nessuno potrà esser tolto dalla testa che voi eravate l'oggetto
delle sue visite notturne.
- Ma perchè io e non altre! Domandate a Zampino, il quale
stamattina è venuto per le solite cose del teatro, quante donne furono chiamate
a comparire... N'è vero, zia?
- È vero, disse questa, ma la compagnia non vi fa molto
onore... Una è la moglie d'un gabelliere che sta lì dirimpetto... L'altra sta
lassù al quarto piano e si diletta di far la cucitrice. Belle e giovani tanto
l'una che l'altra, ma della loro onestà non mi parlate. Chiedetene qualcosa
alla Gilda che ci serve, e sentirete... Ben v'è la moglie d'un pittore che gode
buonissimo nome, e la bella figliuola d'un mercante... della quale non c'è chi
dica male... Ma in conclusione, voi vedete, signor Lorenzo...!
- Ma! - esclamò egli strabuzzando gli occhi; e stette un
momento silenzioso, poi soggiunse: - In Pretorio v'accompagnerò io stesso,
Margherita, e chiederò io stesso di parlare al signor giudice. Fate adunque di
esser pronta fra un'ora, ch'io sarò a pigliarvi in carrozza.
L'ora passò, Lorenzo venne colla carrozza, e la Margherita
accompagnata dalla zia, vi salì tosto. - Giunsero tutti e tre verso mezzodì al
Pretorio, dove s'accorsero che una folla di curiosi stava aspettando nel
cortile. Quando la Gaudenzi ascese lo scalone e corse la voce della sua venuta
per tutti gli ufficj del Pretorio, molti calamaj macchiarono d'inchiostro atti
e processi e libelli, tanta fu la fretta e la furia degli impiegati per
giungere in tempo a vederla. Notaj, auditori, uscieri, scrivani, colla penna
nell'orecchio e i paramanica di bambagina verde, facean capolino dagli usci e
dalle finestre; altri uscivan sul corridoio per dove la Gaudenzi aveva a
passare, fingendo un'incumbenza di premura. Altri le s'attraversavano al passo
per guardarla in faccia ben bene, con gran dispetto di Lorenzo. - Ma questi
potè confortarsi quando, all'annuncio della Gaudenzi, il giudice, ch'era
giovane e di maniere squisite, le mosse incontro, dicendole alquante cose
cortesi, e concedendo sì alla zia di lei come a Lorenzo di assistere all'esame,
e di essere interpellati in proposito.
Le domande del giudice, le risposte della fanciulla
Gaudenzi, le osservazioni di Lorenzo, le appendici della zia rachitica
costituiscono un dialogo da empire quattro facce di processo verbale, dialogo
che noi abbiam qui, e che per molti rispetti non è indegno d'una lettura, ma
che potrebbe anche provocar gli zitti di quella parte di pubblico che
preferisce la musica veloce di Verdi a tante altre musiche; onde, senza
riportarlo, ci limiteremo a dire che le sue risultanze furono tali, quali
ciascun lettore poteva aspettarsele. Il tenore Amorevoli, interrogato prima dal
giudice sul fatto della Gaudenzi, aveva parlato e protestato in modo da
impedirgli una soverchia insistenza nell'ordine delle domande da farsi alla
Gaudenzi stessa. E il giudice, quando ebbe praticate tutte le indagini iniziatrici,
come voleva il suo ufficio, accorgendosi che le cose prendevano una piega
ostinata, risolse di non farne altro, e di passare al criminale il processo
così incoato. Ma Lorenzo non fu pago per nulla di quell'esame, perchè, si
apponesse o no, gli parve che il giudice, il quale aveva lasciato andar qui e
là qualche epigramma e qualche scherzo gentile, non fosse del tutto persuaso
dell'innocenza della Gaudenzi; e ciò ch'è peggio, allorchè, dopo ricondotta al
suo alloggio la Margherita, egli si gettò ne' pubblici ritrovi della città, a
sentire come generalmente la si discorresse, dovette fremere più d'una volta
alle parole che udì, e più d'una volta fu per venire a qualche atto violento,
onde, se si contenne, fu un miracolo.
Almanaccando così mille cose, e pensando al modo di far
saltar fuori la complice, se ne tornò in quel giorno verso il quartiere dove
era la casetta della Gaudenzi, il palazzo del marchese F... e quello della
contessa V... Entrò dai portinaj e nelle botteghe là presso, interrogò serve e servitori
e lacchè e barbieri, esplorò porte, cancelli e finestre; chiese conto dei
signori padroni del giardino dov'era stato còlto Amorevoli, e quando sentì a
nominare la contessa Clelia, e dire ch'era giovane e bella, egli che non sapeva
nulla nè del suo carattere austero, nè della sua dottrina astronomica, disse
tosto fra sè: - Ma perchè, la si lasciò da parte costei?... Ma perchè? -
Nessuno de' cittadini milanesi, i quali erano compresi della fama di quella
donna intemerata, nemmen per ombra avean potuto fare un sospetto su di lei...
ma Lorenzo, il quale era di fuori, e non era stato a Milano che due stagioni,
e, se conosceva pittori e poeti e accademici, non conosceva tutta quanta la
nobiltà, nel suo sospetto non fu arrestato neppur da un dubbio; e sdegnato di
que' privilegj manifesti e segreti che si accordavano ai grandi signori, quasi
fu per recarsi dal giudice; ma, pentitosi di quel partito, che poteva aver
aspetto di denuncia, giurò di venirne a capo in altro modo, e quello che si
avvisò di fare e che fece, nessuno se lo potrebbe imaginare in mille anni...
Ma e la contessa Clelia?... Ah pur troppo che non ebbe il
coraggio di metter tosto in atto il consiglio di donna Paola Pietra, come
sentiremo poi; e volendo lasciar passare gli ultimi tre giorni di carnevale,
per istornare uno scandalo che, secondo lei, sarebbe riuscito rumoroso in mezzo
alla folla dei teatri, delle feste, delle mascherate, aveva pensato di
aspettare il primo giorno di quaresima per adempire al dovere... Ma
precisamente quegli ultimi giorni di carnevale le dovevano esser fatali.
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