VIII
Talora dà il caso che, nella massima esaltazione di un
sentimento o di più sentimenti, quando tutte le facoltà dello spirito, quasi
ubbriacate, hanno cessato di agire regolarmente, essendo messe in rivoluzione
da una sventura, da un pericolo, da un dolore, da un colpo imprevisto, occorra
necessariamente di prendere un partito; e in tal contingenza si abbracci
precisamente quello che è il più opportuno, e che forse non sarebbe giunto a
trovare nè a proporre nemmeno la mente più calma e più provvida. - Bisogna
adunque che quella esaltazione procellosa de' sentimenti assomigli
all'acquavite campale, che spinge fin le reclute contro le bajonette d'un
battaglione quadrato; e, per valerci d'una similitudine un po' più gentile,
conviene che quell'esaltazione produca quasi un sonnambulismo benefico, il
quale, togliendo per poco all'uomo la ragione, la quale può turbarsi in
conseguenza della sua potenza medesima e della sua virtù illimitata, gli dà
invece l'istinto che va diritto per la sua via, men nobile, se vogliamo, ma più
determinata e precisa. - La disperazione, per esempio,
non accetta mai le sue leggi dalla ragione, ma si sottomette, sebbene
inconscia, alla spinta cieca dell'istinto, ed egli è per questo che qualche
volta i suoi consigli sono un sublimato di prudenza.
Una salus victis: nullam sperare salutem.
Applicando ora queste nostre riflessioni alla condizione
speciale della contessa Clelia, se, dopo avvenuta la catastrofe del finto
Amorevoli e del deliquio, tre uomini di consiglio, come soglionsi chiamare, si
fossero uniti per risolvere in fretta e in furia quel che la sventurata avrebbe
dovuto fare, è assai probabile che non avrebbero dato il più sano parere.
E, in quanto a noi, siamo specialmente convinti che si
sarebbero ben guardati dal dirle: Fuggite, e senza perder tempo, e sola e in
qualunque modo ciò vi riesca. Eppure, a pensarci bene, era questo il partito
più conveniente che rimaneva alla contessa. Anche noi, dobbiam confessarlo,
quando sentimmo per la prima volta che donna Clelia era scomparsa dal teatro,
abbiamo fortemente sospettato non le avesse dato di volta il cervello; ma poi,
a nostro dispetto, dovemmo convenire che un consiglio di tal fatta non le
poteva esser venuto che da Salomone; tanto la disperazione avea tenuto luogo di
sapienza! A rimanere a Milano e nella sua casa, come poteva sopportare la
presenza del marito? e poi, chi sa cos'avrebbe potuto fare quello spagnuolo
inferocito? Come sostenere lo sguardo della madre? come rispondere, cosa dire?
Con che fronte uscire in pubblico ad incontrare gli sguardi di tutta la città?
Come resistere all'insultante pietà delle rivali trionfanti? Ma ella non avea
nemmen pensato a tutto ciò. Riavutasi del deliquio e uscita dal palchetto, col
domino tra le mani e come per pigliar aria, guizzò tra la folla delle maschere
che facevano ingombro al palchetto e assiepavano il corridojo, e senza
titubanze e rispetti, chè la disperazione è imperterrita e non conosce
ostacoli, uscì dal teatro; e là, allontanatasi dalla porta dell'ingresso,
avvolta nel domino a bardosso, ed esposta così al freddo e al vento, che pareva
un Sibilla vaticinante, vista la carrozza di casa Cusani che conosceva (per
essere la moglie del marchese Cusani in grande intrinsichezza col Conte V...),
chiamò il cocchiere per nome. Quegli si volse, e, col lume del fanale e del
primo crepuscolo, riconosciuta, sebbene a stento, la contessa:
- Cosa mi comanda? disse.
- Sta queto, che già siam d'accordo colla marchesa; ho
bisogno della sua carrozza; e di buon trotto accompagnami alla mia villa a
Gorla...; tu ci sei stato altre volte. Vogliam fare una burla a qualcuno.
Il cocchiere non rispondeva, e stava perplesso; ma la
contessa, aperta la porticina :
- Suvvia dunque, t'affretta; chè non c'è tempo a perdere, e
se non si corre, ogni cosa può andare a vuoto.
Il cocchiere si strinse nelle spalle, ma obbedì; e sferzati
i cavalli, in mezz'ora fu a Gorla sul naviglio. Spuntava il primo sole quando
fece una magistrale voltata entro al portone già dischiuso della sontuosa villa
V... - Colà giunta, la contessa chiamò il castaldo, che accorse con di lui
grande stupore; fece pagar lautamente il cocchiere, al quale impose di ritornar
subito a Milano; poi rivolta al castaldo:
- Ti farà meraviglia ch'io mi trovi qui? Ma oggi verrà il
conte... e sentirai da lui... or non è tempo a perdere... e fa attaccare i
migliori e più veloci cavalli che hai nelle stalle... e dammi un uomo. - Il
castaldo obbedì anch'esso prontissimo, per quante congetture facesse. - La
carrozza fu tirata fuori, i cavalli attaccati, l'uomo fidato fu tosto in serpe
colla sua frusta disposta alle battiture. - Donna Clelia intanto aveva scritta
una lettera, che, fatto chiamare un contadino, della cui incapacità a leggere e
a scrivere volle prima assicurarsi, gli consegnò, perchè la ricapitasse al
curato di Santa Maria Podone. - E il contadino era partito sotto gli occhi
stessi della contessa, e senza che il castaldo potesse veder la lettera, dopo
ciò la contessa erasi levate le gioje, che mise in un fazzoletto; poi si
sciolse i capegli, li abbassò, li rese meno appariscenti, e li nascose in un
velo nero che si fece dare dalla moglie dell'agente; raccolse infine al
possibile la coda del vestito azzurro ricamato in argento e si avvolse tutta
come potè meglio nel domino, adattandoselo alla vita come un vestito comune; e
così stranamente acconciata, chè il tumulto de' pensieri gl'impediva d'avere il
capo a tali cose, salì finalmente in carrozza, dicendo forte al cocchiere:
Ponte san Marco. La casa V... aveva un vasto tenimento tra questo luogo appunto
e il lago di Desenzano, e se la contessa si diresse a quella volta non fu per
altro motivo che perchè era quella la terra più lontana dei possessi di casa
V... Il viaggio durò tutto quel giorno e il successivo. - A notte inoltrata
donna Clelia giunse alla villa, tra le solite meraviglie degli agenti e delle
fattoresse. All'alba del terzo giorno, avuto il modo di cangiar vesti,
scomparve improvvisa anche dalla villa, all'insaputa di tutti.
Se la contessa non avesse pensato a partire inosservata
dalla villa di Ponte san Marco, la sua prima fuga non le avrebbe giovato a
nulla; perchè, di fatto, da Milano fu spedito sulle sue traccie un uomo fidato
sin là, e ciò dovea naturalmente succedere, poichè il cocchiere di casa Cusani,
tornato a Milano, quando la marchesa padrona era già a letto, dopo essersi
sentito minacciare lo sfratto dalla casa del padrone montato in sulle furie,
raccontò il fatto della contessa V... Allora il marchese Cusani, che già sapeva
della sparizione di lei, mandò il cocchiere stesso ad avvisarne il conte
marito, che tosto inviò un servo a Gorla, ove ebbe la notizia che la contessa
era partita per Ponte san Marco; tanto che, quando esso, la madre, il fratello
e la sorella di donna Clelia, verso l'ora bassa della prima domenica di
quaresima, versavano in quell'angoscia che il lettore sa, un uomo della casa
era già in viaggio per quella volta; chè il conte non avea voluto per nessun
modo che partissero nè il fratello nè la madre; se a ragione o a torto non
sappiamo, ma chi s'attenta di discutere sulla ragione e sul torto in momenti di
tanto affanno e scompiglio?
Qui poi occorre di notare per la completa intelligenza delle
cose, che il fratello della contessa, quando sentì dal carrozziere di casa
Cusani quel ch'era avvenuto, si recò insieme con esso dal marchese medesimo, il
quale, dopo un lungo discorso tenuto col conte, ingiunse al carrozziere di non
lasciarsi sfuggir di bocca quel ch'era seguito, nemmeno colla marchesa, alla
quale si sarebbe concertato quel che dovevasi dire. - E la casa V... incaricò
della medesima incumbenza verso i gastaldi della villa a Gorla, l'uomo spedito
colà e altrove a cercar notizie della contessa. È a notare inoltre come, in sull'ora
tarda della stessa prima domenica di quaresima, il curato di Santa Maria Podone
avea portato in persona una lettera a donna Paola Pietra, ed era quella appunto
che la contessa aveva scritto prima di partire per Ponte san Marco. In quella
lettera, con un disordine d'idee e di modi che è facile immaginare, donna
Clelia narrava in prima il fatto accaduto in teatro, poi veniva prorompendo in
questi sentimenti:
- "Così tutto è finito per me, nè potrò mai più
mostrare la mia fronte a chi m'ha conosciuta, chè piuttosto vorrei trovarmi
mille braccia sotto terra. Oh se tosto avessi adempito il suo consiglio, donna
venerata, almeno il mondo mi avrebbe dato il merito di una franca confessione,
e forse non sarei stata disprezzata da colui, nè tanto punita; quantunque, per
verità, non mi sembri poi di aver meritato
così fiero e spietato trattamento. Oh potessi far noto al mondo qual era la mia
intenzione, e come il pensier mio non fosse altro che di scansar pel momento
gli scandali del carnevale... Almeno colui potesse conoscere che la mia
intenzione era di salvarlo in ogni modo! Ma faccia ella per me, venerabile
signora, il bene che io non ho potuto. La sua carità proveda e accorra e
ripari. Se mai credesse di parlare a mia madre, di parlare al conte, lor faccia
intendere ch'io non ho veruna macchia grave a rimproverarmi, e che fui assai
più disgraziata che colpevole, disgraziata quanto mai si può pensare... Ma ora
vedo di darle un incarico impossibile... perchè non è bene, e non desidero
ch'ella veda nè mia madre, nè il conte. Chè lo giuro formalmente a lei,
venerabile signora, nè ella stessa potrebbe distogliermi da questo proposito...
Non sarà mai ch'io ritorni mai più a vivere col conte; io non voglio vederlo
mai più. Io non l'ho mai amato, nè lo amo, quantunque lo rispetti e lo
compianga. Ma se egli è or fatto infelice per me, son sette anni ch'io son
fatta infelice per lui; e d'altra parte vivo certissima che nemmeno esso non mi
ha amata mai. Dunque si rompa una volta e per sempre
questo nodo, il cui solo pensiero mi ha desolata, perchè... ma io sento il
rossore di quello che stavo per dire, ma io sento il bisogno ch'ella mi
protegga e mi consigli, e mandi il balsamo della sua parola soave sulla piaga
insopportabilmente dolorosa del mio cuore. Or dove io vada non so. Nè so quello
che io sia per tentare, nè quello che la disperazione vorrà fare di me. Ma
qualunque cosa fosse per succedere; ma dovessi anche morire, chè oramai non
vedo miglior mezzo d'uscita alla passione che mi divora e al tormento
inesprimibile di non poter vivere senza alimentarla, e di dover incontrare il
disprezzo di tutti e il mio stesso; dovessi, dico, anche morirne, io desidero
che la sua parola, pietosissima signora, venga a confortarmi nella mia ora
suprema. Or io parto... Ed ella mi scriva e tosto... e mandi la sua lettera a
Brescia, dove io manderà a levarla, e sulla soprascritta metta il nome del mio
casato a rovescio."
Come rimanesse donna Paola al ricevere questa lettera, è
facile imaginarlo. - Il primo pensiero fu di recarsi tosto a spargere qualche
conforto fra coloro che dovevano vivere in angustie per la partenza della
contessa. Ma poi riflettè che ne potevano scaturire guai più serj, e che prima
di parlare alla madre e al marito della contessa erano indispensabili altri
provvedimenti. - Intanto credette bene di rispondere subito a donna Clelia, e
di trovare il modo perch'ella si ricoverasse in luogo sicuro, dove potesse
guardarsi e dalla passione propria e dall'ira gelosa del conte. - Le scrisse
dunque di volo una lettera il cui tenore era questo:
"Donna tanto infelice quanto a me cara!
"Se la sventura vi ha visitata, voi dovete essere più
forte della sventura. - Se abbiate ben operato ad abbandonare la vostra casa,
nella pericolosa e speciale condizione in cui versate, non mi attenterò di
recarne giudizio. Ma quand'anche aveste fatto il peggio, la Provvidenza metterà
un riparo a tutto. Vi ringrazio, cara donna, che il vostro primo pensiero sia
stato quello di scrivere a me, ed io vi mostrerò la mia gratitudine col fare
tutto quello ch'io potrò per voi. Di questo potete vivere sicurissima, e se per
ora non vi è dato altro conforto, questo vi sia almeno intero. Da più parole
della vostra lettera, io scorgo che il vostro cuore, più assai che dalla
medesima sventura e dall'onta, è penetrato da un pensiero troppo costante verso
chi è vostro obbligo assoluto di dimenticare. - Cara la mia donna, il tempo
guarisce di grandi piaghe, e vogliate aver fiducia nel tempo: ma credetemi, che
per tornare a rialzarvi in dignità di donna onorata, e costringere il mondo,
che si appaga di maldicenza e di disprezzo, a tacere e a rispettare, ve l'ho
già detto, conviene che la vostra vita da quest'ora in poi proceda inalterabile
e senza un rimprovero. Allora voi troverete che il mondo è qualche volta tanto
giusto ne' suoi giudizj, quanto più spesso è precipitoso e spietato. Allora
verranno i giorni in cui amerete la stessa sventura, perchè per suo mezzo sarà
scaturita la vostra felicità.
"Ma pace per ora, la mia cara donna, pace e
coraggio...; e giacchè non avete ancor ben determinata la meta a' vostri passi,
e fuggite così a caso, cacciata dalla sola disperazione; e la solitudine
potrebbe trarvi a malissimo partito, Dio vi guardi dalle funeste tentazioni
della solitudine! Io scrivo in sull'istante ad una famiglia virtuosissima di
Venezia, quella dove fui accolta io stessa con carità d'affetto, quando ci
capitai da Milano, fuggita da chi mi teneva in ingiusta prigionia; che rividi,
come tornai da Roma, e che l'anno scorso fu a visitarmi a Milano, con sempre
costante amorevolezza. Voi dunque avete a recarvi colà, e, a tale oggetto,
v'accludo un foglio perchè siate riconosciuta e accolta e abbracciata e
consolata, e forse guarita coll'insistenza delle cure amorose. Ricevuta questa,
rispondetemi di volo, e Dio vi benedica.
"PAOLA PIETRA"
Questa lettera giunse a suo luogo a Brescia, e presto arrivò
nelle mani della contessa Clelia, la quale tosto rispose alla donna pietosa con
effusione d'affetto, e coll'accettare il partito proposto. Così ella recossi a
Venezia, dove infatti fu accolta con ogni maniera di affettuose dimostrazioni
in quella casa a cui donna Paola aveala raccomandata.
Ma chi avrebbe detto che il destino, così spesso strano e
capriccioso, come talvolta provvido, della dimora di donna Clelia a Venezia
doveva valersene per iscoprire i capi del filo a cui s'attiene il fatto
principalissimo del nostro racconto, e quello per cui sino ad ora avvenne tutto
quello che avvenne? chè il lettore, dato che, per un caso de' più strani, abbia
preso interesse a quest'istoria, non deve obbliare che, nella stanza vicina a
quella dove giaceva il defunto marchese F... erano state trafugate delle carte;
che probabilmente tra quelle ci doveva essere un testamento; che se era stato
commesso un delitto di tanta gravezza, qualcuno necessariamente doveva averlo
commesso e, se non di certo a Milano, in qualche parte del mondo colui doveva
bene esistere e starsene cheto.
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