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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO SECONDO
    • XI
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XI

Tanto la contessa che il Galantino stettero per qualche tempo immobili e perplessi, la prima al balcone, il secondo sul felze della gondola; donna Clelia fu molte volte in procinto di parlare, molte volte il Galantino fu tentato di avventare ingiurie a quella che in così mal punto lo aveva sorpreso. Il pensiero però di essere stato riconosciuto, lo aveva colpito in modo che gli tolse il coraggio e la sfrontatezza; onde senza dir nulla, saltò dal felze alla poppa e mosse la gondola. Allora la contessa si ritrasse assai turbata, perchè dopo la prima compiacenza d'aver salvata una fanciulla inesperta, gli sorvennero i timori per stessa; poiché, ben conoscendo l'indole tristissima di quel giovinetto, rifletteva che, nella condizione in cui ella trovavasi, da quell'incontro disgraziato potevano derivarle altri guaj. Donna Clelia non sapeva che in parte come stessero e camminassero le cose a Milano, e ciò pel carteggio che teneva con donna Paola Pietra, la quale da un lato prudentemente le taceva alcune cose, e dall'altro non poteva conoscer tutto nemmeno essa. La contessa aveva dunque raccolto dalla terza lettera l'arresto di Lorenzo Bruni, tutore della Gaudenzi; aveva maravigliato al racconto della maschera di cui era stata la vittima; si era consolata al pensiero che Amorevoli era ancora in prigione; che sorta di consolazione! ma il cuore umano è fatto così. Aveva saputo le pratiche che in sui primi giorni i parenti di lei, la madre, il marito avean fatto per tentare di venire sulle sue traccie, ma come s'eran poi racquetati. Se non che donna Paola aveale scritto che a Milano correva qualche voce, non sapeva poi in che maniera, della sua dimora nella città di Venezia, e che però attendesse a stare nascosta e ritirata; che in ogni modo le avrebbe fatto noto prestissimo se potesse trattenersi a Venezia con fiducia, o le fosse necessario rifuggirsi ad altro luogo, con maggiori cautele di quelle che si erano usate prima. Non è dunque a dire quanto, dopo avere appagato lo slancio generoso della sua pietà, si pentisse del non essersi saputa misurare e tener nascosta pur nel momento ch'era accorsa all'altrui soccorso. Se avesse saputo che, nell'intenzione di tutto il patriziato amico de' suoi parenti, si desiderava invece che ella stesse lontana da Milano, e si fingeva di non conoscere dov'ella si fosse ricoverata, perchè alle loro mire giovava il supposto che Lorenzo Bruni, più che della contravvenzione alle leggi sulle maschere, fosse colpevole d'un rapimento eseguito da altri per conto suo, non si sarebbe dato tanto affanno dell'essersi fatalmente incontrata coll'ex-lacchè di casa F... Del rimanente, se donna Clelia poteva aver qualche timore della presenza del Galantino in Venezia, non è a dire quanto costui, dopo il sobbollimento della prima sorpresa, e dopo la prima furia, maledicesse cento volte la coincidenza del trovarsi la bellissima giovinetta Zen nel palazzo dirimpetto al quale doveva venire a dimorare la contessa Clelia V... Ma ciò che lo coceva e gli metteva in cuore di strane paure, chè ben egli sapeva come stava, era quell'essere statotosto riconosciuto, trasvestito qual era e pur fra l'oscurità; onde mille altri sospetti gli entrarono nell'animo.

Per quanto il Galantino della pravità avesse tutta la naturale vocazione e la sfrontatezza, e fosse di quelle complessioni fisiche così perfettamente costituite, che non sono accessibili nemmeno ai turbamenti morali; talchè ai disappunti, agli sfregi, al disonore, alla cattiva fama aveva fatto il callo, pure non dormì troppo tranquillo in quella notte. Alla mattina però si rinfrancò tutto quanto, chè coll'aria fresca che veniva dalla terraferma gli sorvennero anche i secondi pensieri. E si maravigliò di non aver considerato a tutta prima le circostanze speciali in cui versava la contessa Clelia V...; poichè anch'egli conosceva la storiella di Milano, e la fuga di lei, e com'ella se ne stesse in Venezia di contrabbando. Perciò, d'uomo assalito qual egli era, pensò di farsi assalitore, cangiando in sull'istante, sul campo di battaglia, e tattica e strategia; e d'una in altra cosa fermò il partito di recarsi a fare una visita alla contessa. Nessuno può imaginarsi la straordinaria svegliatezza della mente di quel tristo giovine, e il colpo d'occhio onde sapeva scansare i pericoli nel punto di affrontarli, e come, ad onta di così poca età e di una educazionerozza, avesse il senso di quelle cose che non s'imparano che cogli anni, colla squisita coltura e con una gran pratica di mondo. Aveva poi una memoria prodigiosa e una facilità strana d'apprendere, tantochè, per venire ad un esempio, in quel mese da che stette in Venezia, si era impadronito d'una buona metà del dialetto veneziano e già ne faceva qualche sfoggio pe' suoi fini. Non è poi a dire come della propria bellezza, di cui non s'invaniva, ma che valutava, quasi a prezzi di stima, aveva stabilito di cavare quel partito che altri trarrebbe dalla ricchezza e dalle altre facoltà che hanno peso e misura; sicchè, contando sulla forza qualche volta onnipotente d'un bell'esteriore, aveva pensato che a lui sarebbero state lecite tante cose, che agli altri potevan venire ascritte a colpa. - Perciò aveva gran cura della propria bellezza, e dell'incarnato delle proprie guancie; e dei denti bianchissimi, che puliva e curava colla sollecitudine del soldato il quale sfrega col pomice la bajonetta, non per amore della bajonetta, ma perchè gli deve servire in fazione. - La natura insomma aveva largito a lui tutti i suoi doni, ma egli aveva condotto le cose in modo da convertirli tutti in altrettante armi d'offesa, e ciò senza nemmeno averne avuto un proposito deliberato; sibbene, torniamo a ripeterlo, per quella pravità irresistibilmente attiva della sua natura, che solo sarebbesi mitigata, o fors'anco si sarebbe tramutata in qualche altra cosa, se avesse avuto un'altra nascita e un'altra educazione. Allora non sarebbe stato il Galantino piè-veloce, ladro e truffatore, come lo vediamo indicato nelle carte che abbiamo sott'occhio, ma sarebbe riuscito un gemello, per esempio, di Fouché o di Talleyrand. A quell'ex-lacchè travestito occorrevano molte ore di toaletta; e in quel mattino adoperò la pomata di riserva, per poter far visita con un certo successo, secondo lui, alla signora contessa.

Vestì pertanto l'abito più sfarzoso che aveva; un veladone ampio di velluto nero, tutto tempestato di puntine d'oro, col panciotto d'una stoffa a duplice trama di fil d'argento e di fil di seta azzurra, che dava molteplici combinazioni di luce, d'ombra e di colori ad ogni screzio di piega; coi calzoni corti di spinone, aventi legacci di velluto a punte d'oro come il veladone, e fibbie di brillantini; tutto il resto faceva corredo e complemento rigoroso al vestito principale.

Non solo adunque aveva adottato lo sfarzo e la ricchezza, chè a ciò poteva arrivare in ventiquattr'ore qualunque villico arricchito; ma nelle stoffe, nei colori, nel disegno de' ricami, nell'eleganza totale dell'acconciatura, metteva l'intelligenza dell'uomo squisito, e persino il colpo d'occhio dell'artista, talchè pareva un cavalierino che tenesse il privilegio del buon gusto dal lungo uso della ricchezza, dalle continue consulte col sarto, dai viaggi a Parigi, che allora era il quartier generale della moda, e lo era diventato fin dal tempo di Luigi XIV, che gli storici si sentirono obbligati a chiamar grande, forse per non aver pronta in quel momento un'altra parola. Ma venendo ora al fatto, quando il Suardi fu bene in assetto, dalla casa ove dimorava, presso al palazzo Pisani in campo san Stefano, discese al rio, ove l'attendeva la gondola con un gondoliere in livrea, al quale, nell'entrar sotto il felze, gridò: - Casa Salomon. Allorchè la gondola si fermò davanti allo scaglione di quella casa, Galantino diede al gondoliere un breve portafoglio di seta legato con nastri, fuor del quale spuntava una cartolina. Allora, come ognun sa, non c'eran biglietti di visita propriamente detti e propriamente fatti, ma c'eran i loro precursori; e giacchè era il secolo delle eleganze più profumate e delle caricature, chi voleva farsi annunziare a qualcuno per una visita, faceva presentare al guarda portone, perchè lo facesse avere al padrone della casa, un bigliettino su cui scriveva il proprio nome, il qual bigliettino veniva sempre collocato in un portafoglio, in un astuccio, in un vezzo qualunque; e tali vezzi qualche volta avevano un gran valore, essendo d'argento, d'oro e persino ornati di pietre preziose; a seconda della ricchezza del visitatore, e del bisogno che aveva di rendersi gradito e d'imprimersi bene nella memoria di chi voleva visitare; perchè era di prammatica che il padrone o la padrona di casa, tolto il foglietto, e letto il nome, si tenesse il vezzo per , come pegno e come dono. Il Suardi, che conosceva tutte queste bizzarie della moda, aveva creduto bene di farne uso in quell'occasione. Il gondoliere, chiesto pertanto della signora contessa V..., presentò al servo il portafoglio di seta (la prammatica non voleva che in una prima visita si sfoggiassero i metalli fini e le gemme). Il servo, il quale era stato indettato dalla padrona di casa fin da quando la contessa le era stata raccomandata, rispose non saper nulla di quel nome, ma che avrebbe fatta l'ambasciata alla padrona stessa. Questa era in casa, e disse: - Va dalla contessa, e domanda a lei quel che si ha a fare. Dal nome che è dentro ella piglierà norma. Così, entrato il servo nell'appartamento della contessa e fattosele annunziare, le presentò il portafoglio di seta; la contessa levò il foglietto, e lesse - Galantino, per due parole. - Rimase stupita e sconcertata. Il servo, ch'era a parte degli arcani, le chiese se avesse a licenziare il gondoliere. La contessa non sapeva che risolvere; fremeva e arrossiva al pensiero di dover ricevere una tal visita. Dall'altra parte temeva a rimandarlo; però, dopo molte titubanze:

- Fallo entrare, rispose.

Galantino, ad onta della sua baldanza, stava pure in gran paura non gli venisse un rifiuto dalla contessa: perciò quando il suo gondoliere e la livrea di casa Salomon gli dissero di restar pure servito, balzò fuori dalla gondola tutto pago e colla sua baldanza raddoppiata, e s'avviò, preceduto dal servo, all'appartamento della contessa, annunciato lungo i corridoj e le vaste anticamere dallo scricchiolio delle sue scarpe di sommacco. Quando il servo spalancò i battenti dell'uscio della sala ove stava la contessa, egli si trattenne in gran rispetto, sulla soglia, curvando il tergo e chinando la testa fin quasi alle regioni dell'ombilico, di modo che l'elegantissimo fodero della sua spada, alzandosi in quel movimento, veniva colla punta a trovarsi a livello della testa. La contessa Clelia, stando in piedi, colla mano dritta appoggiata ad un tavoliere, come una regina Elisabetta in atto di dare udienza, chinò leggerissimamente il capo, in maniera però come s'ella tentasse d'ingannare stessa sulla realtà di quell'atto. - Ma Galantino alzatosi tosto, varcò la soglia, e fu nel mezzo della sala, faccia a faccia con donna Clelia. Il servo si ritrasse, la contessa gli osò dir di fermarsi. quantunque ne avrebbe avuta tutta la volontà. Passò qualche momento in cui Galantino stette aspettando che donna Clelia si ponesse a sedere; ma quando vide ch'ella non movevasi, senza mostrare il benchè minimo disdegno a quell'attitudine di regina in trono, con una disinvoltura piena di garbo e con un sorriso dolce, sebbene un po' affettato, le offerse egli stesso una sedia, rompendo in questi termini il silenzio:

- Signora contessa, io non sono più il Galantino di Milano, sono il signor Andrea Suardi, venuto a fermar la mia dimora a Venezia, perchè qui, secondo il mio gusto, si spendono meglio i danari e si gode meglio la vita. La fortuna mi è stata favorevole, e le carte e i tavolini verdi hanno fatto venire nelle mie mani il danaro altrui. Oggi sono benestante e ricco...; col tempo poi non è affatto improbabile ch'io diventi anche nobile. Conosco due o tre qui di Venezia, che cent'anni fa attendevano al miglioramento delle carni suine, ma che per aver fatto in processo di tempo un prestito alla serenissima repubblica, oggi son nobili, dell'ultima qualità questo s'intende, ma nobili in ogni modo. In quanto a me poi, l'assicuro, signora contessa, che del mio passato appena mi ricordo.

Così dicendo, e porgendo la sedia, col gesto pregava donna Clelia a voler sedere. Per quanto la contessa sentisse dentro di sdegno e disprezzo e persino paura di quel vezzoso serpente che le stava davanti, pure si lasciò per il momento quasi deviare e placare da quell'aspetto così vago e sorridente, da quell'eleganza così profumata; credeva, ma senza che nemmeno sapesse formular la cosa a medesima, che quel volto geniale, que' modi eleganti e quel ricco vestito costituissero come un muro di divisione tra lei e l'abbiettezza e la tristizia di quel giovane. - L'uomo è così fatto: anche il più sapiente, anche il più astuto ama lasciarsi ingannare dall'apparenza, anche allorquando sa benissimo che di sotto sta il marcio. - La contessa dunque accettò la sedia, e dirimpetto a lei si pose a sedere il Galantino.

- Mi rincresce, disse allora questi, ch'io debba incominciare il mio discorso con un rimprovero... e sorrideva maliziosamente, mentre la contessa, abbassando gli occhi, non rispondeva. - Che malefizio egli è poi, seguiva il Galantino, perchè lo si debba rompere in due da chi veglia a notte tarda, che malefizio può essere egli mai che un giovinotto, il quale non è ammogliato, faccia la sua corte ad una ragazza che non è maritata?

E fece un'appoggiatura su questa parola, e nel pronunciarla, tutto il dolce che prima avea tentato di accumulare nella sua vivace pupilla, scomparve, per lasciar intravedere un guizzo di luce sinistra e serpentina.

La contessa, tutta rimescolata a quelle parole, alzò di repente gli occhi che aveva tenuti abbassati, e li fermò con tanta serietà negli occhi mobilissimi del Galantino, che questi pensò di ammorbidire la lama, e di darle una piega.

- Io non aveva cattive intenzioni (continuava), e non ne ho; ma che colpa è la mia se quella ragazza è la figlia del conte Zen? poichè, venga il diavolo a portarmi via, ma posso giurare che aveva tanto la testa ai tavolini verdi in questi giorni, ch'io non pensavo a ragazze; ma colei mi parlò tante volte e così chiaro con que' suoi occhi da penna di pavone, che a non tenerle dietro e a non accompagnarla per vedere dove fosse il suo palazzo, sarei stato una gran bestia.

Il lettore si avvedrà come lo stile di queste ultime parole di Galantino faccia un po' di sconcordanza coi modi eleganti del suo primo presentarsi; ma un giovane che era nato da un carrozziere, ed era cresciuto tra le gambe de' cavalli, e dai dieci ai vent'anni non aveva fatto altro che correre, facendo a gara con essi, bisognava bene che di tanto in tanto, a sua insaputa, e ad onta della sua straordinaria attitudine a saper uscire da stesso, lasciasse tuttavia trapelare fra poro e poro l'acre odor di cipolla.

Se non che la contessa non lo lasciò continuare, e soggiunse:

- In conclusione, per qual fine voi oggi siete venuto da me?

- Per due oggetti.

- Quali sono?

- Uno è dedicato all'ottima signora contessa, e s'inchinò; l'altro deve fruttare interamente per me; e del resto, una mano lava l'altra.

- Non vi comprendo affatto.

- Mi lasci parlare, e vedrà la signora contessa, che forse le verrà fatto di capirmi.

 




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