XI
Tanto la contessa che il Galantino stettero per qualche
tempo immobili e perplessi, la prima al balcone, il secondo sul felze della
gondola; donna Clelia fu molte volte in procinto di parlare, molte volte il
Galantino fu tentato di avventare ingiurie a quella che in così mal punto lo
aveva sorpreso. Il pensiero però di essere stato riconosciuto, lo aveva colpito
in modo che gli tolse il coraggio e la sfrontatezza; onde senza dir nulla,
saltò dal felze alla poppa e mosse la gondola. Allora la contessa si ritrasse
assai turbata, perchè dopo la prima compiacenza d'aver salvata una fanciulla
inesperta, gli sorvennero i timori per sè stessa; poiché, ben conoscendo
l'indole tristissima di quel giovinetto, rifletteva che, nella condizione in
cui ella trovavasi, da quell'incontro disgraziato potevano derivarle altri
guaj. Donna Clelia non sapeva che in parte come stessero e camminassero le cose
a Milano, e ciò pel carteggio che teneva con donna Paola Pietra, la quale da un
lato prudentemente le taceva alcune cose, e dall'altro non poteva conoscer
tutto nemmeno essa. La contessa aveva dunque raccolto dalla terza lettera
l'arresto di Lorenzo Bruni, tutore della Gaudenzi; aveva maravigliato al
racconto della maschera di cui era stata la vittima; si era consolata al
pensiero che Amorevoli era ancora in prigione; che sorta di consolazione! ma il
cuore umano è fatto così. Aveva saputo le pratiche che in sui primi giorni i
parenti di lei, la madre, il marito avean fatto per tentare di venire sulle sue
traccie, ma come s'eran poi racquetati. Se non che donna Paola aveale scritto
che a Milano correva qualche voce, non sapeva poi in che maniera, della sua
dimora nella città di Venezia, e che però attendesse a stare nascosta e
ritirata; che in ogni modo le avrebbe fatto noto prestissimo se potesse
trattenersi a Venezia con fiducia, o le fosse necessario rifuggirsi ad altro
luogo, con maggiori cautele di quelle che si erano usate prima. Non è dunque a
dire quanto, dopo avere appagato lo slancio generoso della sua pietà, si
pentisse del non essersi saputa misurare e tener nascosta pur nel momento
ch'era accorsa all'altrui soccorso. Se avesse saputo che, nell'intenzione di
tutto il patriziato amico de' suoi parenti, si desiderava invece che ella
stesse lontana da Milano, e si fingeva di non conoscere dov'ella si fosse
ricoverata, perchè alle loro mire giovava il supposto che Lorenzo Bruni, più
che della contravvenzione alle leggi sulle maschere, fosse colpevole d'un
rapimento eseguito da altri per conto suo, non si sarebbe dato tanto affanno
dell'essersi fatalmente incontrata coll'ex-lacchè di casa F... Del rimanente,
se donna Clelia poteva aver qualche timore della presenza del Galantino in
Venezia, non è a dire quanto costui, dopo il sobbollimento della prima
sorpresa, e dopo la prima furia, maledicesse cento volte la coincidenza del
trovarsi la bellissima giovinetta Zen nel palazzo dirimpetto al quale doveva
venire a dimorare la contessa Clelia V... Ma ciò che lo coceva e gli metteva in
cuore di strane paure, chè ben egli sapeva come stava, era quell'essere stato
sì tosto riconosciuto, trasvestito qual era e pur fra l'oscurità; onde mille
altri sospetti gli entrarono nell'animo.
Per quanto il Galantino della pravità avesse tutta la
naturale vocazione e la sfrontatezza, e fosse di quelle complessioni fisiche
così perfettamente costituite, che non sono accessibili nemmeno ai turbamenti
morali; talchè ai disappunti, agli sfregi, al disonore, alla cattiva fama aveva
fatto il callo, pure non dormì troppo tranquillo in quella notte. Alla mattina
però si rinfrancò tutto quanto, chè coll'aria fresca che veniva dalla
terraferma gli sorvennero anche i secondi pensieri. E si maravigliò di non aver
considerato a tutta prima le circostanze speciali in cui versava la contessa
Clelia V...; poichè anch'egli conosceva la storiella di Milano, e la fuga di
lei, e com'ella se ne stesse in Venezia di contrabbando. Perciò, d'uomo
assalito qual egli era, pensò di farsi assalitore, cangiando in sull'istante,
sul campo di battaglia, e tattica e strategia; e d'una in altra cosa fermò il
partito di recarsi a fare una visita alla contessa. Nessuno può imaginarsi la
straordinaria svegliatezza della mente di quel tristo giovine, e il colpo
d'occhio onde sapeva scansare i pericoli nel punto di affrontarli, e come, ad
onta di così poca età e di una educazione sì rozza, avesse il senso di quelle
cose che non s'imparano che cogli anni, colla squisita coltura e con una gran
pratica di mondo. Aveva poi una memoria prodigiosa e una facilità strana
d'apprendere, tantochè, per venire ad un esempio,
in quel mese da che stette in Venezia, si era impadronito d'una buona metà del
dialetto veneziano e già ne faceva qualche sfoggio pe' suoi fini. Non è poi a
dire come della propria bellezza, di cui non s'invaniva, ma che valutava, quasi
a prezzi di stima, aveva stabilito di cavare quel partito che altri trarrebbe
dalla ricchezza e dalle altre facoltà che hanno peso e misura; sicchè, contando
sulla forza qualche volta onnipotente d'un bell'esteriore, aveva pensato che a
lui sarebbero state lecite tante cose, che agli altri potevan venire ascritte a
colpa. - Perciò aveva gran cura della propria bellezza, e dell'incarnato delle
proprie guancie; e dei denti bianchissimi, che puliva e curava colla sollecitudine
del soldato il quale sfrega col pomice la bajonetta, non per amore della
bajonetta, ma perchè gli deve servire in fazione. - La natura insomma aveva
largito a lui tutti i suoi doni, ma egli aveva condotto le cose in modo da
convertirli tutti in altrettante armi d'offesa, e ciò senza nemmeno averne
avuto un proposito deliberato; sibbene, torniamo a ripeterlo, per quella
pravità irresistibilmente attiva della sua natura, che solo sarebbesi mitigata,
o fors'anco si sarebbe tramutata in qualche altra cosa, se avesse avuto
un'altra nascita e un'altra educazione. Allora non sarebbe stato il Galantino
piè-veloce, ladro e truffatore, come lo vediamo indicato nelle carte che
abbiamo sott'occhio, ma sarebbe riuscito un gemello, per esempio,
di Fouché o di Talleyrand. A quell'ex-lacchè travestito occorrevano molte ore
di toaletta; e in quel mattino adoperò la pomata di riserva, per poter far
visita con un certo successo, secondo lui, alla signora contessa.
Vestì pertanto l'abito più sfarzoso che aveva; un veladone
ampio di velluto nero, tutto tempestato di puntine d'oro, col panciotto d'una
stoffa a duplice trama di fil d'argento e di fil di seta azzurra, che dava
molteplici combinazioni di luce, d'ombra e di colori ad ogni screzio di piega;
coi calzoni corti di spinone, aventi legacci di velluto a punte d'oro come il
veladone, e fibbie di brillantini; tutto il resto faceva corredo e complemento
rigoroso al vestito principale.
Non solo adunque aveva adottato lo sfarzo e la ricchezza,
chè a ciò poteva arrivare in ventiquattr'ore qualunque villico arricchito; ma
nelle stoffe, nei colori, nel disegno de' ricami, nell'eleganza totale
dell'acconciatura, metteva l'intelligenza dell'uomo squisito, e persino il
colpo d'occhio dell'artista, talchè pareva un cavalierino che tenesse il
privilegio del buon gusto dal lungo uso della ricchezza, dalle continue
consulte col sarto, dai viaggi a Parigi, che allora era il quartier generale
della moda, e lo era diventato fin dal tempo di Luigi XIV, che gli storici si
sentirono obbligati a chiamar grande, forse per non aver pronta in quel momento
un'altra parola. Ma venendo ora al fatto, quando il Suardi fu bene in assetto,
dalla casa ove dimorava, presso al palazzo Pisani in campo san Stefano, discese
al rio, ove l'attendeva la gondola con un gondoliere in livrea, al quale,
nell'entrar sotto il felze, gridò: - Casa Salomon. Allorchè la gondola si fermò
davanti allo scaglione di quella casa, Galantino diede al gondoliere un breve
portafoglio di seta legato con nastri, fuor del quale spuntava una cartolina.
Allora, come ognun sa, non c'eran biglietti di visita propriamente detti e
propriamente fatti, ma c'eran i loro precursori; e giacchè era il secolo delle
eleganze più profumate e delle caricature, chi voleva farsi annunziare a qualcuno
per una visita, faceva presentare al guarda portone, perchè lo facesse avere al
padrone della casa, un bigliettino su cui scriveva il proprio nome, il qual
bigliettino veniva sempre collocato in un
portafoglio, in un astuccio, in un vezzo qualunque; e tali vezzi qualche volta
avevano un gran valore, essendo d'argento, d'oro e persino ornati di pietre
preziose; a seconda della ricchezza del visitatore, e del bisogno che aveva di
rendersi gradito e d'imprimersi bene nella memoria di chi voleva visitare; perchè
era di prammatica che il padrone o la padrona di casa, tolto il foglietto, e
letto il nome, si tenesse il vezzo per sè, come pegno e come dono. Il Suardi,
che conosceva tutte queste bizzarie della moda, aveva creduto bene di farne uso
in quell'occasione. Il gondoliere, chiesto pertanto della signora contessa
V..., presentò al servo il portafoglio di seta (la prammatica non voleva che in
una prima visita si sfoggiassero i metalli fini e le gemme). Il servo, il quale
era stato indettato dalla padrona di casa fin da quando la contessa le era
stata raccomandata, rispose non saper nulla di quel nome, ma che avrebbe fatta
l'ambasciata alla padrona stessa. Questa era in casa, e disse: - Va dalla
contessa, e domanda a lei quel che si ha a fare. Dal nome che è lì dentro ella
piglierà norma. Così, entrato il servo nell'appartamento della contessa e
fattosele annunziare, le presentò il portafoglio di seta; la contessa levò il
foglietto, e lesse - Galantino, per due parole. - Rimase stupita e sconcertata.
Il servo, ch'era a parte degli arcani, le chiese se avesse a licenziare il
gondoliere. La contessa non sapeva che risolvere; fremeva e arrossiva al
pensiero di dover ricevere una tal visita. Dall'altra parte temeva a
rimandarlo; però, dopo molte titubanze:
- Fallo entrare, rispose.
Galantino, ad onta della sua baldanza, stava pure in gran
paura non gli venisse un rifiuto dalla contessa: perciò quando il suo
gondoliere e la livrea di casa Salomon gli dissero di restar pure servito,
balzò fuori dalla gondola tutto pago e colla sua baldanza raddoppiata, e
s'avviò, preceduto dal servo, all'appartamento della contessa, annunciato lungo
i corridoj e le vaste anticamere dallo scricchiolio delle sue scarpe di
sommacco. Quando il servo spalancò i battenti dell'uscio della sala ove stava
la contessa, egli si trattenne in gran rispetto, sulla soglia, curvando il
tergo e chinando la testa fin quasi alle regioni dell'ombilico, di modo che
l'elegantissimo fodero della sua spada, alzandosi in quel movimento, veniva
colla punta a trovarsi a livello della testa. La contessa Clelia, stando in
piedi, colla mano dritta appoggiata ad un tavoliere, come una regina Elisabetta
in atto di dare udienza, chinò leggerissimamente il capo, in maniera però come
s'ella tentasse d'ingannare sè stessa sulla realtà di quell'atto. - Ma
Galantino alzatosi tosto, varcò la soglia, e fu nel mezzo della sala, faccia a
faccia con donna Clelia. Il servo si ritrasse, nè la contessa gli osò dir di
fermarsi. quantunque ne avrebbe avuta tutta la volontà. Passò qualche momento
in cui Galantino stette aspettando che donna Clelia si ponesse a sedere; ma
quando vide ch'ella non movevasi, senza mostrare il benchè minimo disdegno a
quell'attitudine di regina in trono, con una disinvoltura piena di garbo e con
un sorriso dolce, sebbene un po' affettato, le offerse egli stesso una sedia,
rompendo in questi termini il silenzio:
- Signora contessa, io non sono più il Galantino di Milano,
sono il signor Andrea Suardi, venuto a fermar la mia dimora a Venezia, perchè
qui, secondo il mio gusto, si spendono meglio i danari e si gode meglio la
vita. La fortuna mi è stata favorevole, e le carte e i tavolini verdi hanno
fatto venire nelle mie mani il danaro altrui. Oggi sono benestante e ricco...;
col tempo poi non è affatto improbabile ch'io diventi anche nobile. Conosco due
o tre qui di Venezia, che cent'anni fa attendevano al miglioramento delle carni
suine, ma che per aver fatto in processo di tempo un prestito alla serenissima
repubblica, oggi son nobili, dell'ultima qualità questo s'intende, ma nobili in
ogni modo. In quanto a me poi, l'assicuro, signora contessa, che del mio
passato appena mi ricordo.
Così dicendo, e porgendo la sedia, col gesto pregava donna
Clelia a voler sedere. Per quanto la contessa sentisse dentro di sè sdegno e
disprezzo e persino paura di quel vezzoso serpente che le stava davanti, pure
si lasciò per il momento quasi deviare e placare da quell'aspetto così vago e
sorridente, da quell'eleganza così profumata; credeva, ma senza che nemmeno
sapesse formular la cosa a sè medesima, che quel volto geniale, que' modi
eleganti e quel ricco vestito costituissero come un muro di divisione tra lei e
l'abbiettezza e la tristizia di quel giovane. - L'uomo è così fatto: anche il
più sapiente, anche il più astuto ama lasciarsi ingannare dall'apparenza, anche
allorquando sa benissimo che di sotto sta il marcio. - La contessa dunque
accettò la sedia, e dirimpetto a lei si pose a sedere il Galantino.
- Mi rincresce, disse allora questi, ch'io debba
incominciare il mio discorso con un rimprovero... e sorrideva maliziosamente,
mentre la contessa, abbassando gli occhi, non rispondeva. - Che malefizio egli
è poi, seguiva il Galantino, perchè lo si debba rompere in due da chi veglia a
notte tarda, che malefizio può essere egli mai che un giovinotto, il quale non
è ammogliato, faccia la sua corte ad una ragazza che non è maritata?
E fece un'appoggiatura su questa parola, e nel pronunciarla,
tutto il dolce che prima avea tentato di accumulare nella sua vivace pupilla,
scomparve, per lasciar intravedere un guizzo di luce sinistra e serpentina.
La contessa, tutta rimescolata a quelle parole, alzò di
repente gli occhi che aveva tenuti abbassati, e li fermò con tanta serietà
negli occhi mobilissimi del Galantino, che questi pensò di ammorbidire la lama,
e di darle una piega.
- Io non aveva cattive intenzioni (continuava), e non ne ho;
ma che colpa è la mia se quella ragazza è la figlia del conte Zen? poichè,
venga il diavolo a portarmi via, ma posso giurare che aveva tanto la testa ai
tavolini verdi in questi giorni, ch'io non pensavo a ragazze; ma colei mi parlò
tante volte e così chiaro con que' suoi occhi da penna di pavone, che a non
tenerle dietro e a non accompagnarla per vedere dove fosse il suo palazzo,
sarei stato una gran bestia.
Il lettore si avvedrà come lo stile di queste ultime parole
di Galantino faccia un po' di sconcordanza coi modi eleganti del suo primo
presentarsi; ma un giovane che era nato da un carrozziere, ed era cresciuto tra
le gambe de' cavalli, e dai dieci ai vent'anni non aveva fatto altro che
correre, facendo a gara con essi, bisognava bene che di tanto in tanto, a sua
insaputa, e ad onta della sua straordinaria attitudine a saper uscire da sè
stesso, lasciasse tuttavia trapelare fra poro e poro l'acre odor di cipolla.
Se non che la contessa non lo lasciò continuare, e
soggiunse:
- In conclusione, per qual fine voi oggi siete venuto da me?
- Per due oggetti.
- Quali sono?
- Uno è dedicato all'ottima signora contessa, e s'inchinò;
l'altro deve fruttare interamente per me; e del resto, una mano lava l'altra.
- Non vi comprendo affatto.
- Mi lasci parlare, e vedrà la signora contessa, che forse
le verrà fatto di capirmi.
|