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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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II Il conte Benedetto Arese, il giorno dopo che si vide eletto a patrocinatore del tenore Amorevoli, trovandosi nelle sale dell'Accademia de' Trasformati, prese pel braccio l'amicissimo suo Pietro Verri, e lo trasse nella libreria, dov'era un po' di silenzio. - Caro Pietro, mi trovo in un grave imbarazzo. - Capisco già cosa mi vuoi dire... Non sai da che parte incominciare a scrivere la difesa di cui sei stato incaricato? - Se tu non mi aiuti mi trovo al punto di rinunciare all'incarico. Tutti gli amici coetanei di Verri e quelli che erano stati suoi compagni agli studi, lo avevan sempre riguardato e lo riguardavano come colui che aveva su tutti un'incontestabile superiorità; acuto, arguto, epigrammatico, vivace, parlatore facilissimo, per poco che s'agitasse una questione, di qualunque più lieve cosa si trattasse, tirava gli altri facilmente dalla sua, o, almeno, costringeva tacere gli oppositori; il che se potè stornargli qualche amico che fosse un po' men caldo degli altri, se potè generare qualche antipatia, qualche odio, chi ha pratica di mondo se lo può facilmente imaginare. In ogni modo per una tale superiorità, tutti lo richiedevano di consiglio. - Caro Benedetto, disse il Verri all'Arese, non far la sciocchezza di rinunziare ad altri il patrocinio a te affidato; perchè se tu ti credi in un grand'imbarazzo, è questo invece il caso di cavarsela con grand'onore e con poca fatica. Una delle qualità caratteristiche del Verri era di non patir quasi d'invidia (diciamo quasi, perchè è una parola questa a cui non vogliamo rinunziare, tanto è comoda); provava esso dunque una gran soddisfazione nel procurare di far figurare bene i suoi amici. - Non so comprendere dove tu trovi sì grande facilità? - Passano anni, caro mio, e corrono centinaja di processi prima che si presenti il caso in cui abbia più desiderio il giudice d'aprir le porte al prigioniero che quasi al prigioniero di uscire; e quel ch'è più raro ancora, che il giudice sia tanto convinto dell'innocenza del costituito, al punto d'indispettirsi che questi mantenga un silenzio che è a suo danno. - Questo lo so anch'io, ma che mi fa a me? - È assai facile, caro mio, dare a credere al giudice quello che il giudice stesso pagherebbe qualche cosa per dar ad intendere agli altri. - E che ho io da fargli credere? - Che sia probabile, e, sopratutto, che sia verisimile quel che a tutta prima pare stranissimo e appena possibile. Fin adesso il tenore si è sempre ostinato ad un sol punto di difesa, non è vero? onde avrebbe sempre ripetuto, che passeggiando dopo il teatro e vedendo quel bel giardino di casa V..., non volendo perdere l'occasione di godersi tra quelle alte piante un chiaro di luna de' più limpidi, gli venne il ghiribizzo di fare un salto e di passeggiare in giardino. - Ma chi può prestar fede a una tale bizzarria? - Non è detto che una cosa bizzarra non sia una cosa vera. Qui sta il punto... Quante volte è capitato a me, quante volte sarà capitato a te, in villa, di saltare un fosso per entrare in un parco altrui, onde guardare cosa c'era di bello e di nuovo. - Chi non lo sa che un tal ghiribizzo può capitare a chicchessia? ma in villa, ma di giorno; non in una città, non di notte, non nel mese di febbrajo. - Sia qual tu vuoi, ma tu devi piantarti qui e addurre l'esempio di fatti consimili; poi c'è a tener conto della professione di cantante, la quale dà il diritto ad esser più matti degli altri. E poi c'è la vita passata del tenore, tutta senza rimproveri, per il caso ond'è imputato, almeno; poi c'è la sua agiatezza e i pingui quartali che vorremmo aver noi giovinotti di famiglia, che abbiamo i berilli sul borsellino, ma di dentro c'è poco o nulla, perchè i nostri buoni padri ci voglion troppo bene... non è egli vero, Benedetto mio caro? - E poi c'è la sua condizione di forastiero, e d'uomo che non è mai stato in Milano, e che per conseguenza non deve conoscer la pianta delle case, al punto da passeggiarci dentro e passar per le fessure come un topo domestico; e qui non sarà male il mettere un po' di ridicolo che faccia rilasciare i muscoli troppo tesi dei magnifici signori senatori. Alle volte val più un epigramma ben scagliato e a tempo, che tutte e tre le parti d'un'orazione ciceroniana... E poi già, non mi pare che si vorrà star tanto sodi sulle formalità; quante volte elle si dimenticano per peggiorare la condizione d'un galantuomo... A fortiori le si dovranno dunque dimenticare anche per lasciar respirare libero un galantuomo... Ma, per di più, c'è il fatto che il tenore è aspettato a Venezia; e i patrizj veneziani, che amano tanto la musica, faranno uno scalpore del diavolo perchè al tenore sia data facoltà di cantare a San Moisè... e c'è di meglio che il tenore è al servizio di sua maestà il re di Spagna, e io so che si è già scritto al re con tutte le circostanze mitiganti... e il re scriverà... e l'imperatrice ne parlerà al ministro di Vienna... il quale scriverà al plenipotenziario di qui... e... e poi bisognerebbe aver coraggio, nominar la contessa e tagliar corto e aprir la breccia; e giacchè si è già usciti dalla giustizia per riguardo di lei, ed essi lo sanno, quantunque non vorrebbero farlo sapere all'aria, così fulminarli con un quousque tandem che non manca mai di fare il suo effetto, un quousque tandem però, intendiamoci bene, condito con attestazioni di gran rispetto, e fiancheggiato di magnificentissimi e di eccellentissimi, tu mi comprendi. - Io ti capisco benissimo; ma in quanto alla contessa; nemmen per ischerzo è a consigliarmi di gettar là qualche cosa sul conto suo. Tu sai che mio padre... - Ah questi padri, questi padri benedetti, che pretendono di pigliar sempre per l'orecchio i figliuoli, anche quando i figliuoli ci vedon più di loro. E il giovane Verri si fece serio e tacque, per un momento, poi aggiunse: - Basta, io son certo che la tua riuscirà una bellissima difesa e che la spunterai, perchè ti proteggono il re di Spagna, i patrizj musicanti di Venezia, e il desiderio de' giudici, i quali imiteranno quelle dame, che nel loro interno sono felicissime di aver avuto la sventura d'essere state sorprese da un zerbinotto intraprendente e sfacciato. - Ma io sì che tengo i piedi in un pantano, da cui sarà difficile uscir netti, perchè se rispetto la verità e la giustizia e la coscienza, son sassate che vanno a cadere sull'invetriate dell'aula dei magnificentissimi senatori; e se mi propongo di lavorar di scherma soltanto per far sentire il suono del fioretto, ma senza ferire, io avrei vergogna di me stesso, e allora sarebbe meglio lasciar la difesa a un altro. - Ed io ne' tuoi panni farei questo precisamente. - È il migliore... - E lasciar in balia di qualche scimunito la ragione di quel povero diavolo di Lorenzo Bruni, che ti so dire essere un uomo di proposito e di pensamenti generosi tutt'altro che vulgari! Eppure non è che un povero suonatore di violino; ma quando questo è sano (e picchiava colla punta del dito sulla fronte), e la ragion naturale può andar dritta per la sua strada senz'essere trattenuta, contrastata, deviata dai pregiudizj, oh che sapienza è l'ignoranza!... - Ma e che dunque ti proporresti di fare? - Nient'altro che mettere la mia coscienza nel vuoto pneumatico, e liberarla da tutta quella pesantezza che le potrebbe derivare dai rispetti umani, e allora... - E allora? - Sarà quel che sarà. Ma non dir nulla di questi nostri discorsi nè con tuo padre, nè con altri, nè col marchese Beccaria, lo zio di Cesarino... A proposito del qual Cesarino, sai tu che egli è un ragazzo adorabile, e che tremo di lui soltanto perchè quello zio testardo potrebbe far tanto da riuscire a guastarlo?... - Oh... sinchè Cesarino sta in collegio a Parma, non è possibile che lo zio possa far male co' suoi consigli stemperati nelle lettere. Mentre i due interlocutori stavano così parlando nella sala della libreria, udirono un furioso batter di mani che veniva dalla aula maggiore dell'accademia de' Trasformati. - Si recarono dunque anch'essi colà, e stettero a udirvi dalla viva voce del buon Passeroni, un canto del poema il Cicerone, che di quel tempo egli stava componendo. - Quando il Passeroni ebbe finito di leggere l'ultima ottava del canto, l'accademia si sciolse, e i due amici partirono insieme cogli altri. Il Verri passò il resto della giornata meditando il suo subbietto, e la sera, quando uscì per fare una passeggiata, affatto solo, come soleva, verso il borghetto di porta Orientale, gli venne in pensiero che a riscaldare l'eloquenza e a far raccolta d'argomenti, per persuadere e, all'uopo, per intenerire i giudici, gli sarebbe stato necessario, giacchè aveva sentito replicate volte il Bruni nella sua prigione, di sentire anche la Gaudenzi, che trovavasi ancora in Milano, quantunque fosse già in sulle mosse onde trasferirsi a Venezia per la stagione di primavera. Pietro Verri, quantunque avesse ventidue anni, pure non era stato in teatro che poche volte, e anche quelle poche volte, sempre in compagnia di suo padre, il signor conte Gabriele; il quale non aveva mai permesso che il figlio si staccasse un momento da lui per uscire dal palchetto. Quel rigidissimo uomo non voleva assolutamente che il suo figliuol maggiore si trovasse neppure un istante in compagnia degli eleganti zerbini che passavan la notte in teatro a corteggiar dame, a giuocare nel ridotto, a dar mezz'oncie alle giovani corifee sul palco scenico. Perchè è un fenomeno curioso e che può dar molto a fare alla riflessione d'un filosofo, quello che, mentre il costume generalmente era allora così rilasciato, e le tresche amorose costituivan l'affare più importante e più continuo della vita, e le dame giovani sfoggiavano tal nudità che oggi farebbe senso, e le leggi del matrimonio avevano assunto un'elasticità senza pari (e diciam questo perchè lo troviam detto e ripetuto in storie, in libri di costumi, in poesie, ed anche ce ne assicurò, oltre al nostro amico Giocondo Bruni, qualche altro vecchio vivente, che giunse in tempo per mettere il labbro sull'orlo di quei vasi di voluttà); pure dall'altra parte è incontrastabile che l'educazione, nell'intimo della maggior parte delle famiglie patrizie e non patrizie, si manteneva rigidissima; che i padri e le madri attendevan più a farsi rispettare e temere che amare dai figliuoli; che il tu di Roma antica e il tu alla quacchera d'oggidì era ignoto tra genitori e figliuoli, e sarebbe allor sembrata una profanazione l'assumerlo e l'accordarlo. Guai se alla mattina, prima dell'ora d'asciolvere, le ragazze non si recavano, con una prolissa riverenza appresa a scuola da suor'Agata e da suor Martina, a baciar l'anellone d'amatista del signor papà e l'anellino di brillanti della signora mamma; guai se i ragazzi non imitavan le ragazze; e se ciò non si ripeteva e prima e dopo il pranzo, e prima e dopo la merenda, e prima e dopo la cena; perchè è un altro fenomeno storico che i nostri avi mangiavano più di noi. Come dunque, ad onta di tanti rigori e di tanta etichetta casalinga, e di tanto risparmio di sorrisi confidenziali, dalla casa uscissero nel mondo tante zucche vuote e tanti scapestrati e gaudenti e voluttuosi, è un problema che mal si riesce a sciogliere; nel modo istesso che non possiamo spiegare come ne' libri e nelle satire e nelle opere dell'arte, ad ogni quattro parole, ad ogni pennellata si accenna all'ignoranza classica dei nostri avi patrizj, mentre poi il più de' giovani studiavan legge e si mettevano in lista per entrar al nobile collegio de' giureconsulti, alle magistrature, al Senato? - La spiegazione noi crederemmo di trovarla in ciò, che nei libri anche i meglio riputati, il più delle volte le cose e gli uomini e i tempi si considerano da un lato solo, nel che sta il gran segreto di far scaturire il falso perfino dall'istessa verità. Ma tornando al giovane Pietro Verri, sebben trattenuto in palchetto dai rigori di suo padre, aveva però vista e contemplata e quasi divorata la bellissima Gaudenzi... Era giovinotto, era vivacissimo. E la simpatia verso la beltà, se non è una prova, è sempre un indizio di squisitezza di sentimento e d'animo gentile. La ballerina Gaudenzi aveva dunque fatto, se non nel cuore, perchè non sempre si arriva fin là, certamente nell'imaginazione di Verri una fortissima impressione; ond'esso invidiò spesso i cavalierini che si recavano a visitarla sul palco scenico - fin qui non c'è nulla di male. Nè quella figura gli era uscita di mente, anche dopo il tempo trascorso dall'ultima notte ch'ei l'aveva veduta in teatro; ed è anzi probabile che, una o due volte al giorno, ella facesse una visita, sebbene di pochi minuti, alla memoria di lui; chè le cose straordinariamente belle si piantano con ostinazione nella mente di chi è nato a comprenderle, pur nella sfera, intendiamoci bene, ingenua e pura e sgombra dell'estetica. Per tutte queste cose, quando si sentì eletto a difendere il Bruni, e da costui ascoltò ripetute le lodi ch'eran già corse in pubblico della virtù di quella giovinetta, virtù tanto più preziosa quanto ora men facile in quella professione; gli venne il desiderio di conoscerla da vicino e di parlarle. Il desiderio derivava da una fonte un po' sospetta, ma il giovine Pietro s'ingegnò a dargli l'ammanto della necessità impostagli dal suo delicato ufficio di patrocinare colui che le teneva luogo di padre. - Si recò dunque in porta Romana, e, d'una in altra contrada, fu alla casa dove dimorava la Gaudenzi. - Ma tutto il coraggio gli mancò quando fu in veduta della porta, - indizio che non era proprio convinto della necessità di quella visita. Il timore che suo padre potesse mai giungere a sapere ch'egli era andato nella casa della ballerina Gaudenzi, lo annientò, e al segno, che fu per retrocedere. - Una batteria di pensieri avversi gli rintronò nel capo per qualche minuto; ma poi si fece animo, e gettata un'occhiata di sopra, di dietro, a dritta, a sinistra, per assicurarsi se nessun suo conoscente lo vedeva in quel punto, entrò nella porta. - Com'è ingenua e pudica la giovinezza degli uomini straordinarj!
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