IV
Là chiuso, si diede a passeggiare tutto pieno e invasato del
suo argomento, lodandosi seco stesso dell'aver fatto visita alla ballerina
Gaudenzi, perché dall'osservazione attenta di quella beltà, di quella virtù, di
quella schiettezza, di quel dolore, e dai particolari che in sì caldo accento
erano usciti dalla bocca stessa di lei, e costituivano il più completo e
appariscente ritratto di Lorenzo Bruni, s'accorgeva che gli eran venute nuove
idee e nuovi fervori; però gli pareva di poter alla fine scrivere una difesa
tale da conquidere trionfalmente l'animo dei giudici, pur senza omettere
nessuna verità nuova e coraggiosa. L'animo e l'ingegno del Verri era di quella
tempra saldissima, che dal momento che una cosa vera o creduta vera gli facea
forza, non gli era più possibile, per nessun conto, nè dissimularla nè tacerla,
non che falsarla. Poteva adattarsi alla più sommessa obbedienza in casa, a non
star fuori oltre i tocchi della campana della piazza de' Mercanti, a non andare
in teatro solo, a non frequentare certe conversazioni; ma non poteva piegarsi a
far proprie le idee e le convinzioni di suo padre, dal momento ch'egli ne aveva
di assolutamente contrarie.
Si mise dunque a tavolino, e con velocità animata dalla
concitazione empì tre o quattro fogli di carta. Noi abbiam veduto un ritratto
giovanile di Pietro Verri, che press'a poco potrebbe dar l'idea della sua
faccia quand'egli era preoccupato di qualche forte pensiero: occhio vivace,
arguto e tanto quanto espanso, che sembra
inseguire un'idea balenata d'improvviso; guancia calma e fiorente, naso breve e
bocca soavissima, la quale quasi sempre si
osserva in coloro che hanno squisitezza e di mente e di cuore.
Quand'ebbe finita quella non breve scrittura, se la lesse
tutta ad alta voce, e si stropicciò le mani come pago d'aver detto tutto quello
che voleva dire; se la rilesse poscia... e cominciò e pentirsi di alcune
espressioni troppo ardite, e di quelle segnatamente dove metteva quasi in
istato di accusa l'autorità giudiziale. Volle rimediarvi, e cancellò tutto quel
brano; ma poi s'accorse che ad ometterlo si distruggeva tutto l'edificio, e si
taceva la sola verità insolita e coraggiosa che poteva dare alcun merito a
quella difesa; onde rifece il periodo, ammorbidendo soltanto le frasi, decorandole
di vocativi pieni di sommessione, e conservando intatto il concetto. Infine
pensò che il miglior partito era di far la versione di quella difesa in lingua
latina; e ciò per due ragioni: la prima, che l'idioma del Lazio, costringendo
l'intelletto degli ascoltatori a fare un breve lavoro, prima di averlo tutto
quanto tradotto in parole schiette e lampanti, la verità si ammorbidiva nel
trapasso dal latino all'italiano, e le toglieva di far l'effetto di un sasso
scagliato altrui senza pietà; la seconda ragione consisteva in ciò, che suo
padre era innamorato della lingua latina, e le poche volte che lo aveva veduto
sorridere con insolita compiacenza fu sempre
nelle occasioni che egli stesso aveagli dato a leggere qualche proprio scritto
latino. Così dunque pensò, e così fece. Ma ci voleva ben altro. Lavorò buona
parte della notte e il giorno successivo a far la traduzione; poi al terzo dì
la presentò al Capitano di giustizia. Non ci pare qui il luogo opportuno di
riportare per intero quella lunga difesa, nè tampoco di darla tradotta, nel
nostro italiano; chè troppe cose sono in essa riassunte, le quali già furon
dette e ripetute da noi in più luoghi; soltanto diremo come l'esordio toccasse
alcune idee generalissime intorno alla genesi ed allo scopo della legge, nel
quale intese a far campeggiare il concetto, che tutti debbono essere eguali in
faccia ad essa; poi venne a parlare delle leggi statutarie, poi delle gride e
ordinanze suggerite da casi speciali; poi si fermò all'ordinanza del ministro
plenipotenziario governatore di Milano, conte Palavicino, relativa alle
maschere-ritratti, lodandone assai l'opportunità e la saviezza.
Ma qui parlò dell'intento che aveva quell'ordinanza, la
quale proibiva le maschere non per sè stesse, ma per i gravi e deplorabili
danni che, adoperate da uomini iniqui, avevano prodotto; faceva allora
acutamente intendere come la prava intenzione e il delitto consumato per mezzo
di essa erano i soli elementi che costituivano il caso della penalità e della
sua misura. E poi, piegando la parola al fatto speciale del Bruni, mostrava che
non avendo egli avuto nessuna prava intenzione, anzi l'intenzione essendo stata
lodevole come di chi protegge e difende chi sopporta ingiustamente una
calunnia; e, per risultato, non esibendo la consumazione di nessun delitto, ma
sibbene lo scoprimento di una verità che ridondava a vantaggio dell'innocente e
a danno di chi veramente era in colpa; venivasi con ciò a costituire un caso
specialissimo, pel quale quell'ordinanza doveva cessare dalla sua forza attiva,
e, in ogni modo, doveva consigliar d'interpellare il voto dell'eccellentissimo
governatore per una grazia straordinaria. Ai quali argomenti che mettevano in
chiaro l'assenza d'ogni colpa per parte del Bruni, di cui tesse l'elogio
riferendo le attestazioni della stessa Gaudenzi, della quale pure lodò la vita
senza rimprovero, come portava la pubblica opinione; fece osservare che non
sarebbe avvenuta nemmeno la materiale contravvenzione alla legge, se la
magistratura non si fosse imposta un obbligo che veniva a ferire il diritto
comune, l'obbligo cioè di considerare come intangibile dalla legge e persino
dai sospetti la nobiltà di una persona, dalla quale precisamente si dovevano
incominciare le indagini. E qui riferiamo un passo, che ci pare assai squisito:
"Nè io credo nemmeno che potesse andar offeso il carattere della nobile
contessa se fosse stata interpellata in giudizio; chè forse quelle voci
vituperose che or circolano in pubblico contro di lei, sarebbero state
trattenute da una parola detta in tempo al giudice; così invece, tanto più
l'opinione si compiace a denudare e ad esagerare le colpe di una persona,
quanto più s'accorge che la magistratura discende dal suo nobile seggio, al
punto di tentar di scambiarle le carte in mano e d'ingannarla."
Questa difesa, quando fu letta, fece l'effetto che
naturalmente doveva fare, quello cioè di tirar addosso al giovane Verri tutta
l'iracondia della magistratura.
Quasi contemporaneamente a questo scritto, fu presentata al
Capitano di giustizia la difesa di Benedetto Arese, una cosettina magra e che
per se stessa non poteva certamente essere il tocca e sana per le disgrazie del
cantante di camera di S. M. il re di Spagna. - Ma quanto lo scritto del giovane
Verri aveva provocata la collera e lo spirito di contraddizione e negli attuari
e negli assessori e nel vicario e nell'eccellentissimo capitano marchese
Recalcati; e, allorchè fece il suo passaggio d'ufficio al Senato, anche in
tutti i senatori e nel loro presidente; altrettanto trovò lode e fautori quella
dell'Arese. - In simile maniera noi vediamo nelle accademie e letterarie e
scientifiche e artistiche, le quali, per consueto, portano inalberato sul
frontone il vessillo del Così faceva mio padre, accordarsi la medaglia d'onore
a colui che nell'opera prodotta lusinga l'amor proprio de' giudici e sta ligio
ai sistemi invalsi, e non avendo la forza di camminar colle proprie gambe,
s'appoggia al braccio altrui.
Quella difesa dell'Arese fu dunque tale, che dispose gli animi
a far maturare una sentenza d'assoluzione a favore del signor Amorevoli. Se non
che un bel giorno fu presentato d'urgenza un libello dell'avvocato Carl'Antonio
Agudio, patrocinatore del figliuolo della signora Celestina Baroggi, nel qual
libello si esponeva il fatto del testamento olografo stato scritto dal marchese
F... dietro dettatura del dottor Macchi notaio, a favore del figlio suddetto
della Baroggi; riferiva che tra le carte del detto marchese non s'era più
trovato il testamento in discorso; si conchiudeva, che essendo noto il
trafugamento delle carte che stavano nello scrittoio di esso, l'avvocato
patrocinatore e il reverendo proposto di S. Nazaro, tutore del figliuolo della
Baroggi, facevano istanza perchè si rinnovassero le indagini più severe, allo
scopo di rinvenire il trafugatore; e nel tempo istesso facevan rispettosamente
intendere che, sebbene le presunzioni a danno del costituito signor Amorevoli
paressero prive di fondamento, l'eccellentissimo capitano di giustizia, quando
mai nell'alta sua saviezza credesse di mandarlo assolto, adoperasse tuttavia in
modo che non potesse evadere dalle ulteriori possibili inquisizioni
dell'autorità criminale.
Aveva in pubblico fatto gran senso che, in quel non breve
tempo trascorso dalla cattura dell'Amorevoli, non si fosse proceduto con tutti
i mezzi reclamati dall'importanza del caso, segnatamente per l'interesse del
figlio della Baroggi, che dicevasi essere stato istituito erede universale dal
marchese F...; e però il reverendo proposto di san Nazaro aveva ricorso
all'avvocato Agudio, il quale godeva fama di gran legista, e quel che più
importa, di gran galantuomo, e ciò che meglio preme ancora, di grande ostinato;
e il solerte proposto avea fatto capo a lui come a quello che potea aver la
forza di conservare nella sua dritta strada la trattazione d'un affare che per
mille circostanze poteva essere deviato.
Tornando ora all'Amorevoli, s'egli non avea motivo di
lodarsi troppo della fortuna, venne però chi dovea trarlo d'imbarazzo. Allorchè
donna Paola Pietra ricevette l'ultima lettera dalla contessa Clelia, dove,
colla raccomandazione del segreto, le era fatta la rivelazione intorno al
lacchè Suardi; ella nella sua saviezza pensò che non era a tener conto nessuno
di quella raccomandazione di segretezza; invece, senza por tempo in mezzo, fece
una seconda visita al marchese Recalcati, al quale raccontò il fatto del
Galantino, e della vita sfoggiata che colui conduceva a Venezia, e come eranvi
tutte le ragionevoli presunzioni che il trafugatore fosse stato colui medesimo.
Quel nome del lacchè Galantino fu per il marchese Recalcati
come uno di quei lampi, che, solcando di tratto il fitto bujo, lasciano vedere
la posizione degli oggetti circostanti; tanto che uno che abbia smarrita la
via, si raccapezza, ed esclama: Ora comprendo per qual parte si dee camminare.
- Laonde non sono a dire le feste e le accoglienze ch'egli fece e i
ringraziamenti che espresse a donna Paola per quella improvvisa e non aspettata
rivelazione. - Lasciandolo ora nel pieno godimento di quella scoperta, saltiam
via due giorni, che in faccia a cento anni sono un bicchier d'acqua in faccia
al mare, e rechiamoci in casa Verri, in un giorno che l'illustrissimo signor
conte Gabriele dava un pranzo quasi diplomatico.
La sfera dell'orologio percorreva l'arco di quella mezz'ora
o di quel quarto d'ora che precede il momento solenne, in cui il cameriere in
gran livrea diventa un personaggio importante, vogliamo dire, in cui grida
dalla soglia: In tavola. In una sala d'aspetto, ferveva, o diremo meglio,
languiva la conversazione tra molte persone divise in varj gruppi, ciascun de'
quali constava di elementi tra loro affini. - Gravi personaggi di toga e di
spada, conti e marchesi e cavalieri che non avevano altro peso da portare che
il diploma d'accademico Trasformato, dame e matrone e giovani donne e spose -
non una fanciulla. - Il conte Gabriele Verri stava parlando in un angolo della
sala col marchese Beccaria, lo zio di Cesare.
- Vedo pur troppo, caro marchese, diceva il conte Gabriele,
che questo mio figliuolo, pel quale non ho risparmiato nè cure nè dispendj,
vorrà essere la mia croce.
- Ve l'ho detto più volte; bisognava lasciarlo a Roma
maggior tempo, o a Parma; la sua vivacità fu sempre
eccessiva e bisognava metter acqua e cenere sul fuoco. Vi sono certi
temperamenti, che, a lasciarli svampare prima del tempo, diventan acidi come il
vino mal turato.
- Ma... volevate che a ventidue anni lo tenessi ancora in
collegio?...
- In collegio no... ma mettergli accanto un uomo di
proposito, un sacerdote di vaglia...
- Se la mia severità non è valsa a nulla, che cosa volevate
che facesse un prete?
- Voi vedrete quel che ne farò io di Cesarino, perchè
bisogna che ne prenda io stesso la cura. Suo padre è troppo dolce. Se si vuole,
il fanciullo è pieno d'ingegno, e in collegio lo chiamano il piccolo Newton; ma
quanto è maggiore l'ingegno, tanto son maggiori i pericoli; ond'io veglierò...
così avessi vegliato ne' giorni che da Parma venne a Milano questo carnevale;
perchè si trovò spesse volte col vostro Pietro... il quale non so che malefizj
abbia fatti a quel ragazzo, che mi venne fuori un giorno con certi propositi, i
quali non mi piacquero niente affatto.
- Davvero?
- Per l'appunto.
- È dunque bisogno di qualche provvedimento serio a riguardo
di mio figlio... Son dieci giorni che mi venne in mano quella difesa, e quando
l'ebbi letta non ho più permesso ch'ei mi comparisse dinanzi. Ma quel che più
mi fa dispiacere si è, che non manca d'ingegno... e quello scritto... mi dà a
divedere che, se fosse meglio diretto, potrebbe...
- Ma dove è andato a pescare tutte quelle idee, diciamolo
pure, rivoluzionarie contro i nobili e contro le autorità? Ma sapete che c'è
voluto un bel coraggio?
- È questo appunto ciò che m'affligge, e tanto più che...
son cose che si pena a dirle... ma pur troppo s'è fatto male a non far caso
della contessa, in quel malaugurato processo... A mio dispetto devo dirlo, e
Pietro non sbagliò nell'affermare che, conosciuta in tempo la verità, si poteva
sopir tutto senza che ne trapelasse nulla al di fuori. E così... un dì un
fatto, un dì un altro... ci ridurremo alla fine... ve lo dico con crepacuore, a
perdere la fiducia del popolo, e allora...
E qui si fermò come colpito da una dolorosissima idea, indi
soggiunse dopo alcuni momenti:
- E adesso c'è quest'affare del testamento del marchese F...
e del lacchè..., che è una spina acuta e pericolosa, la quale può aprir piaghe
profonde, e trarsi dietro cento malanni. Ah, marchese, qui sotto c'è qualcosa
di seriissimo, e guai se... Il marchese Recalcati me ne fece or ora un motto...
che tosto gli ho troncato in bocca... perchè se una parola è pronunciata fuor
di tempo e a sproposito... ne scaturisce un'iliade di sciagure...
Il marchese Beccaria guardava fisso il conte come a
sorprendergli nell'occhio il segreto del pensiero; poi soggiunse:
- Se un sospetto lo fa uno, lo può fare un altro, e lo ponno
fare cento; e tanto più quelli che patrocinano il figliuolo della Baroggi...
poichè, a dir la verità, questo contrattempo del lacchè... qualcuno già deve
averlo pagato il lacchè a fare il colpo... e chi mai poteva avere interesse a
ciò, se non...
- Zitto... la marchesa D*... è là, e ha intenzione di dar la
figliuola al figlio del conte e ci potrebbe sentire...
- Ma in conclusione, che si pensa di fare?
- Non ci possono essere due partiti in affare di tanta
delicatezza... La giustizia dee fare il suo debito senza essere impacciata da
nessun riguardo. Anzi si è già scritto al Senato della serenissima Repubblica
di Venezia perchè, se siamo in tempo, passi tosto alla cattura del lacchè;
soltanto è mestieri che di tal fatto si mantenga un segreto profondissimo, e
non si facciano scandali; perchè guai se il popolo s'accorge che il contagio
viene da quel ceto a cui la provvidenza ha ordinato di essere d'esempio
e di edificazione a tutti gli altri. - Ma c'è un'altra cosa, marchese caro, che
mi ha passato l'anima, ed è che, ieri l'altro, Pietro, mentre stava supplicando
sua madre a farsi mediatrice di pace tra lui e me... d'uno in altro discorso
vennero a toccare, non so come, un tal tasto; e a Pietro scappò detta... questa
frase ribalda: - Se il conte F... fosse un sensale di piazza, a quest'ora il
capitano di giustizia gli avrebbe già fatto mettere le manette. Convien dunque
che oggi teniamo con lui un discorso serio e dolce nel tempo stesso. Oggi ho
dato, posso dire, questo pranzo d'invito per lui, perchè, necessariamente, non
ne potendo venir escluso per decoro, io avrò l'occasione di volgermi a lui
senza cedere; ed egli d'accorgersi che io non sono poi un uomo inesorabile. Così
dopo il pranzo, noi lo faremo chiamare in un'altra camera, e gli terremo un
discorso che valga ad insegnargli la prudenza, ed a provargli che è sempre
in via di bene tutto quello che noi facciamo; e che finchè uno è giovane,
l'esperienza la deve apprendere dai vecchi. Ah pur troppo, caro marchese, la
gioventù ha preso aria in questi tempi, e bisogna ricorrere all'astuzia perchè
non sian crollate le basi di una salda autorità paterna.
Ed or lasciando che questi rigidi vecchi se la intendano col
giovinetto Pietro, ritorneremo a Venezia, e volgeremo i passi verso il calle
del Ridotto.
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