VII
La letteratura sarebbe assai più feconda se avesse il
comodissimo privilegio della musica, nella quale, allorchè un maestro si trova
a contatto di una bella situazione drammatica, e si ricorda d'aver letto in
qualche vecchio spartito un bel motivo che gli paja ben adatto alla situazione
stessa, se lo appropria senza molti scrupoli e senza timore che gli si possan
fare i conti addosso. Il sommo, l'unico, l'immortale Rossini, allorchè un amico
gli fece osservare, a proposito d'un suo celeberrimo quartetto, che quella
musica trovavasi già in un vecchio spartito di Meyer, il maestrone non fece
altro che crollare il capo, ed esprimere la sua compassione per la mellonaggine
dell'amico scrupoloso, soggiungendo, per un di più, queste parole: - Dal
momento che a quella situazione non c'era e non ci poteva essere musica più
acconcia di quella già fatta da Meyer, perchè correr pericolo di guastare una
situazione per la smania puerile di fare una musica nuova? - Oh così potessimo
godere anche noi di un tal privilegio, e tanto più che vi avremmo un diritto
maggiore per la nostra condizione di non immortali! In virtù di questo
privilegio noi oggi non avremmo fatto altro che riportare come cosa nostra
quella bella variazione che Goethe mise in bocca al suo Fausto sul tèma eterno
della primavera: "I ruscelli e i torrenti si disvolgono sotto il soave,
vitale sguardo della primavera; il vecchio e debole inverno si va ritraendo sull'ispide
cime dei monti. Di lassù ci manda ancora, nella sua fuga, qualche spruzzaglie
di gelo, ecc., ecc.," e così, senza molta fatica e colla sicurezza d'un
gran successo, avremmo fatto l'istrumentale d'introduzione all'aria di sortita
del tenore Amorevoli, che uscì di fatto di prigione in primavera, mentre faceva
una splendida mattina del mese d'aprile, un aprile che avrebbe ben potuto
chiamarsi fiorile anche prima della nuova nomenclatura della repubblica
francese. Oh dev'essere bene esuberante la gioja che prova un galantuomo il
primo istante che, preso commiato dall'amico secondino, esce all'aperto,
libero, tra gente libera... vogliamo dire senza manette. E una tal gioja non
possiamo gustarla che per intuito, dal momento che non abbiam mai avuto, non
sappiamo se la disgrazia o la fortuna, d'andare in prigione; diciamo la
fortuna, perchè da quel Giuseppe che disprezzò
la moglie di Putifarre, al violinista Tartini, pare che la prigionia talvolta
faccia l'effetto d'un di que' sogni per la cui virtù discendono infallibili ai
mortali i numeri del lotto. Ma, per tornare a' fatti nostri, Amorevoli uscì
tutto attillato, dalla prigione; chè i secondini pagati lautamente da lui, gli
avean sempre fatto i punti d'oro. Uscì, e
venendo per contrada Nuova e piazza Fontana, s'avvide di esser presso alla
contrada Larga, e, per conseguenza, vicinissimo al teatro Ducale; però non ebbe
allora altro pensiero che di recarsi là, e presto si trovò alla porta del
teatro. Zampino, il servo del palco scenico, fu il primo a raffigurarlo, quand'egli
si mostrò all'ingresso, e fu per cadere in deliquio per la gioja; non c'è nè
cane barbone, nè cane maltese, nè cane pinch, che sappia fare smorfie e salti
di consolazione alla vista d'un padrone ritrovato, quanti ne fece quel caro
nanerottolo di Zampino a vedere la faccia del suo tenore, del signor Angelo
Amorevoli, il quale era stato la sua risorsa durante la stagione di carnevale.
- Nè Zampino si fermò lì, ma sempre, come un
buon cane amoroso che corre abbajando in casa per annunciare alla famiglia la
venuta del padrone aspettato, corse in teatro, dove si facean le prove per la
stagione di primavera, e ad onta che la nuova prima donna signora Amarillide
Bagnoli stesse sfoggiando una cadenza di parata, gridò con quanta voce aveva in
corpo: Signori, è qui il signor Amorevoli! è qui finalmente il signor
Amorevoli!
Tutti i professori d'orchestra, i cantanti, i coristi, le
comparse non ebber più l'animo alle prove, e furon tutti intorno all'Amorevoli
a tempestarlo di domande e di congratulazioni; tanto che egli si vide obbligato
ad invitarli tutti a pranzo all'albergo dei Tre Re, dov'egli era alloggiato e
dove, pochi momenti dopo, si recò in compagnia di Zampino, de' cui servigj in
quella giornata aveva grande bisogno. - E là non è a dire la festa che gli
fecero l'oste, i camerieri, il cuoco, il quale andava superbo della confidenza
che gli aveva accordato il primo tenore del teatrino, quel tenore tanto
affabile che più volte erasi recato in cucina, con insolita degnazione, per
ordinargli dopo il teatro il solito brodo a gelatina. - Ma il nostro Amorevoli
entrò finalmente nel suo alloggio, rimasto vuoto da tanto tempo, e che l'oste
aveva voluto a buoni conti chiudere a chiave nel tempo della cattura, pensando
che qualcuno avrebbe pagato, e quando non si fosse presentato nessuno, si
sarebbe pagato egli stesso col baule e coi tre cassoni, zeppi di roba e di
vestiarj. A proposito dei quali, Zampino fu tosto in faccende per far loro
pigliar aria, chè questa era sempre stata la
sua incombenza; e intanto che il tenore attendeva a dare udienza alle visite,
delle quali, dopo alcun'ora, cominciò la processione, era bello vederlo a
togliere da un cassone un elmo che aveva servito nella parte d'Alessandro nelle
Indie, e pulirlo colla seppia; toglier da un altro una daga con lama di
damasco, che aveva brillato nell'Artaserse, e strofinarla con panno lano;
sprigionare e spiegazzare un manto rosso tutto ricamato in oro, dicevasi, da
una principessa incapricciatasi del signor Amorevoli (manto prezioso, che molto
aveva contribuito al successo del Ciro in Babilonia), e metterlo a pigliar aria
sulla ringhiera; e tirar fuori stili e stiletti d'ogni sorta con foderi di
velluto di tutti i colori e prepararli per dar loro la polvere di pomice, e
disporre tutte in giro a cavalcione della stessa ringhiera quelle dieci o
dodici paja di maglie, color carne, bianche, rosse, azzurre. - Oh com'era
felice Zampino di aver ripigliato quell'operazione importante!
Quando le visite, fra le quali, oltre ai nobili ispettori
del palco scenico, vi furono molti giovani cavalieri delle primarie famiglie,
singolarmente innamorati della musica, concessero un po' di respiro al nostro
tenore, divenuto in quel dì il personaggio più considerevole della città, al
punto che se avesse fatto pagare il biglietto d'ingresso per farsi vedere,
avrebbe guadagnato una bella somma; allorchè dunque tutti coloro lo lasciarono
respirare, ed ei si trovò solo un istante, colse il momento opportuno, ed uscì
per recarsi egli stesso a fare un atto di dovere con sua eccellenza il
governatore conte Pallavicini, alle cui feste aveva cantato più d'una volta, e
che, per quanto gli era stato riferito, aveva messa una valida parola a di lui
vantaggio. Quando dall'usciere fu introdotto nell'anticamera magna, dove da
qualche ora stavano in aspettazione i molti che si erano dati in nota per
parlare a sua eccellenza, vide uscire dalla stanza del governatore la Gaudenzi
appunto, insieme con la quale trovavasi donna Paola Pietra, ch'egli non
conosceva. - Si riconobbero tosto e l'una e l'altra, e pari essendo stata la
meraviglia in ambidue, si corsero incontro interrogandosi a vicenda:
- Voi qui?
- Qui voi?...
E tosto la Gaudenzi volgendosi a donna Paola:
- È il signor Amorevoli, disse.
- Che oggi per la prima volta respira un po' d'aria libera,
soggiunse tosto egli stesso.
Donna Paola, sentendo quel nome, non potè a meno di guardare
il tenore con grande curiosità, ma non disse nulla.
Continuava intanto la Gaudenzi:
- Sono qui, come vedete, perchè la nobile signora (e
additava donna Paola) che si è degnata di accordarmi la sua protezione, ha
avuta la compiacenza di presentarmi ella medesima a S. E., per impetrare la
grazia del signor Lorenzo Bruni.
- Scusate, disse Amorevoli, io vengo dal bujo, e veggo ancor
bujo; qualcosa ho sentito dire, ma di preciso non so nulla; intanto che
aspetto, vogliatemi dunque raccontare ogni cosa; e con atto di cortesia
presentava una sedia a donna Paola.
- Non vi pigliate incomodo, ella disse, mi attende la
carrozza che mi dee condurre dove sono aspettata. Voi intanto, cara mia,
soggiunse volta alla Gaudenzi, indugiatevi qui fin che il segretario vi porga
il biglietto confidenziale di S. E. per il presidente del Senato... E in quanto
al resto, vivete di buon animo, chè presto, mi lusingo, sarete uscita da ogni
fastidio; che Iddio vi benedica! - E partì.
- Oh che santa donna, oh che donna amorevole è quella che
ora ci ha lasciati! disse la Gaudenzi. Senza di lei sa Iddio che mai sarebbe
avvenuto di Lorenzo! - E si fece a raccontare all'Amorevoli tutto l'imbroglio
storico che noi sappiamo. Amorevoli, che in prigione non aveva raccolto che
qualche frammento di notizia dai secondini, il quale gli avea cresciuto la
confusione delle idee, mentre poi coloro che lo avean visitato all'albergo non
l'avevano intrattenuto che di complimenti, credette di sognare quando sentì la
storia della maschera, del deliquio, della fuga, dell'arresto.
- Dunque la contessa è fuggita?
- Fuggita, sicuro.
- Ma dove?
- Si dice a Venezia.
- Oh!!!...
Amorevoli tacque...; la Gaudenzi non parlò. Un eloquentissimo
silenzio durò per qualche momento.
- Ma voi dovete ballare al san Moisè questa primavera,
soggiunse poi Amorevoli.
- Sì... e devo partire a giorni, e faccia la fortuna che
Lorenzo ci abbia ad accompagnare. Ma ho sentito che anche voi...
- Io sono scritturato, a stagione, pel carnevale venturo...;
in quanto alla primavera, non sono obbligato che per sei recite, e non ho
potuto dir di no, perchè quei signori patrizj mi hanno mandato una cambiale
colla cifra in bianco; perciò vedete bene che ho dovuto lasciarmi vincere.
La Gaudenzi sorrise, e non rispose nulla. In quella entrò un
segretario di S. E., e le consegnò una carta, ricevuta la quale partì di là,
insieme colla zia che l'attendeva in un angolo dell'anticamera.
Amorevoli stette aspettando che venisse la sua volta di
essere introdotto al governatore; per il che dovette lasciar passar quasi
un'ora avendo cangiata la noja dell'aspettare nell'altra noja non meno pesante
di dover subire mille interrogazioni da quanti erano là ad aspettare con lui.
Entrò finalmente dal governatore, trovò affabile
accoglienza, parlò, ebbe lusinghiera risposta, prese commiato, e, partito di
palazzo, e adempiute alcune altre faccende, ritornò finalmente all'albergo dei
Tre Re, dov'era già preparata una gran tavola per più di quaranta posate, la
quale era la tassa che Amorevoli doveva pagare per essere stato liberato dalla
prigione.
Il numero dei convitati l'avea dato Zampino, che in quel
giorno fu cameriere soprannumerario e sovrintendente. Poco prima delle due
tutti i commensali eran raccolti all'albergo. Alle due fu dato in tavola. Vi
sedevano la nuova prima donna, il nuovo primo tenore, il nuovo primo basso. Il
primo violino direttore d'orchestra, il maestro Giambattista Lampugnani, compositore
e concertatore; i rappresentanti di tutti gli ordini della gerarchia teatrale.
Il pranzo principiò in silenzio, si animò a mezzo, si riscaldò poscia; prima
cominciarono a parlare alcuni, poi ad uno ad uno entrarono tutti gli altri col
sistema precisamente degli stromenti d'orchestra; e col sistema del crescendo
rossiniano, allora nemmen sospettato dai maestri, quantunque fosse un modo
spontaneo della combinazione dei suoni, tutti si confusero finalmente in quel
poderoso e strepitoso unisono che compromette il timpano degli orecchi
delicati. Quando poi corse il moscadello e il monterobbio, e le idee nei
cervelli riscaldati cominciarono a far la ruota, non vi fu più ritegno nè di
parole nè d'allegria.
- Viva il tenore Amorevoli!
- Viva il re dei tenori!
- La simpatia delle platee.
- Dite piuttosto dei palchetti.
- Ah mio caro Amorevoli amoroso, saltò su un tal Frontino,
secondo tenore, un po' esaltato, tu porti il nome con te e dovunque tu vada,
quando non fai da Giasone, fai da Paride e fai da Enea... Ah diavolo che tu
sei, ti ho seguito un pezzo per tutti i primi teatri e d'Italia e di fuori... e
dappertutto hai sempre fatto l'effetto d'un
tizzone gettato in una polveriera... Ti ricordi a Roma... ti ricordi a
Napoli... Oh, a Napoli... quello fu un contrattempo!... E a Madrid... a
proposito, sei guarito da quella puntura nel collo?... Ah... ecco qui...
Chi si guarda dal guarnello,
Più si guarda dal coltello....
Ah! ah! ah!... Poveri mariti, dove tu bazzichi... È però
anche vero che non sei de' più fortunati... Là il collo fasciato, qui le mani
legate. Ah! ah! ah!, e rideva un po' perchè aveva ragione, un po' perchè il
vino rideva per lui.
- Taci, taci, Frontino, disse Amorevoli, e lasciami in pace,
e se sei allegro più del solito, sta in carattere almeno e parla di cose
allegre.
- Ho detto così per dire, e anche per darti un consiglio, il
mio Amorevoli, perchè so che tu vai a Venezia... e quella è la città dei
pericoli e dei trabocchetti amorosi. Però sta in guardia.
Ma gli altri compagnoni, sebbene allegri come il secondo
tenore signor Frontino, diedero di svolta a quel discorso malsano, e trovati
altri propositi, prolungarono sin quasi a sera lo sturamento del monterobbio; e
se ne uscirono tutt'altro che responsabili della conservazione del loro centro
di gravità. E fu davvero un mezzo prodigio se, verso mezzanotte, i suonatori
del teatro raccapezzarono tanto di lena e di fiato da mettersi a sedere ad una
orchestra posticcia innanzi alla porta dell'albergo dei Tre Re, per fare una
serenata di congratulazione e d'addio al celebre tenore che il giorno dopo
doveva partir per Venezia; perchè, se il lettore non lo sa, lo sappia adesso,
che prima di abbandonare il Capitano di giustizia, condotto a guardar la faccia
di Galantino, protestò di non ravvisarlo affatto; onde ebbe licenza, se voleva,
di partire anche dalla città di Milano.
La parte giovane e vivace e tanto quanto musicale della
popolazione di Milano, che aveva subodorata quell'accademia a ciel sereno,
affollò la contrada dei Tre Re, e, secondo il costume imperscrivibile dei
giovinotti di tutti i tempi e di tutti i luoghi, fecero un baccano del diavolo,
e chiamarono a gran voce il tenore, che dovette più volte mostrarsi sul
poggiolo dell'albergo a ringraziare, come se fosse una testa coronata, il buon
popolo delle attestazioni di benevolenza onde gli era cortese; e finalmente
potè andar a dormire quando i violini cominciarono a sentir l'aria umida della
notte, e gli strumenti da fiato cessarono di ricever fiato dai loro
proprietarj, che sonnecchiavano coi corni e i clarinetti in bocca.
Ma v'è chi dorme di notte, e v'è chi veglia; e precisamente
quando il tenore Amorevoli potè pigliar sonno, vegliava ancora... chi? un uomo
di cui il lettore si è forse dimenticato: il conte ex colonnello V..., il
marito della contessa Clelia.
Noi lo abbiamo lasciato in un tristo momento, in cui l'ira
gli era stata dimezzata in petto dalla pietà... Dopo, dovette cedere alle
circostanze... ai pianti della madre di donna Clelia, a quelli della sorella,
ai consigli del fratello... D'altra parte, fuggita la contessa, imprigionato il
reo tenore, quand'anche avesse voluto far mulinelli collo spadone che aveva
portato al reggimento, non avrebbe potuto che farli all'aria: si contenne
dunque fremendo, al punto che potè aderire al suggerimento di suo fratello, uno
del nobile collegio dei giureconsulti, e presentar la petizione formale per
ottenere contro la moglie la divisione giuridica di letto e di mensa. - Essendo
poi noto sì a lui come al parentado che la contessa erasi rifuggita a Venezia,
dopo il falso gioco tentato per far credere ch'ell'era stata rapita, più volte
ei fu in procinto di recarsi colà, e solo si trattenne al pensiero che poteva
nascere uno scandalo nuovo, superiore al disonore. Oltre a ciò, il fatto che
l'Amorevoli era in prigione, e trovavasi chi sa per quanto tempo fuor d'ogni
libertà d'azione, gli ammorzò il furore per quella parte che bastava onde non
lasciarlo partir da Milano.
Ma durante quella giornata seppe che il tenore era stato
messo in libertà; seppe inoltre (e a una tal notizia poco bastò non uscisse di
cervello affatto), che il tenore era stato scritturato dai messeri ispettori
del teatro di Venezia per sei recite. - Un uomo placido e di buon senso e di
spirito, che fosse nato, per esempio, a Parigi
e fosse un seguace del sistema onde colà trattavansi le infedeltà conjugali,
non avrebbe fatto altro che recarsi a domandar consigli di prudenza a una mezza
dozzina di ballerine voluttuose del teatro del Re... Ma egli era
ispano-italico. - E questo fu il contrattempo. - Perciò, dopo il primo
subbollimento del sangue, si contenne in apparenza, e si finse tranquillissimo
coi parenti, col fratello, cogli amici; e tutto questo per potere annunciar
loro, senza generare sospetti, che voleva lasciar per qualche tempo la città, e
uscire a diporto... Partì dunque due giorni dopo, quasi contemporaneamente
all'Amorevoli... e, pur troppo, alla volta di Venezia. Abbiamo pertanto,
lettori amici e nemici, tutte le ragioni di credere che la guerra sia
tutt'altro che finita, e che soltanto siasi trasportato altrove il quartier
generale.
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