I
..............Si et vivo carus amicis,
Causa fuit pater his; qui macro pauper agello
Noluit in Flavi ludum me mittere, magni
Quo pueri, magnis e centuribus orti,
Lævo suspensi loculos tabulamque lacerto,
Ibant octonis referentes idibus aera;
Sed puerum est ausus Romam portare docendum
Artes, quas
doceat quivis eques atque Senator
Semet prognatos..............
Così è, cari miei; espressamente vi ho fatto tradurre questo
passo d'Orazio della satira VI del libro primo, perchè impariate a conoscere
questo poeta, osservato in tutte le sue facce... Il vostro professore di
rettorica, il quale fu anche mio professore può aver ragione... ma non mi par
giusto che si debba chiamar vizioso chi del suo padre serba così onorata
memoria; e ad ogni momento non cessa di esprimergli la sua gratitudine, e
vivendo tra cavalieri e accanto a Mecenate, esalta il padre liberto, e dice:
.......at hoc nunc...
Leggete qui:
Laus illi debetur et a me gratia maior.
Nil me pœniteat sanum patris hujus.
Costui non poteva dunque essere nè cortigiano mai nè vile.
Ci vuol altro che richiamar sempre
l'epistola Cum tot sustineas, ecc., dove Flacco per la prima ed unica volta
esagerò le lodi d'Augusto, e della quale fu cagione una lettera minacciosa
scritta dallo stesso principe a lui; ci vuol altro che dimenticare a bello
studio il coraggio onde Orazio non dubitò di ricordare i suoi legami con Bruto,
e di lodare gli ultimi eroi della repubblica agonizzante, e di rifiutare il
posto di segretario presso Augusto medesimo. Così è, i miei ragazzi; tuttavia
io non voglio già dire che Orazio fosse senza peccato; chi lo è in questo
mondo? chi lo poteva essere in que' tempi? ma dico e sostengo, e ad ogni
occasione vi mostrerò, che egli fu uno degli uomini più virtuosi e più schivi e
modesti e più liberi di quel tempo e di tutti i tempi. Nè se non fossi convinto
di ciò, mi sarebbe sì cara la sua poesia, nè io sprecherei il mio tempo a
spiegarla a voi con tanto amore e costanza, se credessi quello che il padre
Branda dice di lui. Io non posso scompagnare quel che si pensa da quel che si
fa, nè posso dividere la ragione della vita dalla ragione dell'arte, perchè chi
conduce torbidi i giorni non può aver limpido il pensiero; onde, se io pensassi
d'Orazio quel che ne pensa il padre Branda, getterei le sue odi e le sue satire
da questa finestra; nè voi, cari ragazzi, mi avreste vostro ripetitore, se
fossi condannato a magnificarvi la potenza dell'ingegno di un uomo di cui disprezzassi
la vita. Intanto da questo passo vi è mestieri apprendere come dobbiate onorare
la memoria paterna, come dobbiate venerare la vostra madre santa.
- Che cosa ha il nostro signor abate, disse in quella donna
Paola Pietra che entrava, nella stanza di studio dei suoi figliuoli....
Cos'avete, mio caro, che tuonate come un predicatore dal pulpito? e sorridendo
amabilmente, strinse la mano al giovane abate, che tutti i giorni veniva a far
la ripetizione ai suoi ragazzi, i quali frequentavano le scuole Arcimboldi.
- Nulla, o signora, ma in talune cose non posso andar
d'accordo col reverendo padre Branda, che onoro moltissimo, e al quale mi lega
gratitudine di scolaro. E non lo potendo, ho l'obbligo di parlar chiaro e di
dir tutto il mio pensiero anche a questi cari giovinetti. La questione
riguardava Orazio, di cui, contro il padre Branda, sostengo che non solo era un
grande poeta, ma era anche un poeta galantuomo, perchè se non fosse così e se
intorno a ciò non avessi tranquillissima la mia coscienza, non sarei mai a
permettere che dei ragazzi avessero a correre pericolo di contaminarsi a
leggere le opere di tale, di cui non si potesse vantare una vita
complessivamente onesta; perchè è una mia opinione che, pur di sotto alle
avvenenze della forma, serpeggerebbe il veleno funestissimo ai giovani.
L'abate che parlava in tal modo, alto, scarno, che
nell'esprimersi mandava lampi dai grandi occhi neri, e spirava un'aura solenne
dall'arco maestoso del ciglio e dalle forme del volto già austero, per quanto
fosse giovane, tanto giovane che gli mancavano 25 giorni a compire gli anni
ventuno, era Giuseppe Parini. Donna Paola si
compiaceva ad assistere ella stessa alle ripetizioni che il Parini dava a' suoi
figli, e perchè si dilettava di quelle animosissime digressioni, e perchè
alquanto ne serbava in mente per venire, all'uopo, in ajuto dei figliuoli,
quando soli attendevano ad eseguire il còmpito che dava loro il professore. In
quanto al Parini, ei s'infervorava per tal modo nella spiegazione de' classici
latini, e segnatamente del suo prediletto Orazio, che il più delle volte
bisognava che donna Paola lo pregasse a desistere, ed aversi qualche riguardo;
e gli facesse presente dover esso dare altre ripetizioni in altre case prima
che terminasse la giornata.
Ciò che può fare grandissimo un uomo in quelle arti dove la
forma e il gusto sono indispensabili a rendere efficace ed evidente ed amabile
il concetto, e segnatamente poi s'egli è nato per esser genio di perfezione più
che d'originalità, è, diremo, la fortuna di trovare fra i grandi autori colui
che abbia quasi identiche alle sue, oltre alle qualità primitive
dell'intelletto, anche talune circostanze della vita. Il Parini, nel suo
presago orgoglio giovanile, si compiaceva forse di quel concorso fortuito di
accidenti pel quale, siccome Orazio dalla natia Venosa era stato condotto a
Roma dal padre liberto; così a lui era toccato un padre tanto amoroso, che non
dubitò di vendere l'umile poderetto presso l'Eupili, pel desiderio ch'ei
potesse attendere agli studj nella capitale del Ducato di Milano.
Applicatosi a questi e passato alle lettere umane, quando il
Parini conobbe Orazio, forse credette conoscer di più sè stesso, e poter
misurare con maggior sicurezza le naturali e caratteristiche qualità del
proprio ingegno. - Fu quello adunque il suo autore; lo studiò, lo tradusse, lo
sottopose alla più minuta analisi, disfacendolo, a dir così, per rifarlo; come
chi nato, per esempio, alla meccanica, si
prova a scompaginare e sciogliere ad uno ad uno tutti i congegni d'un movimento
d'orologio, per provarsi a ricostruirlo poi da capo. Egli è a questo modo che
lo studioso diventa padrone di una disciplina o di una parte di essa, al punto
ch'ella si faccia obbediente e docile alla sua volontà, e possa così ampliarsi
e fruttificare in nuovi aspetti. Egli è di tal modo che nella scienza succedono
le scoperte, e nelle arti le innovazioni e le riforme del gusto. Ma codesta
indagine insistente intorno agli autori latini e ad Orazio, era appunto giovata
al Parini dal bisogno inesorabile per cui doveva salir tante scale al giorno a
dar lezioni e ripetizioni a dieci soldi l'una, onde soccorrere alla madre
poverissima non che a sè stesso. Dovendo spiegare ad altri un oggetto, nel
bisogno di far passare nell'altrui mente le idee e le cognizioni che stanno
nella nostra, sotto l'assiduo martello dell'analisi, si svelano interi e ad uno
ad uno tutti gli elementi costitutivi di quell'oggetto stesso. È così che il
sapere si trasmuta in sangue, come un cibo sano assimilato da uno stomaco
perfetto.
In quelle lezioni e ripetizioni che il Parini dava a non
pochi suoi allievi, senza ch'egli se ne fosse fatto un sistema premeditato e
discusso, bensì per la spontanea felicità del suo ingegno, era riposto il
metodo più sicuro e più amabile d'istruzione. La bellezza fatta gustare dalla
vivacità dell'espositore attraeva i giovani ingegni, i quali, una volta fermati
nella contemplazione di quella bellezza medesima, s'infervoravano negli studj,
dei quali s'appigliavano poi a taluna delle molteplici diramazioni a cui si
volgeva col tempo la speciale loro vocazione. Parini spiegando un'ode d'Orazio,
per l'associazione spontanea delle idee e per la sua naturale facondia,
divagava a più cose; e gli scolari in quelle divagazioni imparavano ad
interrogare sè stessi per determinarsi poi ad una disciplina speciale. Però
anche nel maggior progresso de' tempi sarebbe sempre
stato avverso il Parini a quella infesta enciclopedia onde si condannano a
stanchezza anticipata le menti giovanili nel punto medesimo che si profumano d'orgoglio;
chè, per codesta enciclopedia, si trascura, quasi come accessoria, l'arte prima
di dare ordine logico e forma decorosa al pensiero, la quale, appresa nei
classici prosatori e poeti, cosparge di gentilezza perpetua tutta la vita, e da
essa scaturisce poi il desiderio di riparare a scienze più sode, ma in quella
età che è robustissima a comprenderle, a trattarle e a dominarle. Da fanciulli
imbrattati di polvere enciclopedica, che hanno ridotto l'intelletto come una
pietra lavagna continuamente scritta e continuamente cancellata dallo
sfregatojo, e ammaestrati a disprezzare la forma del pensiero, quasi che la
forma non fosse un modo del pensiero stesso, non potranno uscire uomini capaci
a far progredire nè un'arte nè una scienza mai.
Ma, più che codesta nostra incompleta e nel tempo stesso
troppo lunga digressione, a mostrare come dovrebb'essere governata l'istruzione
letteraria, basterebbe che si potesse riprodurre qui al vero e al vivo una di
quelle lezioni che il Parini faceva a' giovinetti a lui affidati. Donna Paola,
assistendovi quotidianamente, aveva imparato a stimare di giorno in giorno sempre
più il giovine maestro, e tanto più che di mezzo all'esercitazioni letterarie,
quando il tema lo eccitava, egli usciva in certi schianti, diremo così, di bile
generosa e di caldissima eloquenza, a cui era fomento la nativa severità del
suo costume.
Donna Paola lo ammirava, e sentiva pietà del suo povero
stato, e avrebbe voluto in qualche modo poterlo soccorrere, se non vi si fosse
opposta la dignitosa fierezza del giovine.
Questi intanto continuava la sua lezione, ed ella ascoltava
in silenzio. Se non che pareva preoccupata da qualche altro pensiero e quasi le
tardasse che non si desse fine alla lezione; perciò quando il Parini fece una
lunga pausa al discorso:
- Badate che si fa tardi, ella disse, e voi, come di solito,
trascinato dall'amore degli studj e dallo zelo per l'educazione de' giovani,
trascurate il vostro interesse. Per oggi dunque può bastare... e voi, disse poi
rivolta ai figli, potete fare una passeggiata col domestico.
I due giovinetti si alzarono, fecero un saluto gentile al
Parini, baciarono la mamma, e uscirono.
- E così, che vi pare di questi miei figliuoli?
- Io ne spero assai bene. Carlo ha più rapida perspicacia;
Arrigo è più tardo. Ma non dubiterei che il secondo non fosse per lasciarsi
indietro il maggiore nell'età del più completo sviluppo... Ma cos'ha ella oggi,
che mi sembra turbata?... perdoni
l'osservazione.
- Lo sono di fatto... anzi... ho bisogno di voi...
- Mi comandi.
- Siete già stato oggi a far lezione al figliuolo della
contessa Marliani?
- Ci fui.
- Avete parlato colla contessa, col conte, con qualcheduno
di là?...
- Io sì... ma....
- Ascoltate. Io so che la casa Marliani è in gran
dimestichezza colla casa V... Mi bisognerebbe dunque di sapere se il conte è
realmente partito da Milano, come ho sentito dire ...
- È partito... ed anzi vi dirò che la cosa non è liscia...;
la madre della contessa Clelia venne stamattina in casa Marliani... ed era
tutta sconcertata... in conclusione si teme che il conte sia andato a
Venezia...
Donna Paola balzò in piedi a queste parole, esclamando:
- Ah il mio sospetto! Ma, cosa pensano di fare coloro...
Madre, sorella, fratello... i quali non so se abbian sangue in corpo o
stoppa?... Io non ci capisco nulla. Aspettar tanto per accorgersi di ciò; e
lasciarlo partire senza pensare, senza temere, senza prevedere... Ah gente
stolida e senza cuore!
Il Parini facevasi attento.
- Sentite, continuava donna Paola, vorreste voi assumervi un
incarico?... È d'uopo che qualcuno apra loro gli occhi... che uno della
famiglia.... Se non può la madre, c'è il fratello... cosa fa qui il
fratello?... chè non vola a Venezia a difender la sorella? Stolido!!
- Cosa dunque avrei a far io?
- Parlar alla contessa Marliani, senza nominar me in verun
modo, mostrarle la gravezza del caso, interessarla a voler determinare il
fratello della contessa Clelia perchè si rechi a Venezia senza perder tempo. Io
ho già scritto alla contessa, ma che può mai fare una lettera? Ah, caro mio,
voi non potete imaginarvi in che tormentoso affanno io mi trovi... io che,
nell'intento di stornare de' mali gravi, ne ho forse accumulati di
gravissimi... Ma che potevo far di più?...
- Ella non doveva e non poteva essere responsabile delle
azioni altrui...
- Fui io stessa a consigliarla di riparare a Venezia, perchè
là conoscevo una famiglia d'oro a cui affidarla.
- Dunque?
- Chi poteva sospettare e prevedere che l'uomo per cui ella
si trovò in così grave intrigo, per cui lasciò marito, parenti, patria, doveva
precisamente trasferirsi a Venezia anch'esso?... Ora dunque potete comprendere
di che si tratta... e come sia possibile e probabile e, Dio non lo voglia,
forse vicina una tragedia domestica... Fate dunque presente tutto ciò alla
Marliani, giacchè la contessa ama qualche volta intrattenersi con voi;
sopratutto mi premerebbe che la raccomandazione fosse fatta in modo che paresse
una vostra inspirazione.
- Io farò in maniera che possiate esser contenta...
- Un momento fa vi raccomandava di attender meglio al vostro
interesse, e di non abusare lo zelo a danno vostro e di vostra madre... Ma ora
debbo dirvi tutto il contrario... che bisogna mettiate per oggi da parte tutte
le cose vostre... Del rimanente, chi perde il tempo, dee esser compensato... e...
- Che! gridò il Parini, vorrebb'ella togliermi la mia parte
di merito, quando, sotto a' suoi ordini, avessi potuto cooperare a vantaggio
altrui?
- Non mi guardate così, anima fiera, disse donna Paola
sorridendo lievemente; e giacchè so che avete tanto entusiasmo nel fare il
bene... andate e siate sollecito, e Iddio vi benedica.
Il Parini partì; donna Paola si gettò a sedere in gran
pensiero. E noi mettiamoci sui passi di coloro per cui la pietosa donna tanto
si affannava.
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