Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
II Se Amorevoli avesse dovuto partire da Milano, lasciandovi quella per cui, avendo sopportato un malanno non indifferente, gli era cresciuto in cuore l'affetto; certo che il contento di trovarsi finalmente libero e in piena balia di sè stesso, gli sarebbe stato amareggiato dal pensiero che forse non avrebbe veduta mai più colei che abbandonava; ma invece, alla gioja della libertà, a quella che gli veniva dalle attestazioni di stima di un pubblico intero, da una salute perfetta, dalla gloria presente e dalla futura (tutte le professioni dall'astronomo al ciabattino hanno la loro gloria), e dalla ricchezza già in parte accumulata e che prometteva di crescere, e per sè stessa e pel frutto de' capitali, si aggiungevano le speranze agilissime e l'esaltazione cerebrale di chi move, per un felice concorso di circostanze, là precisamente dove si trova la persona che in quel momento è, fra tutte, la più desiderata; e per la quale, tanto si è prodighi quando l'affetto è in tumulto, si darebbero in compenso alcuni anni della vita onde toglier gli ostacoli che si frappongono al completo suo possesso. Ma per questa gioja, per queste speranze appunto, il viaggio di cent'ottanta miglia gli riuscì nojosissimo, e s'impazientò più volte col lento postiglione e colle ardue e tortuose e fangose e ciottolose strade che facevan bestemmiare alla sua volta anche il postiglione, e che invocavano quel sistema a cui, siccome vedremo, fu provveduto finalmente molti anni dopo, per opera di que' nostri concittadini sapienti, che misero coraggiosamente la mano ad estirpare tutti gli avanzi della vetusta barbarie. Ma egli giunse finalmente al Dolo e toccò Mestre, e là, coll'ansia che gli cresceva in petto in ragione che si avvicinava all'isola incantata, noleggiò una gondola non avendo voluto entrare nel barcone del procaccio; e sentì finalmente sotto di sè il gorgoglìo dell'onde di quella tanto decantata e tanto da lui vagheggiata laguna; chè delle molte città d'Europa che avevano un teatro celebre, soltanto Venezia gli rimaneva a conoscere, la città musicale per eccellenza, quella i cui giudizj in fatto di musica e di canto, avevano meritamente allora la preferenza su tutti quelli delle altre città. Però, egli era sollecitato da un'altra ansia, che gli derivava dall'amore dell'arte e dal desiderio che anche Venezia suggellasse la di lui celebrità col suo voto autorevole e co' suoi applausi. Chi professa un'arte qualunque per vocazione e con entusiasmo, non può mai scompagnare il pensiero di essa da qualunque altro pensiero. Del rimanente, il gondoliere, giacchè trattavasi di un viaggiatore, e d'un ricco viaggiatore, per quel che gli pareva, non prese nessuna scorciatoia quando fu presso Venezia, e volle fargli gustare lo spettacolo innanzi al quale avea veduti tutti quanti i foresti, com'essi dicono, ad inarcare le ciglia. È commovente e poetico quell'amore veramente figliale che hanno per la loro bella patria anche gli uomini più incolti e più rozzi di Venezia. Il gondoliere gode e si compiace della meraviglia che vede dipinta sul volto del forastiero che per la prima volta, entrando nel Canal grande, non sa farsi capace di una così interminabile schiera di palazzi insigni, tre o quattro de' quali basterebbero a far onore a qualunque città; del forastiero che s'imagina di trovarsi al cospetto di una scena incantata quando la gondola si ferma al molo, ed egli uscendone si trova in faccia la piazzetta. - Ghe piasela sior? disse il gondoliere quando vide il nostro Amorevoli fermarsi estatico sulla scalea. No la xe mai stada a Venezia, ela? - No, caro mio. - E ben, la fazza conto che no i xe qua tuti i so tesori, come se vorave da qualche foresto invidioso... Me credela, sior? - Perchè non ho da crederti? - Se vostra zelenza me permetese, gh'avarave vogia de compagnarla mi a veder le maravege de la zittà. - E vieni, alla buon'ora... ma prima accompagnami all'albergo... al migliore... capisci tu?... Il gondoliere invitò il suo viaggiatore a rientrare in gondola, e lo condusse allo Scudo di Francia. - Vieni a pigliarmi colla gondola fra un pajo d'ore, che intanto debbo dar sesto alle mie robe. Tu mi hai faccia da galantuomo, e avrò bisogno dei tuoi buoni servigj... e così dicendo diede al gondoliere una mancia oltre al convenuto. Il gondoliere vi gettò un occhio di traverso; fu contentissimo e partì. E tosto Amorevoli, da un cameriere che non era di Venezia, ma parlava l'italiano coll'accento di chi è nato in Francia, fu condotto in una bella camera al primo piano che rispondea sul rio... - Le piace quest'alloggio? - Va bene sì... ma... - Che? - C'è qualcosa qui presso che non manda buon odore... Io ho le nari, caro mio, assai delicate e permalose... e vorrei... - Signore, mi permetta di dirle una cosa... A Venezia c'è tutto di grande, di bello, di buono, ma bisogna avvezzarsi all'odore della laguna. Tutte le città hanno il loro difetto... vorrebb'ella che Venezia ne fosse senza?... A Roma vien la terzana a chi va fuori sulle ventiquattro... A Milano c'è l'aria grossa... A Parigi c'è il fango che imbratta le vesti... A Cadice, di notte, vola nell'aria un verme assassino che intacca il polmone. Io ho servito in più città di Europa... e non v'è luogo che non abbia il suo malanno. Però mi permetta, signore, ch'io le dia un consiglio. - Che consiglio? - Non tocchi un tal tasto ai Veneziani, perchè c'è pericolo di perdere la loro amicizia. Ella può lasciarsi andare a criticare il loro teatro, la piazza, il ponte di Rialto, il corno del Doge... tutto... ma non tocchi il cattivo odore de' suoi rii... Per questo lato è convenuto che debbano esalare essenza di rose. Noi non sappiamo se quel cameriere, che non era di Venezia, dicesse la verità, ma in ogni modo si vede che le città son come gli uomini. Canova s'indispettiva se altri non dava alcuna importanza alle sue povere tele; e non teneva gran conto dell'ammirazione che tutta Italia prodigava alle sue grandi opere statuarie. In quanto ad Amorevoli, egli non trovò da replicar nulla col cameriere, e dato sesto alle sue robe e rimbionditosi con ogni cura, discese a mangiare; dopo di che aspettò che venisse l'uomo della gondola, il quale venne in fatto sull'imbrunire. - Ormai si fa tardi, caro mio, e ci resta ben poco a vedere... - Ma no sala, zelenza, che Venezia la xe megio de notte che de zorno... La se contenta de lassarse guidar da mi, e la vederà che cosse grandi, sior! Dopo pochi minuti erano al largo verso la Zueca. Il felze era stato levato, e Amorevoli appiccò conversazione col gondoliere, da cui sperava di raccogliere tutto quello che gli abbisognava. Lasciamoli dunque andare. E noi vediam d'abbandonarci a qualche digressioncina, secondo il solito. Noi siamo dunque ammiratori entusiasti della città di Venezia. Basta il dire che la nostra fortuna è che Venezia non sia una donna; diversamente chi sa che tremende pazzie avremmo commesso per amor suo. A dare una prova di codesto amore sviscerato, chi, per esempio, a voce e in scritto ha lodato più di noi il suo mese di maggio? Dappertutto questo mese è tenuto in grande riputazione, e i devoti lo chiamano perfino il mese di Maria, tanto è soave e benefico. Con tutto ciò a Milano il mese di maggio, nel suo carattere verace e completo, non lo si conosce che per relazione e in teoria, e per quelle nozioni che si attingono dai poeti classici greci e latini, i quali, imbalsamati come erano dal vento che soffiava dal mare Argolico o dal porto di Ostia, poteron gustare il maggio in tutto il suo splendore; ma in pratica, almeno per quanto ci consta, Milano non sa che cosa sia un tal mese, e non trova in esso che la più completa contraddizione alle descrizioni dei poeti. Invece a Venezia è tutt'altro. Venezia è la madre adottiva non solo del chiaro di luna, ma sì anche del maggio; e noi possiam dire d'aver fatto la conoscenza di lui soltanto sotto il suo cielo! Almeno, nei due anni che vi passammo, quel mese fu d'una eleganza così greca, d'una mollezza così orientale, che non potremo dimenticarlo così facilmente. Se non che, mescendosi all'eleganza, come dicemmo, la mollezza, il maggio di Venezia è un mese pericoloso. Lord Byron, che faceva i suoi computi a seconda del meridiano di Londra, trovò essere il giugno il men puritano dei mesi; ma noi, cresciuti in plaga più mite, siamo stati obbligati a fare il trasporto di trenta giorni. È a Venezia, pur troppo, almeno secondo la nostra esperienza, è nel mese di maggio che l'uomo, riscaldato dal sole di una primavera orientale, e circonfuso dalle molli aspergini marine, prende somiglianza del baco, il quale pasciuto e sazio di foglia, s'irretisce lieve lieve nel serico filo, aspettando di eromperne farfalla. In quanto poi all'anno 1750, il mese di maggio veneziano cominciò appunto co' più lieti pronostici del suo limpido sole, del suo cielo trasparente e dell'aure sue mitissime, attraversate di quando in quando dall'afrodisiaco scirocco. Però anche alla contessa Clelia, non avvezza al clima veneziano, più che mai parve balsamica in quell'anno la stagione primaverile; e confrontandola alla consueta di Milano, le sembrò tutt'altra cosa; di modo che parlandone ai signori che la ospitavano: - A Milano, ella diceva, la primavera è la stagione in cui s'accumulano tutti i disastri delle altre, e sebbene anche laggiù la si debba chiamare la gioventù dell'anno, è una gioventù infelice, travagliata e disperata. Quasi quasi, se non fosse per le buone speranze che dà, sarebbe da posporsi alla vecchiaja. Da queste parole si vede che, anche prima del taglio delle foreste, le primavere milanesi non eran le più accreditate neppure nel secolo passato; tale almeno era l'opinione e l'esperienza della contessa Clelia. Ma ella, siccome spirava il vento più molle, più carezzoso e più tepido sull'espansa laguna, sentiva così a circolare in sè più rapido il sangue e più caldo, il che le comunicava all'intelletto, e più alla fantasia, che è una sezione di quello, una indefinibile esaltazione e un tumulto di desiderj vaghi, che le impedivano persino di dar tutto il peso all'infelice situazione in cui versava. Per molti e molti giorni. avea saputo essere costante a non uscir mai dal proprio appartamento, e ad imporsi tutti gli obblighi di una volontaria prigione; ma un dì cominciò a creder ragionevole di poter far parte della serale conversazione che tenevasi in casa Salomon; e siccome eravi stata accolta con que' segni di stima e di amorevolezza che troppo rare volte avea trovato a Milano, così non fu per nulla restìa a passare da quella conversazione ristretta, tranquilla e casalinga, alle altre di case più cospicue ed affollate del bel mondo. E là, fra tanti giovani che le fecero cerchio intorno, trovò persino entusiasmo. I romanzi dell'abate Chiari eran letti avidamente allora, e avean messo in tutti gli animi giovanili il desiderio del maraviglioso e dello strano; onde la contessa V... di Milano, giovane, bella, dotta, avvezza a trattare con dimestichezza i corpi celesti (chè di ciò era corsa la voce anche là...), infedele al marito, la qual cosa, in un secolo corrotto, facea stupendo giuoco più ancora dell'astronomia; per di più, innamorata del più bravo e del più bel tenore del secolo, personaggio che in una città musicale dovea produrre l'effetto di un giovane e prode capitano dei dragoni, in tempo d'esaltazione guerriera; e, per il non plus ultra del romanzesco, autrice di una fuga disperata (le fughe hanno sempre trovato entusiasti in tutti i tempi, ad eccezione di quelle in musica); tutte queste cose avean dunque fatto sorgere intorno a lei un'atmosfera di splendori così abbaglianti, che l'ammirazione per lei, in un periodo in cui le pesanti parrucche ajutavano a riscaldare i cervelli, diventò, come dicemmo, entusiasmo, diventò delirio. Se poi la contessa Clelia si compiacesse di ciò, non tocca a noi a dirlo. Era la prima volta che provava quel genere nuovo di soddisfazioni; laonde del non aver essa voluto o saputo ritrarsi da quel vortice, noi non ci sentiamo il coraggio di condannarla. Per giunta aveva trovata accoglienza e cortesia straordinaria persin nelle donne, fatto piuttosto unico che raro; ma bisogna considerare che, in virtù di tanto intreccio di cose, ell'era salita a quel fastigio che toglie perfino il sentimento dell'invidia. Ell'era insomma una specie di lord Byron vestito da donna e in guardinfante. Però se le altre patrizie bellissime e argutissime, chè di tali Venezia ebbe a tutte l'epoche forse la più eletta schiera, esercitavano tra di loro, e come a dire in famiglia, le loro gare, le loro invidie, le loro guerre più o meno astute, più o meno perfide, tutte si trovavan poi d'accordo nel festeggiare l'ammirabile lombarda. Ma, come sappiamo, il sole era entrato in gemelli, e verso notte le gondole avevan cominciato a vogare a diporto. Però anche donna Clelia, ch'era stata chiusa tanto tempo, ebbe volontà di uscire all'aperto; e per non incomodare la famiglia dov'era ospitata, e anche perchè amava di figurare sola (non c'è nè donna nè uomo, compromessi da qualche po' di fama, i quali sappiano resister sempre all'assalto della vanità), si fece noleggiare per qualche tempo gondola e gondoliere. I signori della casa credettero farle una grata sorpresa mettendo a' suoi servigj il più celebre allora dei gondolieri di Venezia. Ed era quel Bianchi Antonio ammirato pel suo raro talento poetico, di cui lasciò prova in due poemi, nei quali tra molti errori di scienza e di lingua, v'è imaginazione straordinaria ed estro vivacissimo. Il titolo di essi, nelle edizioni da noi vedute, è: Davide re d'Israele, poema eroico sagro di Antonio Bianchi, servitor di gondola, veneziano (Canti XII, Venezia 1751 in fol.); Il tempio, ovvero Salomone (Canti X, Venezia 1753 in 4.). Vi sono poi altri poemetti comici, quali La cuccagna distrutta, La formica contro il leone, oltre l'oratorio drammatico Elia sul Carmelo. Quando al Bianchi che ad onta della sua condizione di poeta, non cessò mai in tutta la sua vita di far il gondoliere, fu proposto quel servigio e gli fu nominata la gentil donna lombarda, non istette in sulle pretese, e fu tosto a comandi della contessa Clelia. Così, quando Amorevoli capitò in Venezia, era già da tre giorni che la contessa usciva a diporto in gondola tutta sola col suo gondoliere-poeta; e nella sera, quasi nel punto stesso che Amorevoli lasciò lo Scudo di Francia, essa discendeva la scalea di casa Salomon ed entrava in gondola. Antonio Bianchi era un giovane di trent'anni appena, veneziano di sangue puro, tra' più valenti al remo, e onorato di più bandiere nelle celebri regate veneziane; natura schietta di poeta, esso era entusiasta e fantastico, di modo che, avendo saputo anch'esso le avventure della contessa, ed essendogli stato detto come fosse una gran dotta, si compiaceva che gli fosse toccato in sorte di poterle presentare i proprj servigj. Siccome poi in quel periodo di tempo egli stava dando l'ultima mano al poema Davide, così aveva pensato di pregarla a legger que' canti, e di consultarla in quelle parti del poema in cui egli sentiva che l'ignoranza faceva impaccio all'ardua fantasia. Appena lasciata la casa, donna Clelia amava recarsi a diporto in sul Canal grande, scorrendo sola tra l'altre gondole patrizie che le si avvicinavano a gara, e dalle quali cadevano su di lei sguardi curiosi e ammiratori: e per dir la verità, ella era tale che per forza doveva fermar l'attenzione. Abbiamo più volte espressa la nostra predilezione per la bellezza delle donne veneziane, ma nel tempo stesso dobbiamo far luogo ad una nostra opinione che parrà strana, ma forse traduce il vero, ed è: che il fondo della città stessa di Venezia, così pittoresco e così colorito, è il più opportuno a far spiccare una beltà. - Non per nulla i pittori vanno in cerca di quella tal luce, di quel tal raggio azzurro, persino di quella tal cornice per dare il miglior risalto all'opera del loro pennello; può darsi pertanto che la specialità della parte materiale di Venezia giovi alle figure che staccano su di essa. Molte donne che altrove non ci avevan fatto nè freddo nè caldo, vedute a Venezia ci parvero ammirabili. Quale ne possa essere la vera cagione non è provato a rigore, ma certo che una ragione ci dev'essere. Intanto anche la contessa Clelia è un altro argomento in nostro favore. Oh qual mirabile effetto faceva quel suo corpo maestoso, gettato a sdraio sui cuscini della gondola, e avvolto in una veste di broccato di stoffa turchina a liste d'argento, che, pel lavoro interno del guardinfante, usciva e galleggiava quasi sugli orli della gondola stessa! come incorniciava bene quella sua testa di Minerva l'indispensabile puff di sentimento, foggiato a cimiero, ch'era una delle cento forme allora in voga!... come, di sotto alla polvere bianca onde quel puff era cosparso e quasi inargentato, spiccava il nerissimo arco del sopracciglio e i grandi occhi lucenti! Già il vero non si può nascondere, noi abbiamo qualche debolezza per donna Clelia; e se in teoria e coi trattati d'estetica alla mano combattiamo e combatteremo sempre per gli occhi azzurri, in pratica abbiam sempre usato i dovuti riguardi agli occhi neri, e quelli di donna Clelia poi sono la nostra morte... Ma in prova che non siamo di cattivo gusto, si è che piacevano fieramente a tutti i giovinotti veneziani; che piacevano persino al nostro gondoliere-poeta, pieno di fantasia qual era, e di fervori sentimentali, e di passione caldissima per la bellezza, che è la febbre terzana dei poeti. Spinto dal naturale desiderio di parlare di sè stesso e delle proprie opere, difetto che rende qualche volta importuni gli uomini dell'arte, il nostro Bianchi gondoliere, dopo aver lentamente condotta come in trionfo lungo il canal Grande la contessa padrona, venuto a santa Chiara, svoltato nell'aperta laguna, e là fermando talora il remo, compiacevasi a intrattenere de' propositi proprj la contessa, che affabilmente l'ascoltava e rispondeva alle sue interrogazioni; al punto che, in que' tre giorni, poteva dire d'aver dato tre lunghe lezioni d'astronomia elementare all'autore del Re Davide. Se non che la contessa lasciava poi cadere il dialogo, per riconcentrarsi ne' proprj pensieri. Ella sapeva che il tenore Amorevoli doveva venire a cantare a Venezia. Il residente veneto di Milano aveva scritto che il processo di lui era compiuto, ch'ei sarebbe uscito presto per venire a tenere il patto ai signori ispettori dell'opera. L'effetto che fece la prima volta una tale notizia sull'animo di donna Clelia, che non aveva saputo mai nulla di quelle sei sere di recite straordinarie, ognuno se lo può imaginare. I fervori erotici le salirono al viso, e mentre la ragione le facea vedere tutti i pericoli che poteano conseguire da quel fatto, sentiva certi soprassalti di gioja insolita, di gioja non voluta; e mentre vedeva che il destino stava forse per tenderle una mala insidia, si fermava con delizia nell'idea che la fortuna avesse voluto espressamente avvolgerle intorno le inestricabili sue reti. Se non che ricordavasi di donna Paola e delle sue ammonizioni; e al vedere coll'occhio della mente quasi impaurita quella santa figura, si vergognava di que' pensieri, di que' desiderj, di quella gioja... Amorevoli era atteso di giorno in giorno... ella ne aveva sentito a parlare di volo ad una conversazione serale, da un gruppo di giovinotti spensierati che, speranzosi di far breccia nel cuore della mirabile lombarda, aveano dimenticato quel ch'era passato tra essa e il tenore. Intanto la notte stava per calare affatto... smoriva sempre più all'orizzonte la luce crepuscolare... i colli Euganei, ch'ella vedeva, si erano scolorati e come confusi col cielo. Erano uscite le stelle rare e sparse... era uscito un quarto di luna... suonava l'avemmaria a tutte le chiese; il campanone grave e profondo di san Marco parea facesse sentir la voce storica e veneranda della vetusta Vinegia. Taceva il gondoliere-poeta, intento a poter ritrarre quel poetico vero. Tacea donna Clelia, assorta e mesta, e coll'animo sollevato da una commozione ineffabile. Il gondoliere, avvisato dell'ora tarda, girò la gondola per tornare in canale. Poco prima era passata per di là anche la gondola ove, e fu un punto se non vi si scontrò, trovavasi Amorevoli... di modo che donna Clelia potè vederla materialmente, ma senza provare veruno dei soliti sospetti presaghi e dei soliti palpiti arcani; nel punto medesimo poi ella vide alla sfuggita il lume di un fanaletto che probabilmente doveva essere di una gondola che s'era spiccata allora allora da Mestre, e soltanto il notò pel giuoco che faceva col suo luccicore tremulo e intermittente; ned ella da nessun genio dell'aria, segretario delle belle donne, venne avvisata che se innanzi le correva in gondola la vita, di dietro potea forse venire in gondola la morte.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |