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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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III Abbiamo accennato che, quasi contemporaneamente al tenore Amorevoli, era partito da Milano il conte colonnello V... Esso infatti lasciò la città all'alba del giorno successivo a quello nella cui sera Amorevoli erasi messo in viaggio. Il conte V... avea detto di voler fare una gita nelle sue terre; i servi però poterono accorgersi, pei preparativi che loro vennero ingiunti, che trattavasi invece d'un viaggio di qualche importanza e non breve; così quel che allora pensarono nel far le valigie lo avesser subito detto!... ma, come avviene di consueto, parlarono quando non c'era più l'opportunità. E il conte si mise davvero in viaggio per Venezia, ed essendo partito dodici ore dopo il tenore, tanto martellò e pagò i postiglioni, ch'ei potè guadagnare su chi lo precedeva più di mezza giornata. Ma che intenzioni aveva il conte? che voleva? che pretendeva? In verità esso non ne sapea più di quello che ne sanno in questo punto i nostri lettori. Noi non abbiamo avuto mai il tempo di fare uno studio fisiologico di questo personaggio, perchè ogni qualvolta ci capitò innanzi, si aveva tanta carne a bollire, che appena appena lo abbiam guardato di traverso; ma oggi convien pure che ne tiriamo il profilo, almen col carbone, se non colla matita o col pennello. Quell'uomo, pigliato in natura, non era un cattiv'uomo; e prima dell'invenzione degli stemmi e dei quarti di nobiltà e de' pregiudizj, probabilmente non sarebbe stato nemmeno il più orgoglioso tra i membri dell'umana razza; sebbene la sua testa fosse molto grossa, il che, stando coi cranioscopi, è indizio di gran mente, pure convien che lo spessore della crosta ossea avesse occupato una buona metà dello spazio che bisogna concedere al cervello perchè adempia passabilmente alle sue funzioni. Non vogliamo dire con ciò che esso mancasse al tutto d'intelligenza, no. La sua testa avea più d'uno spiraglio per cui poteva penetrare, sebbene a stento, qualche raggio dal di fuori. Ma le poche idee che erano entrate là dentro vi si fermarono con tenacità pari allo stento onde vi si erano introdotte, generandovi una durezza ed una ostinazione indomabile. Se fosse lecito imitare i caricaturisti parigini, che cercano nella struttura delle bestie le forme più adatte a dar idea di alcune varietà di tipi umani, a quel conte noi troveremmo il riscontro piuttosto in un bisonte, in un ariete, in un merinos che in altro animale. Apparteneva insomma alla razza delle bestie cozzanti, la meno intelligente e la men domabile di tutte. Però, a lasciarlo tranquillo, era un buon diavolone d'uomo; e soltanto ad aizzarlo, ad inquietarlo, lo si riduceva nella condizione d'un toro, che punzecchiato, arrota gli occhi sanguigni, alza la coda, curva il collo, abbassa la testa, e vibra cornate a tutti quelli che gli si fanno incontro. Cresciuto in seno ad una famiglia il cui sangue, per parte di padre, era un fiume reale che aveva avuto le sue prime scaturigini da un ramo del gran ceppo dei re di Spagna; e per parte di madre, da colui che portò dalla terra santa lo scudo colla biscia; l'idea del suo alto lignaggio fu introdotta e ribadita per tal modo nella sua testa colle sue idee concomitanti e conseguenti, che non per sè, ma per quello, si sarebbe fatto mettere in pezzi. A codesta idea convenzionale dell'onor del sangue, veniva poi a confederarsi l'altra idea pur convenzionale e parimente indomabile, e per la sua natura, più pericolosa, dell'onore del soldato. Esso era stato, come sappiamo, colonnello di cavalleria, e le sue fazioni di guerra le avea fatte con coraggio e con fede; e perciò all'assisa, agli stivali, allo squadrone, in certi momenti, dava assai più importanza che alle nove stelle della corona sormontante il suo stemma. Però al suo cospetto e quando si parlava con lui, siccome era pieno di sospetti e non sempre intendeva le cose nel loro vero senso, bisognava comportarsi con mille riguardi e precauzioni, perchè non pigliasse le parole in mala parte, e adombrasse al punto di chiamarsi offeso colle formole dell'etichetta militare; chè allora non c'era più rimedio, bisognava battersi con lui. Ben è vero che in molti di tali duelli provocati da lui, egli aveva quasi sempre risparmiato l'avversario, pago che fosse salvo il decoro cavalleresco. Ma intanto era un incomodo a trattarlo; onde molti lo scansavano volontieri, e quando si trovavano seco per necessità, discorrendo, giravan largo per istornare querele; poichè, torniamo a ripeterlo, nel frantendere le questioni e nel prendere un violino per un trave, quell'ex colonnello era un portento. Se dunque, conservando però sempre nell'aspetto una compostezza ed una severità castigliana, esso pigliavasi tanto caldo per una mezza offesa, figuriamoci se l'offesa era evidente ed era grave; peggio ancora se l'offesa era di quelle che stanno in prima lista fra i casi contemplati anche dagli indifferenti e dai filosofi della pace; fra i casi per cui anche l'uomo timido diventa feroce, com'era il suo caso precisamente! O fortuna tutt'altro che cieca ma perfida, o fortuna con occhi di lince e piena di sagacia omicida, che attendi a pigliar fuori della folla gli uomini fatti apposta e lasci cader la scintilla dov'è la polveriera! Proprio tra le gambe del conte V... doveva capitare quel fatal romano, fatale così per le prime donne del libretto d'opera, come per tutte le belle donne che gli piacevano! Tuttavia nemmeno il tenore, nato espressamente nel secolo più comodo per gli uomini della sua professione e della sua tempra, poteva chiamarsi il beniamino della fortuna per essersi incontrato in chi facea terrore a tutti, il quale non è a dire che furore sentisse contro il tenore; un miscuglio di furore e insieme di disprezzo che gli facean desiderare di avere dinanzi il rivale, non per battersi con lui, chi mai poteva imaginarsi una simile ignominia! ma per pagarlo, a misura, come suol dirsi, di carbone, a colpi di scudiscio, di frusta, di bastone e di peggio, se di peggio ci fosse stato - perchè più che contro la propria moglie infedele, l'ira sua soffiava tutta come una fornace animata da un mantice contro il tenore; e se l'adagio vulgare che in tali frangenti assegna maggior colpa alla donna che all'uomo, era sulla bocca di tutti anche allora, egli tuttavia non voleva saper nulla di quel diritto per cui l'uomo può fare impunemente il cacciatore; - non ne voleva sapere e strepitava. Del rimanente un'altra ragione per cui era sì poco inclinato alla pietà verso di Amorevoli stava in ciò, ch'ei non era filarmonico punto, e aveva un orecchio così mal costrutto e anti-musicale, che per lui non c'era differenza tra una cadenza di Caffariello e lo zufolo d'un merlo. A dir tutto, non è certissimo che, pur andando pazzo per la musica, avesse potuto aprir le braccia al tenore protervo; ma in ogni modo, quella sarebbe sempre stata una ragione mitigante la collera. Infiammato continuamente da questa, egli erasi messo in viaggio per Venezia, senza veramente un progetto deliberato; ma con più propositi in mente, il più umano de' quali, aveva per intercalare scudisciate e bastonate. Ma lasciando il conte, dieci ore dopo la partenza di lui, partì da Milano per Venezia la lettera di donna Paola Pietra, quella appunto ch'essa accennò al Parini. - La contessa Clelia la ricevette la mattina del giorno successivo a quello dell'arrivo d'Amorevoli, e fu spaventata quando lesse quelle parole: Credo che il conte V... abbia intenzione di venire a Venezia; e fu maravigliata, e nel tempo stesso consolata, quando pure vi lesse: A quest'ora il signor Amorevoli dev'essere a Venezia. La sera prima ella non aveva sentito a parlare di lui in nessun modo, talchè in quel momento ignorava tuttora il suo arrivo. Ed ora dobbiamo tornare a Milano, e dar conto di più cose. La visita e le parole di Parini alla contessa Marliani aveano ottenuto il loro effetto, quello cioè di determinare il fratello di donna Clelia a recarsi a Venezia. - Il partito, il lettore se ne avvedrà facilmente, era stato preso un po' tardi, se mai il destino avea fermato di far succedere qualche sventura, ma la presenza di lui potea però tornar sempre di vantaggio. In ogni modo, per l'onore della famiglia, quel viaggio del giovine conte A... era un atto di dovere, e ciò bastava per far tacere il mondo e perchè egli fosse creduto un uomo di cuore. Ma intanto che il giovine conte A... si affretta verso Venezia abbiam l'obbligo di recarci a prendere informazioni sullo stato delle cose relative al fatto di Lorenzo Bruni. Il governatore conte Palavicino, messo in cognizione dell'indole genuina del fatto, mandò a chiamare il presidente del Senato; questi espose al ministro che essendo messo ad arbitrio del Senato stesso la misura della pena per la contravvenzione all'ordinanza sulle maschere-ritratti, e una tale misura essendo tassativamente determinata nell'ordinanza stessa dai sei mesi agli anni due, a seconda del caso; per quanto, disse il presidente, tutte le circostanze depongano a favore del costituito, pure non si poteva mandarlo assolto perchè la contravvenzione era stata compiuta; e solo era il caso di applicare al costituito la minor pena di sei mesi, che, giusta la più ragionevole interpretazione, era precisamente la misura voluta per la semplice contravvenzione materiale della legge senza intenzione criminosa. Il conte governatore parve soddisfatto di ciò, ma non già la Gaudenzi; la quale, allorchè le fu annunciata una tale determinazione, diede in lagrime disperate e si recò nuovamente da donna Paola, onde si degnasse accompagnarla di nuovo dal governatore. Era il caso di domandare non già la scrupolosa giustizia, ma una sentenza in via di grazia. Donna Paola parlò con eloquenza, la Gaudenzi sparse lagrime abbondanti; il conte Palavicino si sentì commosso, e quantunque veramente uscisse dalle sue attribuzioni, perchè l'autorità del Senato nelle vertenze civili e criminali era superiore a tutti, pure, trattandosi che l'ordinanza era sua, che forse aveva abbondato nella pena, mandò per un di più a chiamar di nuovo il Presidente del Senato e lo interrogò, ma affermativamente, se si potevano ridurre i sei mesi a due soli, e senza aspettar risposta, gli mise tra mano il rescritto, e lo pregò a dargli corso incontanente. Il presidente mostrò il rescritto in Senato, alcuni senatori strepitarono; altri, e forse n'avevano la loro ragione, applaudirono; il conte Gabriele Verri, che secondo l'indole sua avrebbe dovuto strepitare più di tutti, perchè guai a toccargli l'onnipotenza dell'autorità senatoria, non disse nè sì nè no, e finse d'aver tutt'altro per la testa; onde trionfò il partito dell'indulgenza e, invece di protestare contro quel rescritto com'era stato il pensiero di alcuni senatori, ne fu tosto spedito al Criminale la determinazione in estratto, perchè il capitano provvedesse a darle esecuzione. E giacchè abbiamo toccato del Capitano di giustizia, non possiamo tralasciare di tener dietro ai preliminari del processo contro il lacchè Andrea Suardi, detto il Galantino, e ciò innanzi di gettarci fra i personaggi che da Milano passarono a Venezia; perchè abbiam bisogno di dar prima qualche cenno intorno alla pratica criminale nel ducato di Milano e di conoscere qualche accidente dell'interrogatorio fatto subire al lacchè, per essere poi in grado di dare giusto valore a ciò che accadrà in seguito.
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