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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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V Abbiamo accennato che prima di lasciare in libertà il tenore Amorevoli si volle ch'ei vedesse il lacchè Galantino, dato il caso che ravvisasse l'uomo che egli aveva asserito di aver veduto fuggire e saltare il muricciuolo di cinta del giardino di casa V... Come ognuno può pensare, codesta non era che una misura di formalità, perchè non era probabile che Amorevoli potesse ricordarsi della figura d'un uomo che di notte gli era passato innanzi a gran fuga; nè, quando avesse dichiarato di riconoscerlo, la sua deposizione poteva essere attendibile. Del rimanente poi, Amorevoli, che aveva una gran smania in corpo di uscire all'aperto, non avrebbe mai dichiarato di ravvisarlo, anche se ne avesse avute in memoria le sembianze al pari di quelle di donna Clelia, come fece in fatti. Compiuto dunque quell'atto, s'incominciarono gl'interrogatorj, de' quali non sappiamo se di proprio senno, o per consiglio d'altri, il capitano di giustizia incaricò un nobile Paolo Tradati, auditore di mezzana capacità e notoriamente sprovveduto di quella acutezza legale e segnatamente criminale, onde una domanda gettata opportunamente al costituito, è come un randello scagliato a tempo tra le gambe di chi vorrebbe fuggire. Quell'auditore, onesto, corto, senza fiele, docile, era uno di quel felici mortali, che di quel tempo ed anche in altri tempi, e forse, chi sa mai, anche nel tempo nostro, sono destinati a far carriera, e d'uno in altro posto salgono, non si sa come nè perchè, provocando continuamente le dicerie del pubblico, il quale non sa che l'incapacità costituisce una preziosa capacità sui generis e un arme a più tagli, eccellente nelle mani di chi la sa adoperare. Tuttavia, in quanto all'auditore incaricato d'esaminare il lacchè, non creda il lettore che fosse privo d'ogni sapere e di qualche pratica forense; tutt'altro; vogliamo dire soltanto che tutti gli altri assessori ed auditori del capitano di giustizia ne sapevano più di lui ed erano acuti più di lui. Chiamato adunque il costituito Galantino innanzi all'auditore criminale nobile Paolo Tradati, presente l'illustr. signor capitano di giustizia, gli fu domandato se sapeva la cagione per la quale era stato arrestato a Venezia per ordine dei Dieci. Il Galantino rispose di no..., perchè il signor segretario del Consiglio non gli avea fatto motto nessuno, fuorchè dell'inchiesta dell'eccelso Senato di Milano. Gli fu replicato, se almeno egli congetturava alcuna cagione. - No, ripetè di nuovo il Galantino... perchè se avessi potuto aver motivo di temere per me... non sarei andato incontro ai fanti del Consiglio dei Dieci, quando gli ho veduti star fermi sulla porta della mia casa. Tuttavia, facendo il viaggio, m'è passato per la mente che m'abbian voluto arrestare a motivo dei giuochi d'azzardo, a cui mi recavo tutte le notti in un caffè remoto di Venezia. - Come v'è potuto passare in mente un simile sospetto, se il segretario v'aveva detto che l'inchiesta veniva da Milano? - Il come non lo so... ma il fatto è che mi passò per la mente... Del resto oggi capisco benissimo che ero pazzo a pensarlo... ma, quando non s'è fatto nulla per cui si abbia a temere la giustizia, nell'andare a tentone per cercare un motivo qualunque, si dà dentro spesso in una pazzia... - Voi dunque potete ripetere che non sapete nulla affatto del motivo del vostro arresto? - Lo ripeto, disse asseverantemente il lacchè. Qui succedette un momento di pausa. L'auditore guardò il capitano di giustizia, il quale, disse solamente: - Continuate. - In che giorno voi vi siete recato a Venezia per la prima volta? continuò l'auditore. Questa domanda era un colpo maestro... Il capitano stupì... come uno che vede un fiacco giuocatore di bigliardo a tentare un colpo riservato, e coglier bene la palla, e pensò fra sè stesso: Sta a vedere che costui oggi mi sfalsa per la prima volta... - Rispondete, quando siete partito da Milano per Venezia? - Il dì preciso non me lo ricordo bene... ma so che del carnevale di Venezia ho passato nove giorni, e là finisce al martedì, quattro giorni prima di Milano. La risposta era più ancora da maestro. L'auditore guardò il capitano di giustizia. - Come potete provare che voi eravate a Venezia prima del mercoledì grasso? - Che cosa so io?... Da Milano sono partito solo, perchè avendo guadagnato assai al giuoco, m'è venuta la tentazione di recarmi in una città dove il giuoco si fa più largamente che qui... Sono partito senza dir niente a nessuno... e sono arrivato dove non conoscevo nessuno... Però io non saprei come trovare i testimonj... - Che somma vi trovavate in saccoccia quando partiste da Milano? - Cento zecchini veneti... - In che luogo avete giuocato... con chi li avete vinti? - In che luogo? in più luoghi... ai Tre Re, al caffè Demetrio, al Gallo... in Ridotto. In quanto alle persone... posso nominare il figlio dell'oste dei Tre Re, al quale ho guadagnato dieci zecchini; posso nominare il lacchè di Casa Isimbardi, al quale vinsi sei mesate, ossia l'importo di cent'ottanta lire milanesi; posso nominare il mastro di scuderia di casa Litta, al quale ho vinto quindici partite al tresette l'una dopo l'altra, ossia quindici zecchini... Ma la somma più grossa l'ho presa al Ridotto del teatrino... Non mi domandi però nè il nome nè il cognome di chi ha giuocato con me... perchè non lo so.... e chi mai domanda il nome a un forestiero che in teatro c'invita a giuocare?... Pure se costui fosse ancora a Milano, non c'è dubbio che lo riconoscerei, e sarebbe una fortuna per me, che così potrei far persuasa la signoria vostra illustrissima. - Perchè vi preme tanto di persuadermi? Chi vi ha detto ch'io voglia farvi colpa dei denari che avevate indosso?... Queste parole mi fanno nascere dei sospetti. - Vostra signoria illustrissima mi ha chiesto quanti denari avevo quando sono partito... Io ho risposto il vero, punto per punto... e siccome chi dice il vero, vuol essere creduto... così vorrei che alla S. V. ripetesse tale verità quello stesso che ha giuocato con me e che mi lasciò sul tavoliere sessantasei zecchini, ecco tutto. - Voi, a Venezia, i rapporti parlan chiaro, vi eravate dato a far il ricco gentiluomo, con gondola e livrea e il resto. Come si poteva far tutto ciò con mille cinquecento lire di Milano? - Molti dei nostri più ricchi patrizj non hanno più di duecento, più di trecento lire al giorno. Vostra signoria illustrissima vede bene che per dieci o dodici giorni chicchessia che voglia assaggiare la vita del gran signore ci può riuscire con mille cinquecento lire... Tutto sta a continuare... Questo è il difficile. E l'auditore proseguiva: - Voi asserite di non aver avuto che cento zecchini in tasca quando partiste per Venezia... ma da questi ricapiti e chirografi che il barigello si fece consegnare da voi, appare che sui banchi di Venezia voi avete messo a frutto più di trenta mila lire. - Queste le ho guadagnate a Venezia, dove mi sono recato espressamente per moltiplicare al giuoco la somma che già teneva presso di me. Vostra signoria sa che il conte Barbò in una sera guadagnò quaranta mila talleri di Carlo VI. Al giuoco si fa presto... - Ma perchè dunque mi dicevate che avete voluto provarvi a far il gentiluomo con cento zecchini; mentre potevate dirmi addirittura che non si trattava più di cento zecchini ma di trenta mila lire? - Ho detto così per dire... Del resto vostra signoria non può credere ch'io volessi nascondere il fatto dei recapiti che tenevo presso di me, dal momento che ho dovuto consegnarli al barigello, e che sapevo ch'erano stati consegnati nelle mani dell'eccellentissimo signor capitano di giustizia... Ma ora domanderei licenza a vostra signoria illustrissima di fare una domanda? L'auditore guardò in viso al signor capitano, il quale accennò di lasciar fare e dire. - Parlate liberamente. - Vostra signoria mi domandava un momento fa se io conoscevo la cagione per cui venni arrestato ed ho risposto che non ne sapevo niente, come non ne so niente; ora si contenti, signore, di lasciarmi domandare il motivo per cui oggi sono qui. L'auditore finse di non intendere, fece pausa... e frugò in un fascio di carte da cui trasse un foglio che pareva una lettera spiegazzata, e la rilesse tutta attentamente senza dir verbo, poi continuò: - Con quali persone del ducato o della città di Milano vi siete voi trovato nel tempo della vostra dimora in Venezia?... - Con una sola. - Con chi? - Colla signora contessa V... - Per quali ragioni vi siete recato a farle visita? - Dirò tutto; per supplicarla ad avere la bontà di non interrompere una mia tresca che avevo con una giovinetta che le abitava dirimpetto. - Come avete saputo che la contessa V... trovavasi , in Venezia? - Era più difficile a non saperlo che a saperlo; tutti ne parlavano. - Ma perchè avete voluto mascherare la vostra condizione in Venezia, e supplicare per ciò la contessa a non palesarvi? - La mia condizione di lacchè non era favorevole per farmi aprir le porte delle prime case di Venezia, e nemmeno per entrar nelle sale del ridotto di san Moisè. Se la contessa mi avesse palesato, io avrei dovuto sottostare ad un avvilimento vergognoso; perciò la pregai di tacere, e di non mettermi in piazza e di lasciar vivere, se anch'essa voleva vivere. - Perchè dite: se anch'essa voleva vivere? - Ma chi non sa la storia della contessa, dal momento che tutta Venezia n'era piena? e appunto per questo le ho fatto intendere, rispettosamente, che badasse piuttosto a' fatti proprj, che non a guastare i fatti altrui. Anzi, sul proposito della signora contessa, giacchè essa ha tentato di rovinarmi... Qui il Galantino si fermò di punto in bianco, spaventato dalla propria imprudenza, e diventò pallido come un panno lavato. Il capitano di giustizia fece un atto di sorpresa; l'auditore guardò il capitano contento, come un pilota che dopo una lunga bonaccia, odora finalmente un fil di vento, e s'accorge che si può spiegar la vela. - Come sapete voi che la contessa abbia tentato di rovinarvi, scrivendo sul conto vostro ad una persona fidata di Milano, e mettendo innanzi i sospetti che voi gli avete ispirati? - Io non so nulla. - Come non sapete nulla? Cosa vi disse la contessa quando vi siete trovato seco? badate a non dir la bugia, perchè qui c'è tutto... e mostrò una lettera. - Cosa mi disse? molte cose mi disse. - Dite tutto, alla buon'ora, continuò l'auditore che in quel giorno era più coraggioso del solito. - Io non ho difficoltà nessuna a ripetere tutto il discorso... - Le cose inutili mettetele da parte e rispondete a me. La contessa vi parlò del trafugamento di carte commesso nella casa del marchese F... nella notte del mercoledì grasso?... Il lettore si accorgerà che l'auditore, se fosse stato più acuto e sagace, avrebbe potuto scansar tante lungaggini, e cominciare l'interrogatorio da questo punto principale... Buon per lui che il Galantino, per quanto astuto e destro, si lasciò accecare dall'ira momentanea e perdette la scherma: tanto è difficile a navigar sicuri nell'arduo mare delle bricconate. - Sì, avete detto? continuava l'auditore... Come dunque avete potuto affermare, e, interrogato di nuovo, avete avuto la franchezza di ripetere che eravi ignota la causa per cui siete stato arrestato a Venezia e tradotto a Milano? Il Galantino aspettò un momento a rispondere, poi disse: - Torno a ripetere che quando V. S. mi domandò se conosceva la causa del mio arresto, in quel punto era lontano le miglia dall'immaginarla, e soltanto adesso comincio a capire qualche cosa ... - Ciò è affatto inverosimile... e nelle vostre parole mal si cela una bugia. - Una bugia? perchè? V. S. illustrissima mi perdoni. - Se la contessa vi manifestò com'era caduto su di voi il sospetto del furto tentato e consumato in casa F... in che modo non avete pensato a questa circostanza allorchè foste arrestato? - In che modo non lo so... Ma il fatto è che non ci ho pensato; perchè le parole e i sospetti della signora contessa non mi fecero nè freddo nè caldo. Chi è mai a questo mondo che può temere le conseguenze di quel che non ha mai fatto? E, a proposito della signora contessa, io mi sento in dovere di annunciare un fatto. Un fatto che potrebbe dare un filo, a chi ci ha l'interesse, di scoprire l'autore del delitto commesso in casa F... - Che? - V. S. mi permetta di parlare liberamente. - Ve lo impongo. - Sappia dunque la S. V. che la contessa V... era l'amante occulta del marchese defunto. Qui ci fu un momento di pausa; il capitano e l'auditore si guardarono maravigliati. - Come potete asserir questo? La contessa ebbe sempre fama di donna onesta, austera... - Della fama io non so niente; guardo ai fatti, io; però chi ha potuto avere una tresca con un tenore... non c'è da restare balordi se potè intendersela prima con un marchese. Il capitano e l'auditore si guardarono di nuovo e raddoppiarono d'attenzione. - Io era lacchè in casa F... e queste cose posso saperle... Ma non è ciò che importa... Una sera, prima ch'io partissi da Milano, voglio dire molti giorni prima della settimana grassa... io passeggiavo a notte tarda, in Rugabella... due uomini camminavano innanzi a me... intenti a discorrere, e credendosi affatto soli... non abbastanza a voce bassa; diceva dunque l'un di essi: Io so che il marchese F... (il marchese F... allora era gravemente ammalato) ha lasciato nel testamento alla contessa V... la sontuosa villa che ha in Brianza. L'altro che ascoltava si fermò su due piedi, e disse: A questo modo è un mettere in piazza la contessa... Quasi quasi ci sarebbe da sospettare che ciò possa esser mai una vendetta del marchese contro il conte V... dal quale, per un alterco, venne insultato e ferito in duello. Ma qui non ho sentito altro, perchè que' due, accortisi d'una pedata, si tacquero tosto. - Ma e che fa tutto questo? - V. S. mi perdoni... ma se alla contessa potè mai trapelar qualcosa del testamento... è naturale ch'ella dovette desiderare che il testamento sfumasse per aria. La contessa non aveva bisogno delle ville del marchese... ma bensì che a tutti rimanesse celata la sua tresca vergognosa... Se dunque le signorie loro vogliono venire a capo di qualcosa... giacchè hanno voluto mandare ad arrestar me, sino a Venezia... me che non poteva avere, come non ho interesse nessuno nelle cose del marchese defunto... sicchè un tale sospetto mi fa venir voglia di ridere; mandino ad arrestare la signora contessa, e salterà fuori, lo scommetto, quel che si vorrà. La mia condizione è tale anzi, V. S. mi perdoni, che mi dà il diritto di pretendere che la contessa venga chiamata a Milano... Io che ho sopportato e sopporto la pena delle colpe altrui, il che non è giusto... V. S. perdoni questo sfogo alla mia infelice posizione... L'auditore non disse nulla, e si volse al capitano, il quale dopo alcuni momenti di silenzio: - Potete rimandarlo in carcere, disse. Per oggi basta. Il Galantino fu ricondotto in prigione; il capitano e l'auditore, quando furono soli: - A me par di sognare, disse l'uno. - Io casco dalle nuvole, disse l'altro... Ma intanto che l'uno e l'altro attendono a riaversi dallo stupore, noi siamo sollecitati dall'amore che portiamo a donna Clelia, a dichiarare al lettore che tutto ciò che disse il Galantino era una sua perfida invenzione per vendicarsi della contessa... Invenzione però che fe' presa in giudizio, e fu occasione di una stranissima combinazione di cose, nella quale il costituito Suardi, tanto esperto giuocatore, non giuocò, di certo, la sua carta più fortunata.
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