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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO QUINTO
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III

Ed ora tornando nella camera del conte, ci accorgiamo che è necessario di spiegar nettamente molte cose che lo risguardano, in continuazione a quel po' di schizzo che, qualche pagina addietro, abbiam dato della sua vita e dell'indole sua. Non sappiamo perchè ogni qualvolta ci occorse di parlare del conte F... e della parte che ebbe nel trafugamento delle carte di suo fratello, lo abbiamo sempre fatto con una circospezione che non potremmo nemmen spiegare a noi stessi. Parrebbe quasi che il desiderio onde il senatore Gabriele Verri e gli altri, i quali erano più o meno in parentela, più o meno in dimestichezza col conte, e che, meglio ancora che per l'onore di lui, spasimavano per il decoro e la buona fama della casta, sia passato nel nostro sangue come un male attaccaticcio; tanto che, se il lettore si ricorda, abbiam sempre parlato a mezza bocca, e gettatigli innanzi in cumulo i fatti senza divisarli bene, quasi timorosi che il conte potesse risuscitare a farci pagar cara la nostra imprudenza. Ci vergogniamo dunque di questo nostro modo di procedere, e vogliamo parlar chiaro, e senza l'ajuto de' personaggi, ma per la nostra bocca medesima. Il conte F... avendo dunque saputo qualche giorno prima che morisse il marchese, che il prevosto di San Nazaro era riuscito a fargli stendere un testamento a favore del figlio della Baroggi; avendo saputo inoltre che il testamento non era stato consegnato a nessuno, e che anzi il marchese aveva dichiarato al prevosto stesso: trovarsi nello scrittojo del suo studio, in mezzo a molti documenti di famiglia, anche le disposizioni dell'ultima sua volontà; il dì medesimo che esso morì e che i notai del Pretorio apposero i suggelli allo scrigno, parlò col suo agente signor Rotigno (che per lui aveva il merito d'avergli ridotto, con un'amministrazione inesorabile, a un terzo di più il valore de' suoi possedimenti), parlò un lungo discorso che condusse il Rotigno a fargli la proposta di tentare il lacchè Suardi, stato tanti anni al servizio del marchese, e che, per essere respinto da tutti e non aver più nè dove dormire nè di che mangiare, dalla disperazione facilmente sarebbe stato persuaso ad accettare buoni patti. La sostanza, in palazzi, case, ville, terreni, capitali, diritti d'acqua, ecc. del marchese F... era valutata a circa dieci milioni di lire milanesi. Il conte promise al Rotigno lire 200 mila di regalo, quando l'impresa fosse riuscita bene; in quanto al lacchè, avrebbe dovuto ricevere sessanta mila lire di compenso, compiuta ogni vertenza; quando cioè fosse tolto di mezzo ogni pericolo d'investigazione criminale, e dopo un lasso di sei mesi; delle quali sessanta mila lire se gliene dovevano anticipare due mila prima di tentare il fatto; altre vent'otto mila subito dopo consumato il trafugamento; il resto, come dicemmo, maturati i sei mesi.

Queste cose, secondo le regole della drammatica e de' suoi sospensorj, il lettore avrebbe dovuto saperle in altro luogo e tempo, quando cioè, dopo un lungo ordine di anni e di vicende, ogni segreto dovrà saltar fuori all'aperto per uno di quegli accidenti che non sanno uscire che dalla bisaccia agitata dalla cieca fortuna. Ma siccome queste cose noi le sappiamo già, avendo sott'occhio tre quinterni di carta gialla e tarlata, tutta nera d'inchiostro svanito, dove la storia del processo c'è tutt'intera, così ne facciamo una graziosa anticipazione ai nostri lettori, anche perchè possano così valutar meglio la portata di questi due personaggi: il conte F... e l'agente Rotigno.

Compiuto il fatto, seppellito il marchese, pagato il lacchè, il conte e l'agente respirarono. Del qui pro quo provocato dagli amori di donna Clelia col tenore gioirono in segreto di una gioja profonda, di una di quelle gioje onde nelle vecchie leggende della nubilosa Germania vediamo esaltato il maligno spirito quando riesce a trarre a perdizione qualche innocente; gioirono in segreto, vogliamo dire che non si comunicarono le loro gioje; perchè e l'uno e l'altro evitarono sempre di parlare di quant'era avvenuto, e per qualche giorno parve anzi che si scansassero. Un'avversione misteriosa grado grado era nata tra di essi; e tanto più implacabile quanto l'uno era più avvinto all'altro, e quanto più dovevano dissimularla con degnazione cortese per un lato, e con profondo rispetto per l'altro. Sul resto erano tranquilli, meno però sul fatto del lacchè, il quale, dopo aver mostrato il testamento originale al signor Rotigno, ostinatamente volle tenerlo per sè, limitandosi a trarne di proprio pugno la copia. Tanto il conte che il Rotigno avevano conosciuto il Galantino per una faccia sola, per quella della ribalderia, dell'audacia e della miseria; ma non sospettarono affatto quella dell'ingegno, dell'acume e dell'astuzia naturale. Davvero che non s'era adempiuto per parte del lacchè alla più grave delle condizioni. Ma dieci milioni erano guadagnati, il fatto era corso tanto bene, che pareva espressamente comandato dalla fortuna. Il capriccio del lacchè poteva essere un capriccio senza pericolo di conseguenze gravi, e del resto anch'esso era interessato a tacere. Non si pensò dunque ad altro che a dar corso alle faccende domestiche, e giacchè solo il conte era chiamato all'eredità, a procacciare gli opportuni provvedimenti per andare al possesso di essa.

Per tutte queste circostanze adunque, ci pare sia facile a capacitarsi del terribile effetto che dee aver fatto sull'animo del conte F... la notizia inaspettata della cattura; ella veniva a dire in conclusione, secondo le consuete risultanze de' processi, che fra pochi giorni tutto sarebbe stato palese, e, insieme coll'edificio che veniva a crollare dalle fondamenta, il decoro del casato, il decoro apparente, già s'intende, veniva ad essere oscurato per sempre. La vivacità lieta che il conte mostrò a' commensali quando la notizia venne annunciata, e le parole che pronunciò non erano state che un effetto dell'esaltazione della paura e dell'astuzia istintiva e quasi meccanica che ha chiunque per trarre in inganno gli astanti intorno a cosa che vuolsi tenere nascosta e si trema possa venir palesata pur dal menomo turbamento esterno, dal colore mutato, dalla voce indebolita. L'uomo allora finge ed esagera sentimenti in tutto opposti a quelli che gli si agitano in petto, di modo che talvolta ei si rivela per l'eccesso appunto della finzione medesima; e il conte si rivelò in fatti a molti de' commensali che notarono ogni cosa e tacquero; si rivelò persino, chi mai lo crederebbe, allo stesso dottor Gallaroli, uomo naturalmente acuto e scaltrito da una lunga esperienza, tanto acuto e tanto scaltro, che finse di esser caduto dalle nuvole quando il sincero e sciolto e burbero dottor Moscati non dubitò di dire quel che pensava. Ma se quella notizia fu tanto micidiale al conte, da fargli l'effetto dell'acqua dei Borgia e dell'arsenico, non lasciò intatto nemmeno l'agente Rotigno, come è facile a credere. Benchè fornito com'era dalla natura di un corpo robusto e inquartato come quello d'un cavallo da stanga, e avendo colorito il volto da quel colore permanente che par vernice metallica e che non permette di distinguere un uomo in deliquio da uno che ha ben bevuto, non ne lasciava trapelar nulla all'esterno. Nessuno però dei nostri lettori più infelici e malcontenti della vita avrebbe potuto invidiarlo; chè in otto giorni e otto notti, se riuscì a sfiorare tre o quattr'ore di dormiveglia, s'arrischia a dir troppo.

Ben è vero ch'egli aveva prese tutte le precauzioni, onde, anche nel caso che il Galantino fosse stato posto alle strette, non potesse nominare l'uomo da cui aveva tenuto il mandato, perchè egli non gli s'era dato a conoscere; ma nel tempo stesso avea potuto accertarsi che il lacchè avea, come suol dirsi, mangiata la foglia, e nel caso di un buon tratto di corda che gli avesse fatte veder le stelle anche di giorno, avrebbe presto dato fuori i nomi per cercar sollievo o trarre altrui nel laccio. Il fatto però d'una malattia grave e pericolosa del conte gli aveva messo in cuore qualche speranza. - Se mai fosse per morire, pensava, prima che il lacchè ci tiri in ballo, a me non riuscirebbe difficile trarmi d'impaccio. Il lacchè nominerà il conte... ma il conte morto non potendo comparire in giudizio... il tutto finirà colla restituzione del testamento... e chi deve esser ricco sarà ricco, e buona notte, e don Alberico s'accontenti di quello che ha. Per tali considerazioni, il signor Rotigno si consolava ogni qualvolta il dottor Gallaroli gli dava pessime informazioni dell'ammalato; e arrivò perfino a stropicciarsi le mani per un soprassalto repentino di giubilo quando sentì annunciato il consulto, tanto avea buona opinione dei consulti medici!!! Se non che questo fresco venticello che gli soffiò sull'animo agitato venne respinto da una frase sola del dottor Moscati: - È mestieri del prete. - Egli non avea pensato che alla morte del conte, e non all'agonia nè a' suoi preliminari, talchè non avea mai considerata la necessità della confessione e dell'olio santo. Però quella parola prete gli penetrò nel cuore coll'effetto di un cuneo che squaglia un ceppo, chè, pensava egli: La vita eterna farà parere al conte un nonnulla i dieci milioni del marchese... e per alleggerir l'anima verserà tutto nelle orecchie del prete... - Insomma lo spavento che gl'indusse quella parola fu tale che se in quel punto avesse mangiato anch'esso due o tre rocchj d'anguilla, l'indigestione lo avrebbe soffocato. Tant'è vero che fare il galantuomo è la migliore speculazione di questo mondo.

 




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