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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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IV Lasciando adesso le nostre digressioni, e venendo a' fatti; quando il signor agente Rotigno e don Alberico tornarono nell'antisala: - Bisognerà dunque, disse il secondo, mandare a chiamar don Giacinto. Don Giacinto era il vicario di Santa Maria Podone, dipendente dal curato di Santa Maria Porta; era il prete di casa, ossia quello che più frequentemente aveva a che fare col signor conte padrone; non tanto, a dir la verità, per le faccende dell'anima, ma per le vertenze di un beneficio di jus patronale, pel quale il conte F... aveva diritto di nomina. - Don Giacinto è stato qui sin dall'altro jeri, rispose il signor Rotigno, ma ho creduto bene di rinviarlo. Queste sottane nere, caro don Alberico, fanno un tristo effetto sugli ammalati. Dopo i purganti e gli altri argomenti, ciò che procura la guarigione di un ammalato è la faccia gioviale del medico e la speranza. Ma a che amministrar purganti e conforti, quando un prete dee venire a mettere spavento? Che effetto farebbe a lei, don Alberico, se dopo il quarto o quinto giorno di malattia, il prete venisse a farle visita subito dopo il medico? - Che effetto? si sa... Ma quando il medico lo consiglia... - Il dottor Gallaroli è un furbo che vuol darsi importanza e ama far correr la voce per Milano ch'egli è l'uomo dei miracoli... e sa, anche dopo l'olio santo, rinnovare la vita; gli altri due, è naturale... son della professione, e una mano lava l'altra, e il mestiere non vuol essere rovinato - però son venuti, come succede sempre, per dar ragione al medico della cura, il quale, a dir la verità, mi par il prete che canta messa, mentre gli altri due fan da diacono e gli tengono il piviale. È sempre la stessa storia, però bisogna saperli interpretare, e non seguirli testualmente questi signori. - Basta, fate voi. Badate però che stasera il dottor Gallaroli non faccia strepito del non essere stato obbedito. - Vedrà che il dottore non dirà nulla... E poi io vivo certo che il conte debba migliorare... - Fate pure, fate pure... Ora sentite ... - Che cosa? - Fatemi contar dal cassiere un cento talleri di Carlo Sesto. - Siam sempre a queste, don Alberico. - Sono otto giorni che ne ho di bisogno. - Il signor conte mi proibì di darle altro danaro prima che incominci il mese di giugno. - Il giugno è qui presto... è un'anticipazione di pochi giorni... - Eppoi? - Eppoi, fate presto. Non mancano usuraj a Milano, e se batto di piede saltan fuori talleri da tutte le parti. Non è la prima volta. Ma che maledetto gusto è questo di costringermi a pigliar dieci per restituir venti! Non c'è al mondo uomo più avaro e più sucido di mio padre; e voi gli tenete la staffa. È tempo di finirla. Ho ventun'anni, e colla nuova eredità sono il figlio unico più ricco di Lombardia. Venti milioni... una piccola bagattella... e sempre aver bisogno di denari come se fossi un pezzente, e domandar la carità a voi. Ma chi siete voi? L'agente sorrise, e: - Sono il suo umile servitore, che ama lo splendore della casa, e desidera che l'unico erede di tanta facoltà non trovi d'aver decimato nulla quando sarà egli il capo della casa e il padrone assoluto di tutto. Però, giacché veramente le occorrono, vado a farle contare i cento talleri. - Sentite, se fossero centocinquanta non mi lamenterò; anzi, ora che ci penso, mi lamenterei se fossero appena cento. Il signor Rotigno discese nello studio dov'erano molti impiegati subalterni, cassiere, ragioniere e scrivani, perché l'amministrazione della casa era vasta e complicata. Si fece contare dal cassiere i centocinquanta talleri, li fece notare alla partita di don Alberico, incaricando uno scrivano di stendere una ricevuta che il figlio del padrone avrebbe firmata per la necessaria regolarità, e perchè voleva così il signor conte padrone. Mentre il signor Rotigno s'indugiava là per tale occorrenza, entrò un commesso di studio seguito da un facchino portante un sacco di denaro; entrò e disse: - Gran novità. - Che cosa? - È tornata, pochi momenti sono, la signora contessa Clelia V... - Tornata?... ma perchè? - S'ella voleva tornar così presto, tanto aveva a non fuggire. - Oh bella! il conte marito volle andare dov'ella si trovava, ed ella ritornò dove non si trova più suo marito. Fin qui non ci vedo nulla di strano, ed è facile a capire. - Che cosa è facile a capire? - Quello che voi non sapete, soggiunse il commesso. La contessa è tornata perchè fu fatta ritornare. - Da chi? - Da chi ha l'autorità, s'intende; voglio dire, dal Senato. Ma sapete il motivo? è il motivo che vi farà strabiliare tutti. - Sentiamo, parla, di' presto. - Il motivo è che il Galantino ha dato fuori il suo nome; e in conclusione, è dessa che lo ha pagato a rubare il testamento. E si sa anche com'era il testamento. Erede, già s'intende, il nostro illustrissimo signor padrone, e diversi legati, tra' quali uno, e il più vistoso, all'egregia contessa... in compenso di... mi capite... Altro che Urania e Minerva e che so io, come la chiamava il vicario don Giacinto: ah! ah! ah!... a dire che mi divertono tali intrighi, è dir poco. - Ed ella deve aver fatto trafugare un testamento, perchè il testatore ha voluto regalarla? Ma c'è sale in zucca a creder queste fandonie? - Altro che sale! Il testatore assegnò il premio... ma assegnò anche i servigi... vedete che scandalo. Ah ah ah... Ma già è sempre stato un po' matto il signor marchese. Non somiglia per niente al nostro illustrissimo signor padrone. Il signor Rotigno intanto ascoltava e taceva; e siccome era informato in parte del processo del Galantino, e già avea sentito toccare un tasto di una simile deposizione, credette a mezzo, e quasi quasi si sarebbe confortato, se non gli fossero tosto sorgiunti i secondi pensieri a fargli capire che l'inganno poteva durare per poco e non per sempre. Tuttavia pensò di farne parola al conte. Prese allora i centocinquanta scudi, salì, entrò nella sala dove ancora stava passeggiando don Alberico, gli consegnò i denari colla ricevuta che don Alberico sottoscrisse; e quando questi partì, pensò di entrare nella camera da letto del conte... Se non che, allorquando fu per aprire, si fermò e disse tra sè, anzi pensò... perchè certe cose, nemmeno i bricconi di cartello le osano dire neppure in soliloquio: - Questa notizia potrebbe consolarlo un po' troppo, e aprire il varco alla salute... un'inezia accoppa, un'inezia fa rinascere. È dunque meglio tacere. - E così ridiscese nello studio, prese il cappellino a tre punte e la sua canna d'India, e uscì ad appurare le notizie della giornata. Intanto che il Rotigno se ne va pe' fatti suoi, facciamoci colla contessa Clelia. Il commesso di studio, raccontando che era tornata a Milano, avea detto il vero. Al serenissimo doge Grimani, nelle sale del nobile Alvise Pisani, ella avea promesso che il giorno successivo impreteribilmente sarebbe partita da Venezia; e il doge aveale detto: confidare interamente nella sua parola e non volere per verun conto commetterla a scorta nessuna. Queste furono le parole: ma i fatti non vi corrisposero esattamente. Chè alla contessa Clelia il dì dopo fu reso al tutto impossibile di lasciar Venezia, per varj accidenti sorvenuti all'impensata, e che, scorsi che saranno sedici anni dal tempo in cui versa il nostro racconto, il lettore probabilmente saprà indovinare. In quanto al doge incaricò l'ufficio de' corregidori di far tener dietro ai passi della contessa; e allorchè seppe, con sua grande meraviglia, ch'ella trovavasi ancora in Venezia, alla promessa che donna Clelia rinnovò di partire fra breve tempo, non fu tanto credulo; e sotto specie d'onorarla, la fece accompagnare sino al confine del ducato di Milano da messer Zuane Pizzamano, camerlengo di Comune, e dalla nobile sua moglie. Onore che, giunto al confine, le fu rinnovato dal signor luogotenente di Pretorio, dottor Rocco Orlandi, il quale, espressamente a ciò incaricato da lettera senatoria, le domandò con rispettosa deferenza, ma con quel modo d'interrogare che significa essere il provvedimento già stato ventilato e ingiunto dall'autorità, le domandò adunque se ella desiderava, giungendo a Milano, d'essere alloggiata nella casa dell'egregia donna Paola Pietra sua conoscente. Ma in che modo l'autorità provvide a far alloggiare la contessa presso donna Paola Pietra? Il fatto è chiaro. Dopo che il Senato fu istrutto della strana deposizione del lacchè Suardi, e riputò indispensabile di sentire di presenza in giudizio la contessa V..., l'illustrissimo capitano di giustizia, dopo una conferenza col presidente del Senato e col senatore Gabriele Verri, mandò a chiamare donna Paola, a cui fece palese la deposizione del Galantino, e insieme la risoluzione in che era venuto l'eccellentissimo Senato d'interessare il Consiglio Veneto a mandare a Milano la contessa. Che terribile colpo facesse una tale notizia sull'animo di donna Paola è facile immaginare. Dopo il primo turbamento e dopo quella tremenda confusione in cui le persone educate da una lunghissima esperienza son gettate al sentire imputato di una colpa detestabile chi si ama e si protegge, appunto perchè alla predilezione ed alla stima si mesce sempre il dubbio dell'umana perversità e delle apparenze ingannatrici; donna Paola, nel fondo dell'animo suo, rifiutossi a prestar fede all'oscena accusa. Disse poi tali cose al signor capitano, e le espose con tanta eloquenza e fervore, che lo stesso marchese Recalcati, ch'era un eccellente galantuomo, fu presto dell'avviso, essere infondata l'accusa del Galantino, e dovere anzi l'accusa medesima servir col tempo alla riprova della di lui ribalderia. Perciò, alla profferta che donna Paola gli fece di ricevere in casa la sventurata contessa sotto la sua protezione e sorveglianza non potè che accondiscendere, onde al luogotenente di Pretorio al confine del Ducato furono inviate istruzioni in proposito. Nè qui si fermò la caritatevole donna, ma affannata di avere col proprio consiglio peggiorata la condizione della contessa, pensò di non omettere cosa nessuna, la quale potesse giovare alla causa di quella sventurata e, in ogni modo, dovesse giovare al trionfo della verità. A tale oggetto si recò dall'avvocato patrocinatore del figlio della Baroggi, perchè vedesse di poter raccogliere una o più testimonianze ad indicare e provare, non essere altrimenti vero che il lacchè Galantino si trovasse già a Venezia prima degli ultimi otto giorni del carnevale di Milano. E l'avvocato si prese l'assunto, e in pochi dì fu sulla via di far qualche preziosa scoperta. Se dunque queste ultime pagine furono noiose anzi che no, ci lusinghiamo che il ritorno della contessa, e la sua chiamata in giudizio, e le sue confidenze a donna Paola e le sue ansie: come pure la scoperta dell'avvocato patrocinatore, e i nuovi interrogatorj imposti al Galantino, e le lotte in Senato sul proposito della tortura, e i risultamenti provvisorj di codesta matassa, saranno Vasta materia di sermon futuro.
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