Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giuseppe Rovani
Cento anni

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO QUINTO
    • IX
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

IX

Per l'ora prima di notte fu dunque invitato a comparire innanzi al signor capitano di giustizia, come testimonio contro il costituito Suardi, detto il Galantino, il già cameriere nell'albergo dei Tre Re, Cipriano Barisone.

Questi comparve di fatto in un col causidico praticante Benaglia. Aperto il costituto, l'attuaro domandò al Barisone se conosceva il Suardi.

- Lo conosco fin da due anni, fin da quando esso era al servizio del marchese F...

- In quali relazioni vi siete trovato con lui?...

- Io ero cameriere all'albergo... e, quando lo conobbi per la prima volta, esso era un avventore che scialava e mangiava i migliori bocconi, e beveva il vin migliore... Di poi, allorchè venne scacciato da quella casa, si astenne per qualche tempo di venire all'osteria; e quando ci tornò, se prima faceva il signore e non giuocava che cogli avventori, dopo ha dovuto, di necessità, se voleva trovare un compagno, mettersi a far comunella con noi gente di servizio... e a notte tarda, quando i più degli avventori eran partiti, giuocava con noi alle carte; e siccome a quell'ora si cenava, egli non aveva schifo di mangiare nei nostri piatti, perchè si capiva benissimo che capitava all'Osteria senza che nè una crosta di pane gli avesse toccato un dente. Si rifece però un poco, e lo vedemmo con de' zecchini d'oro assai in quell'occasione che vinse la corsa co' lacchè di Brescia e di Cremona. Ma fu un'allegria corta, perchè presto tornò ad aver bisogno degli avanzi della nostra cucina.

Qui l'auditore l'interruppe.

- Di qualche cosa però avrà dovuto vivere; con che dunque esso mantenevasi?...

- A dormir sul fenile dell'osteria, a mangiare nell'altrui piatto, ad avere i piedi fuor delle scarpe, mi pare a me, che non debba occorrere gran cosa per vivere. Tuttavia, se mai capitava ch'egli avesse qualche lira tra le mani, le guadagnava al giuoco delle carte nel quale aveva sempre ragione, e quando non era la fortuna, egli stesso faceva le parti di lei.

- Spiegatevi meglio.

- È presto spiegato: s'egli faceva il mazzo, le buone carte eran sempre le sue, e in ciò nemmen chi giuoca ai bussolotti in piazza poteva essere più svelto di lui.

- Ma conoscendo questo, perchè avete continuato a giuocare con esso?

- Che cosa vuole? ci sono a questo mondo de' buoni semplicioni coi quali non si vuol aver a che fare per la ragione dell'antipatia. Parimenti vi sono de' mariuoli che più te ne fanno, più ti innamorano di loro. E il lacchè era uno di questi... Ci rubava i punti, faceva scomparir le carte, ci mangiava il boccon migliore, talvolta ci portava via qualche camicia, qualche calza... che so io.... e tuttavia, quando non lo si vedeva a comparir all'osteria, si pareva senza una mano... Era pieno di piacevolezze, di pazzie, di invenzioni... e perfino il padrone dell'albergo che è un uomo col viso sempre aggrondato e che non ride mai, arrivava a domandar conto di quel briccone se passava una giornata senza vederlo. In quanto a me però, ultimamente, ne avrei fatto anche senza.

- Or dunque, venendo al fatto, quando fu l'ultima volta che voi avete giuocato seco all'albergo dei Tre Re?

- L'ultima volta fu la domenica grassa.

- Come potete provarlo?

- Provarlo? colla buona memoria... io non ho altro... perchè mi ricordo benissimo come se fosse adesso, che la domenica grassa ho giuocato con lui, ed era quasi la mattina del lunedì... E il far tanto tardi non succede che in tali giornate di gran faccende... E poi c'è un altro fatto... Giuocavano con noi due camerieri soprannumerarj, i quali non sono venuti che in settimana grassa, e precisamente alla domenica. Ma chi li va a prendere adesso questi camerieri i quali ora sono qua, ora sono là... e spesso se fanno il cameriere in settimana grassa, fanno il facchino a san Michele... e non si riconoscon più nè al viso né al vestito?...

- Ma voi sapreste sostenere tutto quello che avete detto fin qui anche in confronto del lacchè?

- Perchè no?... s'io parlo... è perchè trattasi di dir la verità... e se dico la verità... è perchè il signor causidico, che venne a pigliarmi a Cremona, mi ha assicurato che a dir la verità tutta quanta si reca vantaggio a delle persone oneste e povere..., e a tacerla, si tiene invece il piatto a' birbanti.

L'attuaro, che avendo proposto il giuramento al primo cameriere, lo aveva sentito a ritirar la parola per ispavento della solennità dell'atto; credette di non farne motto al secondo testimonio, e di provocar prima il confronto di lui col Galantino. Di fatto avrebbe dovuto incominciare anche coll'altro da questo atto, preterendo il giuramento; ma sbaglia anche il prete a dir la messa.

Il cameriere Barisone fu dunque fatto uscire, pel momento, dalla sala degli interrogatorj, e fu mandato a prendere il costituito Suardi. - Questi comparve nella sala un quarto d'ora dopo, in mezzo a due secondini, o come chiamavansi allora più comunemente, sbirri.

La faccia del Galantino, quando si mostrò, era sorridente; lo sguardo di lui lampeggiava a dritta e a sinistra con vivacità gioviale. Un occhio esperto però avrebbe dovuto comprendere ch'ei sorrideva vivacemente, perchè la sua forte volontà moveva i muscoli del viso e degli occhi. Era, se ci si passa la similitudine, come un caratterista brillante di una compagnia comica, il quale ha i creditori alle calcagna e gli arresti personali intimati per debiti, e tuttavia, sul palco scenico, ride e fa ridere, e par l'uomo più allegro del mondo. Del rimanente, quel roseo incarnato che avea sempre colorito il volto bellissimo del Galantino, era scomparso per dar luogo a un lieve pallore, insolito su quella faccia trionfante di sfrontatezza e di salute.

L'attuaro, fatta una lunga pausa, durante la quale guardò il Galantino con una significazione severissima, rilesse ad alta voce il primo costituto stato già sottoscritto dal Suardi, poi soggiunse:

- Avete ancora il coraggio di sostenere tutto quello che avete detto e deposto qui in processo verbale sottoscritto?

- La verità è una sola, e io non posso già dire che non è avvenuto quello che realmente è avvenuto.

- Voi sapete che chi spontaneamente confessa la propria colpa alla giustizia, ha meritato che la giustizia alla sua volta gli si mostri indulgente. Vi esorto adunque di nuovo a dire la verità, se volete che la giustizia non faccia uso contro di voi di tutto il suo rigore.

- La giustizia può fare quello che vuole; ma io non posso cambiare quello che è stato.

- Ebbene, sappiate che abbiamo assunte testimonianze, dalle quali risulta che voi avete mentito. La domenica grassa, a notte tarda, avete giuocato alle carte all'albergo dei Tre Re... Vedete dunque che non è verosimile che voi foste allora a Venezia già da otto giorni.

Il Galantino, benchè fosse di bronzo, non potè a meno di commuoversi a quelle parole, e fu una sua fortuna s'egli era illuminato dalla fiamma della lucerna piuttosto che dai raggi del sole; si ricompose però sull'istante, come un cavaliero, fatto piegare indietro da una lancia, che tosto si rimette in sella; e rispose con asprezza:

- Non sarà mai vero che alcuno possa dire, ch'io mi trovassi a Milano la domenica grassa. Torno a ripetere ch'io andai a Venezia otto giorni prima. E quegli che a loro signori avesse detto il contrario è un bugiardo infame.

L'attuaro tacque un momento, poi disse ad un usciere:

- Fate entrare il testimonio.

L'usciere entrò col Cipriano Barisone cameriere.

Il Galantino, che nel frattempo aveva almanaccato per indovinare chi mai poteva essere venuto a deporre in giudizio contro di lui, e quasi erasi accostato al vero, si trovò parato a sostenere la prima vista del cameriere Cipriano, e tanto che, dalle difese, con una sfrontatezza senza uguale, passò alle offese.

- Ah è costui, disse, quegli che viene a inventar fandonie per farmi danno. Ma non mi fa meraviglia. No... È naturale... però bisognava essere un birbone come lui. Sappiano dunque loro signori che costui ha parlato per vendetta... perchè più volte ha detto che volea vendicarsi di me... Or di' un po' tu se questo non è vero, o ribaldo.

L'attuaro, assalito anch'esso e sorpreso da quell'inattesa franchezza del costituto:

- È vero, chiese al Barisone, che voi avete potuto dire altre volte di voler vendicarvi di lui?

- Sì, signori, è vero, e ne ho le ragioni, e gravi. Prima di tutto costui... che regala del proprio agli altri... e non è mai stato innocente nemmen quando poppava, perchè vi son dei serpenti che avvelenano appena usciti al sole... costui dunque non mi restituì mai cinquanta lire che gli ho prestate, e una sera che gliele richiesi, in faccia agli avventori, mi appoggiò un pugno qui... che, ecco, mi spezzò questo dente. Poi... ma...

- Taci lì, che continuerò io, aggiunse il Galantino cacciandosi a ridere nel profferir quelle parole.

Il Barisone fremeva...

- Sappiano dunque, signori... e innanzi tutto già si sa che si è di carne, e dove c'è carne c'è sangue. Ebbene, questo bel pappione s'è fitto in testa di sposare la figlia della lavandaja dell'albergo. Un fior di ragazzotta, giovane e fresca... una gioncata colle fragole. Il marito dunque era costui... ma...

- Taci...

- Dopo qualche mese la bella sposa... si guardò dunque intorno e vide che, in conclusione, ci voleva qualche cosa dolce per far passare l'amaro dell'aloè. Il caso ha voluto che io gli capitassi innanzi nel momento appunto che era presa dalla nausea di questo gabbiano... Ora chi non lo sa? l'uomo è cacciatore... e quando l'allodola è novella... va presto nel carniere... Del resto la colpa... (e qui si diede a sghignazzare come se fosse in piazza) è di costui che una notte, invece di stare all'osteria, è venuto a casa due ore prima del consueto... e si cacciò a strepitare come uno spiritato ed io a dar giù botte da orbi... perchè questi mariti gelosi van tenuti in soggezione. Così la bella lavandaja tornò a picchiar sulla pietra, e costui giurò di vendicarsi di me. Ecco tutto.

A queste parole del Galantino, e il viso tra il goffo e l'iracondo che faceva il Barisone, sulla faccia dell'attuaro guizzò un sorriso fuggitivo, ch'esso respinse a forza aggrondando il sopracciglio; l'illustrissimo signor capitano guardò con severità l'attuaro, quasi ad ammonirlo perchè desse sulla voce al Galantino e lo richiamasse al dovere ed al rispetto; ma due giovani scrivani, che, per fatalità, s'erano adocchiati, si comunicarono a vicenda quella volontà contagiosa di ridere, che cresce in ragione diretta della sconvenienza, della gravità della circostanza e della severità dei superiori. Ben la nascosero in prima con tali conati da meritare ogni maggior elogio da chi tien conto dell'intenzione; ma i conati e gl'impedimenti non fecero altro che accrescere gl'impeti convulsi, di modo che, dopo essersi soffocati per qualche tempo, come si fa colla tosse quando potrebbe tradire un segreto pericoloso, alla fine scoppiarono in uno schianto così scandaloso e indecente, che la terribilità del luogo, la gravità del signor capitano, l'aggrondatura artificiale dell'attuaro, l'inerte serietà dei due sbirri non valsero a salvare la solennità della dea Temide.

Accorse però al riparo l'attuaro, gridando bieco al Galantino:

- Basta così, e attendete a rispondere ai giudici voi quando sarete interrogato; indi voltossi al testimonio:

- È vero quanto ora fu detto?

- È vero.

- Perchè dunque non lo avete esposto prima?

- Vostra signoria mi perdoni, ma quando io era per continuare e dir tutto, ho dovuto rispondere ad altre domande.

- È egli vero altresì che siete stato eccitato contro il costituito qui presente da spirito di vendetta?...

- Ho detto più volte di voler vendicarmi di lui, questo è vero, ma non furono che parole, e sarebbero sempre state tali. Ciò però non ha nulla a che fare con tutto quello che ho deposto circa il fatto di aver giuocato con esso la domenica grassa, perchè questa è la pura verità, e quando io stavo a Cremona e fui chiamato e interpellato dal signor causidico Benaglia, era lontano mille miglia dal credere ch'io dovessi venire a Milano, ond'essere sentito in giudizio per cosa che risguardava costui.

- Ma come avete potuto, col malanimo che avete seco, giuocare ancora con lui?

- Chi si poteva salvare dalla sua importunità, e anche dalle sue prepotenze? d'altra parte i compagni ridevano di me quando facevo il dispettoso con esso... onde, pel quieto vivere... bisognava adattarsi a giuocare e a lasciarsi incantare anche le carte... Ma se V. S. non crede alle mie semplici parole, io sono disposto a giurare tutto quello che ho detto, perchè non sarà mai che per malanimo io voglia inventar storie a danno di chicchessia.

- Ora parlate voi, disse l'attuaro al lacché.

- Quel che ho detto, lo ripeto. La domenica grassa io stava a Venezia... e costui è un bugiardo... e s'egli è disposto a confermare le sue fandonie col giuramento, non è la prima volta che a questo mondo si sente a giurare il falso con indifferenza.

L'attuaro, a queste parole, guardò al signor capitano di giustizia, che a quella tacita interpellazione:

- Or si rimandi in prigione, disse.

E gli sbirri condussero fuori il Galantino.

- Che vi rimane adesso da aggiungere? disse l'attuaro al cameriere.

- Io non ho niente da aggiungere; son uomini questi che farebbero perdere la testa a chicchessia. Del resto io vivevo tranquillo in Cremona, all'albergo del Sole, e non avrei mai voluto recar danno nè a lui nè ad altri nè a nessuno, se non fossero venuti espressamente a cavarmi di là e a tirarmi a Milano per forza. Questo io dico perchè V. S. si persuada della verità delle mie parole, e che non ho mai ingannato nessuno al mondo, e vorrei che il Signore Iddio mi castigasse qui se mai ho detto il falso.

A queste parole venne rimandato anche il testimonio Barisone, fattagli intimazione di non uscire da Milano fin che non ne avesse avuto il permesso dall'autorità; per la qual cosa venne chiamato nella sala anche il giovane causidico Benaglia, a cui fu parimente intimato che, sotto la sua responsabilità, il cameriere dovesse restare a Milano sino a nuove disposizioni.

E il capitano di giustizia, che si attendeva di venire al chiaro d'ogni mistero in quella notte, trovò invece d'aver raggruppato di più il nodo nel tentare di scioglierlo, avendo bensì la convinzione morale invincibile della reità del Galantino, ma non avendo le prove legali per condannarlo; anzi non avendo raccolto, a rigore, nemmeno gl'indizj legittimi per metterlo alla tortura, come egli avrebbe creduto opportuno, e come e l'attuaro e gli assessori e gli auditori consigliavano ad una voce.

Però ad onta che gl'indizj non fossero a rigore di scrupolo i più legittimi, perchè dei due testimoni necessarj, uno erasi ritirato, e il secondo aveva infirmata la sua deposizione col sospetto di malanimo contro il costituito; e prescindendo anche da ciò, non potea bastare come testimonio solo, non verificandosi in lui gli estremi voluti dagli statuti e confermati dagli interpreti, perchè la sua condizione non era tale che si potesse dichiararlo superiore ad ogni eccezione; tuttavia, avuto riguardo che i due camerieri in massima erano andati d'accordo, che il secondo era disposto a giurare, avuto riguardo inoltre alle deposizioni della contessa Clelia V... e all'abito criminoso del Suardi, l'illustrissimo signor capitano marchese Recalcati pensò di portar la cosa in Senato, affinchè quella suprema magistratura provvedesse in proposito; e il referato che fu steso e spedito il giorno dopo, venne chiuso col voto espresso che appoggiava l'applicazione della tortura al costituito di cui si trattava.

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License