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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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IV Rimessasi la popolazione milanese in tranquillità, sbolliti gli odj, almeno in apparenza, ricomprate le tabacchiere, riscossi i nasi dal semestrale riposo, i signori fermieri e compagnia tornarono ad assidersi a tavola coll'appetito accresciuto e coi pilori instancabili, e più il tempo fuggiva dal temuto agosto del 54, più si facevano imperterriti alle espilazioni ed alle vessazioni. La miniera dell'oro e dell'argento a loro medesimi pareva così esorbitantemente ricca, che pel timore che da un giorno all'altro loro potesse mai venir tolta, facevano in fretta e in furia, a così dire, le scorte per ovviare ai pericoli contingenti. Un tal timore crebbe nel 1758, in conseguenza dell'abolizione de' fermieri, decretata negli Stati Pontificj il 12 dicembre 1757, e delle lodi che da tutte le gazzette e dai fogli pubblici vennero al capo della chiesa, Benedetto XIV. Segnatamente nel Corriere Zoppo o Mercurio storico di Lugano fu stampato un lungo ed assennato articolo, che fece gran senso; e nel quale, tra l'altre cose, dopo dimostrati i vantaggi che dovevano conseguire negli Stati romani alla risoluzione pontificia, leggevansi queste considerazioni: "Chiunque si fa a vedere que' paesi, ne' quali è libero tal genere (ossia il commercio del tabacco dalla Ferma), a prova conosce che le lusinghevoli esibizioni de' fermieri non finiscono poi che a spopolare e ad inquietare le città, i cittadini e i forestieri, a tutto loro profitto e con iscapito del principe a cui servono." E soggiunge (alludendo senza dubbio al ducato di Milano): "Si è sperato in un luogo fioritissimo d'Europa poch'anni fa, che si dovesse abbracciare l'opportuno partito preso ora dal Pontefice. Le compensazioni proposte al Re per reintegrare le sue finanze del prodotto di tale appalto e i beni che ne sarebbero avvenuti nello Stato, erano posti in tal chiarezza da un gran personaggio, che i popoli credevano da un giorno all'altro di sentirne l'abolimento. "Ora però, conchiude, che il capo della Chiesa ha dato un così bell'esempio, è credibile che sarà da altri principi imitato, e che essi approfitteranno dei vantaggi che può produrre il dilatato commercio d'un genere reso tanto comune. Se il tutto si riducesse ad appalti, le città più fiorite diverrebbero solitudini, restringendosi a poche case quel che è il sostegno di tante famiglie." Il fatto adunque del decreto pontificio, la voce pubblica, le gazzette misero in tale apprensione i signori fermieri, che questi presero il partito di Wallenstein, il quale saccheggiava i paesi quando vedeva di non poter fermarvisi a lungo coll'esercito. Fra tutti i fermieri e gli addetti alla Ferma, quel che viveva in minor timore era pur sempre il Suardi, per le ragioni sopraccennate, ed anche perchè in quell'anno medesimo il signor Rocco Rotigno, in conseguenza di una prodigalità forsennata, dei colpi maestri che egli il signor Suardi aveva dato al di lui naviglio pericolante, carico di debiti enormi, sparì improvvisamente da Milano nel mese di ottobre. La favola del cavalier Beltrame e di Roberto il Diavolo s'era verificata nell'intimità del Suardi col Rotigno; e questi dovette perder tutto, sollecitato dalle maligne insinuazioni del suo amministratore, che comparve in prima lista fra' creditori quando il fallimento venne pubblicato. Riguardo al detto Rotigno è curioso il Monitorio pubblicato nelle parrocchie della città di Milano, segnato dal canonico Bazetta, cancelliere arcivescovile, e stampato in Milano per Beniamino Sirtori, tipografo arcivescovile. È diretto a tutti i reverendi abati, priori, prevosti, arcipreti, rettori, curati e vice-curati delle chiese tanto regolari, quanto secolari, e comincia così: "Ci è stato esposto per parte di certi signori di questa città, che alcune persone, li nomi delle quali non si sanno, in perdizione delle anime loro ed in gran danno dei creditori del signor Rocco Rotigno, indebitamente occultano, detengono, occupano o sanno chi indebitamente ha, detiene, occupa ed usurpa oro ed argento, denari, ferro, legno, bronzo, stagno, rame, lino, seta, suppellettili di casa, istromenti, scritture, libri de' conti, ragioni, crediti ed altri beni spettanti al detto signor Rocco Rotigno, non curandosi di restituire, soddisfare e rivelare come devono..."; e continua, comandando ai sopraddetti, "che in virtù di santa obbedienza e sotto pena di sospensione a divinis nelle loro chiese in presenza del popolo, avvisino pubblicamente le persone di qualsivoglia stato, grado e condizione le quali occultano, usurpano, ecc., che in termine di nove giorni debbano, sotto pena di scomunica, aver interamente restituito a' detti creditori ciò che detengono", ecc.; e conchiude invitando anche i soli aventi notizie di qualche mal atto, a far le debite rivelazioni in mano del cancelliere arcivescovile o del vicario foraneo, colla dichiarazione che delle rivelazioni non si potesse agire che civilmente e per solo interesse civile. Per verità non consta, ma ci pare che, tenuto conto dei fatti precedenti, e avuto riguardo agli istinti rapaci del nostro ex-lacchè Galantino, egli avrà dovuto essere uno di quei tali detentori minacciati di scomunica. Ma nessuno si occupò di far rivelazioni a danno suo, nè egli si prese premura alcuna di consegnare o al cancelliere arcivescovile o al vicario foraneo oggetto di sorta; nè la scomunica lo colpì mai nè allora nè dopo. Bensì fu notato com'esso, da una certa magrezza accidentale, ma che non fu troppo fuggitiva, la quale aveva alterato di qualche poco la sua bellezza giovanile, cominciò a riaversi alquanto dopo la morte del primo Rotigno; se ne rifece quasi del tutto dopo la scomparsa del Rotigno secondo, e trascorso un anno, gli si soffusero di novello incarnato le belle guance, che ritornarono tumidette e rigogliose di beata salute: press'a poco siccome avvenne di alcuni famosi eroi delle antiche e delle moderne storie, i quali dalla squallida magrezza onde furono investiti sotto all'azione violenta dell'insaziato genio della conquista, si riebbero quando poterono appagare la loro ambizione, e raggiunger l'ultimo intento. E otto anni passarono così al Suardi tra la giovinezza che baldanzosa gli maturava, e la salute che continuava, e l'allegria che cresceva, e la ricchezza che s'accumulava. Ma a un tratto la popolazione milanese sbuffò come nel 1754, e fu nell'occasione in cui venne pubblicato l'editto del 7 aprile 1766, provocato certamente dai fermieri, coi soliti mezzi onde sapevano ottenere tutto quel che volevano, e forse da essi medesimi imaginato e scritto, perchè l'assurda violenza che v'è comandata non può spiegarsi se non facendone autrice la loro insaziabile ingordigia. L'editto consta di ventotto articoli, ne' quali è tenuto conto, con minutezza cavillosa, di tutti i casi, non soltanto probabili, ma semplicemente possibili in cui la Ferma, rispetto alla regalia del tabacco, potesse menomamente venir danneggiata. Le pene, per la detenzione clandestina di tabacco frodato, varcano, senza nessuna apparenza della benchè menoma giustizia legale, ogni misura di proporzione colla colpa; poichè si estendono dalla multa di scudi cento per ogni libbra di tabacco, a due tratti di corda, a tre anni di galera, persino alla confisca dei beni; e, quel che è incredibile a dirsi, questa pena veniva minacciata a' padroni per la possibile colpa dei servi, ai padri per la colpa dei figli, come dichiarava la lettera del capitolo primo. E la sola detenzione di tabacco estero, pur in quella piccola quantità che non potea passare il privato consumo, veniva punita colla frusta, colla corda, col bando, e quando si trattasse di nobili, colla relegazione in fortezza, a tenore dell'articolo terzo. E davasi facoltà agli ufficiali e deputati della Ferma di entrare, d'ogni ora e tempo, a loro beneplacito in casa di qualunque persona, di qualsivoglia stato, grado e condizione... come in qualunque luogo esente di rispetto e privilegiato, a sensi dell'articolo ottavo; e persino di far perquisire nei castelli e nei quartieri militari, infliggendo la pena dell'indennizzo del quadruplo del danno e del sequestro del soldo ai castellani, capitani, tenenti ed ufficiali, come ingiungeva l'articolo undecimo.
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