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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMO
    • I
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I

Saltando coraggiosamente sei lustri, dobbiamo entrar e piantarci nel fitto dell'anno 1797, nel carnevale di tale anno, pigliandolo precisamente alla sua domenica di quinquagesima, per stare più in regola col calendario ecclesiastico e col nostro fedele Pescatore di Chiaravalle. Trent'anni sono trascorsi dal giorno che la contessa Ada fu perduta e trovata; quarantasette da quella notte memoranda, quando il tenore Amorevoli saltò il muro di cinta del giardino di casa V... Quante vicende, quanti affanni, quanti mutamenti pubblici, che procelle, che trasformazioni! Ben si può dire che, in questo intervallo, l'umanità ha cambiata tutta quanta la sua pelle come il serpente. Eppure dei nostri personaggi non è ancor morto nessuno. Nessuno, tranne la venerabile donna Paola Pietra, perchè era già vecchia quando ne abbiam fatta la conoscenza; tranne l'avvocato Agudio, perchè era decrepito quando lo scontrammo sull'uscio di casa Pietra; tranne il giovane lord Crall, perchè ebbe la malinconia di voler fare il precursore di Werter e di Ortis: gli altri sono tutti ancora vivi, il che vuol dire che la natura umana è ben tenace, e i suoi dolori pajono piuttosto dolori teatrali che veri; se si eccettuino quei della renella e quei della gotta, e gli spasimi dei denti molari!!

Ora, essendo quasi tutti vivi i personaggi di nostra vecchia conoscenza, è naturale che da loro e per loro sien nati altri personaggi, che nel tempo a cui siamo saltati, sono giovani e adolescenti e fanciulli, e i quali, l'uno dopo l'altro, dovranno pur passare, per forza o per amore, sotto la nostra mano. Noi ci troviamo nella condizione del cavallerizzo che attende nel circo ai giuochi romani. Ei comincia con due cavalli, poi sottentra un terzo, poi un quarto, poi due d'aggiunta, e un altro, e due altri ed altri ancora, finchè si trova aver tra le mani un grosso manipolo di redini refrattarie e quasi insensibili alla mano, con dodici o quattordici cavalli da far correre nell'arringo, col pericolo di stramazzare ogni momento, e di vedere qualche indocile corridore uscir dal sistema e trascinare i lunghi freni per la polvere olimpica ad impacciare la corsa, e ad assicurargli le fischiate del caro Pubblico che guarda all'esito e non alle difficoltà superate, e ne ha tutte le ragioni.

Ma, tirando innanzi, se la società cangiò faccia, e il pensiero umano fu tutto messo sottosopra, il resto ha seguito le sue sorti. Le vesti, le foggie non sono più quelle d'una volta; le mura stesse della città non sono più quelle. Molti edifizj scomparvero, altri ne sorsero di nuovi. Un galantuomo, defunto nel 1750 o nel 1766, risuscitato per incanto, non avrebbe più trovato modo di raccapezzarsi passando in quella mattina di marzo per la via della Scala. L'antica chiesa era scomparsa; trent'anni prima avrebbe letto, passando per di lì, sulla facciata di essa, o un Pax vobis, o una Indulgenza plenaria, o un Pregate per l'anima, ecc., ecc. In quel dì invece, alzando la testa, avrebbe dovuto far le meraviglie vedendosi innanzi un gran teatro, con un gran portico, con un gran terrazzo, con un frontone greco-romano chiudente in bassorilievo un Febo auriga che sferza i cavalli. Altro che idee e cose di chiesa! E sotto, invece del cartellone della confraternita del Santissimo Sacramento, un cartellone pendente dall'arco di mezzo, sul quale il Pubblico affollato nella mattina di quinquagesima del 97 leggeva queste parole:

IL BALLO DEL PAPA

OSSIA

IL GENERAL COLLI IN ROMA

PANTOMIMO

ESEGUITO

DAL CITTADINO LEFÈVRE

Più basso, impastati sui due estremi pilastri del portico alla portata della vista di un uomo d'ordinaria statura, si vedevano due piccoli affissi, senz'eleganza nè di carta nè di carattere. Il gesso non aveva ancor invaso la manipolazione degli stracci. Bodoni non era ancor comparso. Su quei due affissi, dopo il titolo generale del nuovo ballo, e il nome dei personaggi e degli attori, spiccava l'epigrafe dantesca:

Ahi Costantin di quanto mal fu matre

con quel che segue; poi si leggevano queste parole del cittadino Salfi al popolo di Milano:

"Questo pantomimo, che annunzia il regno della ragione, non è un'invenzione semplicemente ingegnosa, ma il risultato di quei fatti e di quei caratteri che formano la storia più interessante degli ultimi tempi di Roma. Si potrebbero verificare le più minute circostanze con quei monumenti che debbono oramai essere notissimi al pubblico, e che si conservano sparsi nel giornale intitolato Termometro politico della Lombardia. Possa questo primo lampo della verità incenerir l'impostura ed il fanatismo, e far trionfar la religione e la pace.

Salute e fratellanza."

Correndo il marzo, come abbiamo detto, faceva una bella giornata limpida e trasparente, e per soprappiù soffiava un vento marino tepido e consolante. Esso era annunziatore della primavera, e poteva anche annunziare un ultimo saluto di neve. Gli uomini che non vantavano il piè veloce di Achille, o andavano soggetti a flussioni dentali periodiche, erano anzi di questo parere. In ogni modo, essendoci il sereno e l'almo sole, e soffiando i tepidi favonj, gli avventori della bottiglieria Cambiasi, che era celebre di quel tempo per i suoi rosolj, segnatamente per il latte di vecchia e il perfetto amore, stavano fuori della bottega divisi in gruppi, parlando precisamente del ballo andato in iscena il dì prima. Il che medesimamente succedeva innanzi al vecchio caffè così detto dei Virtuosi. La Cecchina non era ancor nata, e forse nemmeno sua madre, a proporre una variante di quell'appellazione. Ora le insubre puledre calpestano l'area dove sorgevano quegli incliti ritrovi. Davvero che pensiamo a ciò con crepacuore, quantunque la colpa sia tutta nostra. La descrizione di Persepoli riesce più difficile al poeta senza le venticinque superstiti colonne; ma giacchè il progetto di demolizione è venuto da noi, tal sia di noi dunque, e andiamo avanti.

I vecchioni, ancora tenaci del cappello a tre punte, e del topè ad ala di piccione, e della faccia sgombra, e del mento raso, passando per di là rimanevano scandolezzati a vedere le nuove e strane foggie de' giovanotti. I cappelli espansi a caldaia, alti e larghi con nastroni di velluto, fuor de' quali faceva capolino il coccardone repubblicano, celavano fino all'occhio quelle faccie atteggiate ad un cipiglio di convenzione; fedine larghe e folte coprivan le guancie, rendendo la figura di due pere crinite che, scendendo dal cappello, andassero a nascondersi in un enorme cravattone bianco, entro il quale stavano fasciati e collo e mento, fino ad invadere i diritti del lobo auricolare. Gli occhi soltanto e il naso erano lasciati in libertà; ma di sotto all'ombra fitta del cappello, che radeva il sopraciglio, avevano un'apparenza truce e sospetta.

I rivenduglioli di carte e stampe e bullettini gridavano intanto sulla piazza: "Signori! Il credo del Papa per due soldi; Il discorso dell'Ussaro, signori! Il sogno dell'arciduca Ferdinando. La bolla di Pio VI. Avanti, signori, chi compera, signori?" Poi tutt'a un tratto, tra le diverse voci di quei pubblici schiamazzatori se ne sentì una più forte e più invadente di tutte, e veniva da un nano tutto coperto, dalle spalle alle piante, per nascondere il perfido sistema delle sue gambe, di un soprabito rosso color fuoco, sormontato al petto da un gran medaglione inargentato, avente nel mezzo un occhio del Padre Eterno: A S. Lorenzo, signori! gridava quel nano: Il cittadino arciprete farà a momenti la predica del papa. A S. Lorenzo, a S. Lorenzo!

Il signor Giocondo Bruni, quel nostro vecchio amico, che non avrebbe mai dovuto morire; quella storia animata ed ambulante che il lettore ben conosce, e che ci raccontò tante e tante cose che non stanno nei libri, perchè i libri troppo spesso sdegnano di raccogliere gli sparsi minuzzoli del vero, senza dei quali il vero non è però mai completo: il nostro signor Giocondo, dunque, si trovava anch'esso quella mattina, insieme cogli altri, sulla piazza della Scala, anch'esso, già si sa, col suo cappellone e il suo coccardone e il suo cravattone e anch'esso atteggiato al burbero, perchè un legittimo repubblicano non poteva aver sorrisi e grazie senza correr pericolo di parer un tepido, e, quando l'altrui malumore l'avesse voluto, anche un pericoloso cittadino. Egli ci raccontò che si sapeva fin dalla sera prima, che l'arciprete di San Lorenzo aveva promesso di fare al pubblico una predica relativa al papa e alla sua temporalità e alla sua infallibilità, per animare i cittadini timidi, scrupolosi e bigotti, a recarsi a vedere il nuovo gran ballo della Scala, e che però, quando il nano della bussola di San Lorenzo comparve a gridare in piazza, la piazza rimase subito vuota, e tutti, compresi gli avventori del caffè dei Virtuosi, tra i quali trovavasi anche il cittadino Lefèvre, il coreografo, che faceva la parte di Pio VI, e il signor Raimondo Fidanza, che rappresentava il personaggio del general Colli, si avviarono a San Lorenzo tra gran folla di persone che, strada facendo, si faceva sempre più stipata; tanto che ci volle gran fatica e ajuto di gomiti e d'urtoni a farsi largo tra le colonne di San Lorenzo; e fu un'impresa veramente erculea il tentar di penetrare sotto gli archi della rotonda, nella quale echeggiava già sonora e concitata la voce dell'arciprete Besozzo, caro ai professori di rettorica per la sua eloquenza, rispettato anche dai bigotti per la sua dottrina in divinità e la profondità in patrologia; temuto dagli aristocratici, esaltato dai patrioti.




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