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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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II Quando il Bruni si trovò, dopo lungi stenti, sotto ad uno degli archi della rotonda, fu adocchiato alla lunga da suo padre; sì, signori, da suo padre ancora vivo, ossia dal signor Lorenzo, il decrepito marito della ballerina Gaudenzi; colui che, se il lettore se ne ricorda, era un giacobino nato fatto, prima che dei giacobini nessuno sospettasse per ombra nè l'esistenza nè l'appellazione; il signor Lorenzo Bruni, che contava i suoi ottantadue anni come se fossero ottantadue zecchini l'uno sopra l'altro, e che, avendo visto di presenza a nascere la rivoluzione in Francia, s'era consolato nel vedere l'attuazione di quelle cose ch'egli in confuso aveva pensato e desiderato quarant'anni prima. Vicino a lui era il prevosto Lattuada di Varese, prete fenomeno, e che poteva parere esaltato tra gli esaltati. V'era il frate somasco Carrera, che, educato ai rigori della vita claustrale, di tanto lasciò prorompere alla libertà la sua indole, di quanto era stata violentemente compressa. Adocchiato dunque dal padre e dagli amici, il nostro Giocondo, che sta fra noi non vecchi e i nostri vecchissimi avi, come Enoc stette fra Adamo e Noè, venne invitato e fu soccorso anche da un sagrestano a trascinarsi fino a quella cappella privilegiata, collocata nei rapporti col pulpito in modo, che della voce del predicatore non si perdesse alcun suono. Ma il predicatore continuava la sua predica da qualche tempo, onde i nostri ascoltanti lo seguirono coll'attenzione, appena seppero togliere il bandolo del discorso: "Reca dolore, così parlava il famoso arciprete di San Lorenzo, reca dolore il mettere in vista cose di sì poca edificazione, e temo che chi mi ascolta, più fornito di pietà che di lumi, prenda occasione di scandalo, e pensi che convenisse dissimularle; ma chi parla al popolo credente deve dire la verità tutt'intera. Un tale esempio ce lo danno gli storici sacri. Mosè non dissimula i delitti del popolo, nè le proprie sue colpe; Davide volle che il suo peccato fosse reso palese; gli evangelisti, nel Nuovo Testamento, rappresentarono concordi l'infedele caduta di San Pietro. "Io so che alcuni uomini ammalati di pregiudizj e d'ignoranza incurabile, perchè non amo credere ad altre cagioni meno oneste, andarono insinuando, e dal pulpito quando avevano coraggio, e dal confessionale quando avevano paura, che non bisognava dare ascolto alle mie parole, che io non possiedo nè sapienza nè dottrina, che abuso di quella autorità di che sono stato rivestito. Ebbene, io voglio dar ragione anche a costoro; io voglio che non crediate alle mie parole; io stesso, dirò di più, non mi attento di star sicuro della mia sola opinione: ma che direte quando i più grandi luminari della storia ecclesiastica mi daranno ragione? che direte quando parleranno gli evangelisti, dai quali io non ho fatto che attingere quello che già vi ho detto? che direte quando verranno gli stessi santi padri ad accusare la condotta della curia pontificia? che direte quando gli stessi pontefici confesseranno il vero in danno proprio, e non avranno paura di annunciarlo? "Perchè chi vi ha detto che il papa sia infallibile, ha detto menzogna. L'infallibilità da G. C. non fu data che alla Chiesa. Quotiescumque congregati eritis in nomine meo, in medium vestrum ero. "I santi Padri hanno osservato un profondo silenzio sulla pretesa infallibilità del papa. "S. Basileo accusò vivamente Damaso papa, perchè andava in collera contro chi diceva la verità. Se San Basileo avesse creduto il papa infallibile, avrebbe egli accusato il pontefice Damaso? "Rustico e Sebastiano sostennero che il papa Virgilio aveva combattuta la definizione del concilio di Calcedonia, cosa che fece dire ad Eumaro arcivescovo, che questo papa era veramente eretico. "Io sono sommamente scandalezzato da voi, scrisse San Colombano a Bonifacio IV, imperciocchè la vostra condotta è grandemente sospetta d'eresia. Se volete essere giudicato successore di Pietro, dovete essere custode della di lui fede: Doleo de infamia cathedræ Petri: ut ergo honore apostolico non careas, conserva fidem apostolicam. "Può esservi espressione che più radicalmente distrugga l'infallibilità pontificia? "Agostino Trionfa, tuttochè gran partigiano del papa, nella sua opera Clavis Scientiæ, ha detto chiarissimamente, che il papa è fallibile: Papa potest errare. "Lo stesso Innocenzo III ha affermato che il papa può errare come qualunque altro: facile crediderim, ut Deus permitteret, romanum pontificem contra fidem posse errare. "Ma tant'è vero che i papi sono fallibili, che la storia registra i loro errori e i loro disordini. E anche intorno a ciò, se non volete credere a me, se avete in sospetto i libri profani, se credete ch'io parli per bocca dei nemici della chiesa, udite i suoi adoratori. "Alcuino, scrivendo a Carlo Magno sulla corruzione della corte di Roma, gli fa intendere, che in essa non vi regna nè pietà, nè giustizia, nè carità; che egli non ha altro rifugio che ricorrere alla di lui saviezza, e pregarlo, giacchè Roma non vuole porre argine a siffatti disordini, di trovar mezzo con cui rimediarvi. - Ecce in te solo tota salus ecclesiarum Christi inclinata recumbit. "Chi non sa quel che scrisse S. Bernardo a Innocenzo III? Fideliter loquor quia fideliter amo. "Parlava sincero perchè amava sincero, e diceva che la cagione del decadimento della Chiesa universale doveva trovarsi nella corruzione della curia romana: In vos, pontifices, curiamque romanam. E nella lettera ad Eugenio IV egli dice ancora di più. "Nel consilio Remense, convocato nell'anno 992, è detto con tutta quanta la libertà, che Roma era divenuta venale e che tutto dicevasi e facevasi colà secondo la quantità dell'oro e dell'argento: Roma venalis exposita; ad nummorum quantitatem judicia trutinat. "Adriano IV ha detto che la corte di Roma era macchiata di morali disordini: Scimus in hac sancta sede, aliquot jam annis multa abominanda fuisse, et omnia in perversum mutata. "Non sono io dunque che parlo; non è a me che voi avete obbligo di prestar fede. Ma se venerate San Bernardo, se avete fede nei papi Innocenzo e Adriano, se avete rispetto alla parola inappellabile dei concilj, dovete dire che io non ho fatto che ripetere contro la curia romana e il potere pontificale quelle accuse che furono già scagliate da quei grandi e santi uomini. Ascoltate dunque coloro, se non volete ascoltar me. "La veneranda Chiesa cattolica, egli è G. C. che la istituì; le diede precetti fondamentali di umiltà, di giustizia, di carità; la premunì pien d'amore per essa, di tantissimi sacramenti; la fecondò coi suoi divini esempj, colla predicazione, cogli stenti, colle fatiche; la consolidò col sangue e colla morte. Ma guardatevi, disse a' suoi discepoli, che tra voi non escan fuori uomini scellerati e perversi; tenteranno costoro di perturbarla, di disordinarla, di distruggerla: Nascentur ex vobis viri peversi ut abducant post te discipulos suos. Il testo è di S. Paolo. "Ma che cosa dunque si deve fare per ovviare a tanti disordini? Richiamare il pontificato alla santa semplicità delle sue origini;. fargli restituite i doni funesti che ebbe dai re della terra. Costringerlo, per dir così, ad esser santo, obbligandolo alla sola giurisdizione spirituale. Uomini e sacerdoti ignoranti e pregiudicati vi hanno detto che, tentar di smuovere la temporalità del potere papale, è atto sacrilego, e tale da meritarsi la pronta punizione di Dio. Ma costoro come faranno a chiamar sacrilego G. C.? come faranno a invocar su lui l'ira divina? Dabo tibi claves regni cœlorum, ha detto G. C. a S. Pietro; e quando il popolo, stupito de' tanti miracoli che operava, voleva farlo re, che cosa fece G. C.? Fugit ne eum facerent regem; e che disse quando fra' suoi discepoli si agitò quistione di maggioranza? Qui major est inter vos, fiat sicut minor; e di che parole fece uso quando parlò dei re della terra? Reges gentium dominantur eorum, vos autem non sic. Com'è dunque che, se i comandi e gli esempj dati personalmente dal Redentore sono precisi, comandi ed esempj da doversi fedelmente seguire, com'è che, mentre e G. C. e San Pietro hanno avuto in orrore ogni sorta di dominio sopra gli altri, il papa potrà pretendere monarchia terrena? "Alla podestà temporale si oppone dunque il carattere dell'ecclesiastica società, la dottrina e l'esempio di G. C., gl'insegnamenti degli scrittori e dei Padri, la pratica fedelmente seguita nei primi secoli della Chiesa. "La società ecclesiastica non si propone altra cosa, che disporre il cuore de' popoli a vivere secondo le massime del Vangelo, e condurli alla vita eterna. "Gesù Cristo non dà a' suoi discepoli altra autorità che d'istruire, predicare e battezzar le nazioni: docete omnes gentes, baptizate eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. "Gesù Cristo non concede a' suoi discepoli altra podestà che di legare e sciogliere dai peccati gli uomini: Amen dico vobis, quæcumque ligaveritis super terram, erunt ligata; et quæcumque solveritis, erunt soluta. Dal che ognuno ben vede che una simile podestà riguarda unicamente la salvezza eterna degli uomini, ed ha soltanto di mira il dominio spirituale. "Quando gli apostoli dissero a Gesù Cristo, allorchè i Samaritani non l'hanno voluto ricevere: Fate scendere il fuoco dal cielo e inceneriteli, "Che dite mai, rispose loro G. C., e di che spirito siete? il figliuol dell'uomo non è già venuto a perdere uomini, ma a salvarli, filius hominis non venit animas perdere, sed salvare". E quando Pietro troncò l'orecchio a Malco, che gli disse il Cristo? Mitte gladium tuum in vagina, omnes enim qui acceperint gladium, gladio peribunt. "E i santi Padri? Udite i santi Padri; ascoltate Sant'Ambrogio: Tutte le ricchezze della santa Sede non consistono in altro se non nella fede. Ecclesia nihil sibi, nisi fidem possidet. "E S. Fulgenzio che cosa dice? Udite S. Fulgenzio: Tutta quanta l'autorità del pontefice riguarda lo spirituale e nulla più. In sæculo nemo rege celsior" E Innocenzo III dice che l'autorità temporale compete al solo re: Rex in temporalibus neminem superiorem habet.
"E dopo tutto ciò, sino a quando si vorrà far servire il supremo sacerdozio all'errore, alla passione, ai disordini? Sino a quando chi è supremo pastore delle anime, si avrà a vederlo disposto a servirsi della religione come d'appoggio per estendere i suoi temporali interessi a taccia propria, a scandalo universale, a distruzione della cattolica Chiesa? "Ma sinora abbiamo udito Gesù Cristo, i santi Padri, i pontefici più sapienti, gli apostoli, i concilj. Udiamo adesso coloro che pretendono di saperne più di loro. "Se si tolgano al papa, dicono essi, le ricchezze e il temporale dominio, Roma, il papa, la Chiesa cadranno in disprezzo, quando invece conviene che sian sempre presso i popoli cristiani in somma venerazione." Ma non sentite voi tutti come sia questa una manifesta follia? la disistima e il disprezzo non dipende tanto dall'influenza delle umane ricchezze, quanto dalla mancanza delle evangeliche virtù; la stima e la venerazione che si porta a chi abbonda di ricchezze, è una venerazione e una stima apparente, effimera e falsa; quando, all'opposto, quella che procede da una vita ricolma di virtù, è reale, è sincera, è soda; questa riflessione ci somministra una pratica verità, la quale, senza che l'accenniamo, ognuno può facilmente congetturarla. "Tolgansi pertanto da Roma codeste terrene ricchezze, tolgasi al papa l'affluenza dei beni che gode, ed ecco rinascere ne' sommi pontefici il primitivo amore, ed eccolo riacceso anche nel cuor dei fedeli. "Ma per conchiudere su questo punto delle ricchezze e del temporale dominio del papa, voglio che sentiate quello che, al suo segretario Eginardo, ha detto in punto di morte Carlo Magno, colui che esercitò la sua liberalità facendo grandi donazioni al papa: Rispetto alle mie militari imprese ed alle imprese politiche ripeto le precise sue parole, niuna cosa è per cui tanto tema di avermi tirato l'ira di Dio, quanto le cose che ho fatto in Italia. In quella occasione la mia ambizione mi precipitò in mille iniquità. Ho ajutato i papi; ho rotto, a persuasione di essi, il matrimonio colla figlia di Desiderio; l'ho rimandata disonorata al padre. Per colmar lo stajo delle mie reità, mi sono lasciato indurre a far signori i pontefici romani di una gran contrada d'Italia, con che veggo d'aver gettato i fondamenti della di lei totale rovina. Per la qual cagione mi debbo aspettar da Dio un castigo severissimo, e la memoria mia sarà avuta in abbominazione dalla italiana posterità. Il dominio di tante città e provincie, in mano di un ecclesiastico, non può produrre che mali gravissimi. Come mi giustificherò io dunque, o Dio, di tanti guai, delle tante guerre, e delle tante calamità, che, per la donazione che feci alla Chiesa di S. Pietro, sovrastano all'Italia? "Queste parole di Carlo Magno sul letto di morte fanno piangere a ripensarle oggi. Però non è fanatismo nè errore il dire, che la soppressione del dominio temporale, ossia la distruzione di tutto ciò che portò seco la fatale donazione di Carlo Magno, è l'unico rimedio per far cessare gli orrendi abusi della corte di Roma e per salvare l'Italia. "Sono secoli e secoli che la Chiesa mortalmente geme sotto i disordini della corte di Roma, prodotti dal temporale dominio del papa; tempo è dunque oramai che si dia contro di essi un colpo vigoroso, risoluto e decisivo. I disordini allora cesseranno; la Chiesa, depurata da' pregiudizj, trionferà; gli Stati saranno tranquilli; la pace sarà nel mondo; l'umanità potrà finalmente provare tutti i beni dell'esistenza, e Dio sarà glorificato." A questo punto l'arciprete predicatore, il quale, esaltato dal suo tema, aveva percorso tutto il diapason della sua voce sonora, cangiò tono e modi a un tratto, come se l'oratore ecclesiastico cessasse dalle sue funzioni e sottentrasse il cittadino consigliere ed amico del popolo; cangiò tono e modi, e così prese a dire: "A coloro i quali, siccome ho già fatto osservare, hanno più pietà che lumi e buon senno, farà meraviglia che io vi abbia chiamati qui per invitarvi ad assistere ad una rappresentazione in teatro, dove il pontefice è messo in scena. Ma siccome è corsa voce, che alla persona del pontefice fosse fatta ingiuria, e che una satira indecente lo esponesse al dileggio del popolo, così vi esorto a credere, che questa non è che una menzogna dei religiosi fanatici, e una vana paura degli spiriti deboli. Il papa vi è rispettato. Bensì la rappresentazione è condotta in modo che serva di ammaestramento al popolo, e proponga utili consigli a coloro che hanno promesso di voler chiudere finalmente le vecchie piaghe d'Italia." E il predicatore, dopo queste parole, scomparve dalla vista dell'uditorio affollato, il quale cangiò l'attenzione silenziosa in un bisbiglio, che man mano si fece sempre più rumoroso; chè le varie opinioni vennero manifestandosi in tali discussioni, da far credere che la rotonda di San Lorenzo fosse piuttosto un'aula parlamentaria che una chiesa. Questa nullameno si andò vuotando a poco a poco, senza disordine di sorta. Bensì avvennero disordini gravi sulla piazza della Scala e nelle contrade laterali al teatro, per la gran folla che vi si accalcò verso le ore tre dopo mezzodì. Lo spettacolo davasi gratis e a porte aperte, e tutti volevano giungere in tempo per trovar posto. Vi furono risse e percosse. La guardia nazionale accorsa vi lasciò qualche fucile e qualche lume e qualche falda del marsinone bianco-verde. Molti veli e drappi e sottane furono messe a lembi; molte donne furono portate semivive fuori della folla. I fortunati siamo noi soli, che, senza fare anticamera, potremo recarci in teatro un momento prima che si alzerà il sipario; e probabilmente avremo l'accesso a qualche palchetto, o troveremo un posto in orchestra, o sul palcoscenico addirittura. Da questi punti, oltre lo spettacolo teatrale, godremo lo spettacolo del pubblico, e percorrendo col cannocchiale le cinque file dei palchi, faremo di riconoscere i vecchi amici dai loro discendenti, e qualche cara beltà; e spingendo l'occhio indagatore nell'indistinto brulicame della platea, vi scorgeremo qualche elmo a criniera, che coprirà la testa giovanile di chi, sebbene uscito di plebe, Forse è chiamato a non oscuro imene.
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