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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMO
    • IV
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IV

Intanto che quell'occhio beffardo scintillava, il primo violino, signor Peruccone, fatto d'occhio al buttafuori, mise lo strumento alla ganascia, e accennò che si desse principio al preludio del nuovo ballo, la musica del quale era stata scritta dal signor Pontelibero Ferdinando.

La Cerrito e la Taglioni crediamo sieno giunte in tempo per essere accompagnate dal suo violino; chè egli fu il successore appunto del professore Peruccone. Lo spirito repubblicano e le idee democratiche che fin dal 1750 bollivano, non si sa come e per un arcano presagio de' tempi nuovi, nel signor Lorenzo Bruni, passarono, comunicate forse allo sgabello teatrale, fino al signor Pontelibero, che, leggendo Rousseau al pari del signor Lorenzo, fu de' primi a tendere l'orecchio avido alle cose di Francia; de' primi a desiderare che l'ondata rivoluzionaria venisse a gettarsi con impeto sulle coste d'Italia; de' primi a far festa all'ingresso delle truppe francesi, e a portarsi fin sotto allo scalpito del cavallo bianco di Bonaparte, per vedere dappresso il giovane imberbe che, colla severa maestà del sopraciglio e colla preponderanza, quasi parea, di un Dio, teneva in timorosa obbedienza i più anziani eroi sanculotti, irti di chiome e di basette.

Del rimanente, se mai il lettore ci domandasse, per qual ragione spendiamo tante parole pel signor Pontelibero; diremo che, trattandosi dell'autore della musica coreografica, che fu certo un avvenimento di quel periodo di storia italiana, bisognava bene che si sapesse con che idee, con che convinzioni il suo autore abbia infiammata la propria inspirazione nello scriverla. Così potessimo dire altrettanto del signor Lefèvre; ma se molti lo hanno conosciuto, nessuno trovò una variante alla notizia nuda e cruda, ch'esso era un galantuomo, convertito, di semplice mimo che era stato, in coreografo, quando s'accorse che per vivere ci voleva il concorso di due mestieri. Il pensiero del Ballo del Papa, e quello di portare sulla scena, concentrata in dramma visibile, una delle questioni più gravi suscitate dagli avvenimenti d'allora, era venuta dal cittadino Salfi, che aveva steso e sceneggiato il programma; e questo, per un'idea balenata nella testa fervida del prevosto Lattuada di Varese, la quale idea, chi sa, era forse stata suggerita dalla perfetta somiglianza che la figura del ballerino Lefèvre aveva con quella del Pontefice Pio VI.

Ma, a proposito del libretto del ballo, immaginato e scritto dal cittadino Salfi dietro suggerimento del prevosto Lattuada: come avvenne che di seimila e più copie che ne furono stampate allora, tutte siano scomparse oggi? nelle numerose collezioni de' magazzini librarj e delle case private che noi abbiamo esplorate, in quelle, vogliamo dire, dove era presumibile la possibilità di rinvenire un tal documento curioso; nelle stesse collezioni delle pubbliche biblioteche, abbiamo trovato un salto e una lacuna precisamente alla sede del famoso libretto.

Se fosse stato ritirato o fatto abbruciare in piazza per comando della pubblica autorità, la cosa sarebbe ben chiara; ma non avvenne mai nulla di simile: che cosa adunque è a conchiudere da un tal fatto? che le coscienze, appresso, devono aver subìta la legge della paura; che i proprietarj de' libretti devono aver fatto in segreto il loro auto-da-fè, per timore che il papa, il quale aveva, come per tanti anni pretese il pubblico pregiudizio, mandate a male le sorti del primo Napoleone, compromettesse, per vendicarsi di quel libretto conservato, anche i loro affari privati. Così i libretti sparirono tutti, e se noi ne abbiamo trovato uno, è perchè il libraio Silvestri gli risparmiò il rogo, e gentilmente ce ne fece tener la copia.

Ma or tornando in teatro, le cadenze del preludio finirono tra gli applausi del pubblico; e il sipario si alzò.

Comparve la sala del concistoro in Vaticano; il papa era assiso sul trono; i cardinali, i vescovi, i prelati, i teologi, secondo l'ordine loro, gli sedevano intorno; il nipote del papa e il principe romano stavano ai due lati del trono.

La platea applaudì alla stupenda scena, imaginata e dipinta dal fantasioso Landriani; ma di mezzo agli applausi si fè sentire la nota tenuta di un fischio acuto, la quale andò smorendo a poco a poco nel vasto recinto. Nè quel fischio era uscito per far opposizione al pubblico. Chi lo aveva emesso non s'intendeva gran fatto di scenografia, e non era nemico del Landriani; ma, veduto il pontefice, non volle tardare a manifestargli le sue simpatie. Quest'incidente lo sappiamo dalla bocca dell'amico Bruni, che dall'orchestra vide l'uomo che fischiava, ed era il gobbo Rigozzi, noto allora e dopo per la sua procellosa maldicenza, pel suo spirito irrequieto, e per la foga onde s'era dato a diffondere le idee parigine del tempo del terrore, idolatra qual era di Robespierre e di tutti coloro che avevano inteso di disfare a colpi di scure e di rifare il mondo incancrenito.

Ma qui ci conviene seguir passo passo il programma, perchè il lettore d'oggi veda se meritava poi che ne fossero distrutte le sei mila copie.

L'azione adunque s'apriva nel momento in cui il papa stava consultando una congregazione straordinaria di cardinali, prelati e teologi, sugli articoli della pace, proposti dalla repubblica francese. Questi articoli si leggevano e si rigettavano con indignazione generale come contrarj all'autorità della corte pontificia. Ma in questo mezzo un frate domenicano, generale dell'ordine, acceso di zelo, si gettava a' piedi del papa per dimostrargli che in quella decisione c'era più il voto degl'Inglesi e degli Austriaci che degli Apostoli e dei Cristiani; onde il papa, maravigliato di trovare ne' suoi teologhi lo zelo di S. Paolo, domandava ancora il voto degli altri, che di bel nuovo proclamavano la guerra. E tosto il cardinale segretario Busca stendeva il decreto della S. Congregazione dopo di che il papa brandiva la spada fra gli applausi dei cardinali.

A questo punto, per produrre l'effetto voluto, e per mettere nel pubblico la massima esaltazione ed esacerbazione, il coreografo, a ciò sollecitato dal prete Lattuada, aveva raccomandato alle comparse, incaricate di far le parti di cardinali, di applaudire con impeto e con insistenza, per rendere il vero con quell'interezza da trarre in illusione la platea; ma tra la platea e tra il palco scenico s'impegnò, pur troppo, una lotta di fischi e d'applausi tali, da minacciare di uscire dalla sfera coreografica, perchè il pubblico pretendeva che i cardinali cessassero di applaudire mentre questi non se ne davano per intesi, sapendo di fare il loro dovere; e la cosa andò tant'oltre, che le più basse ingiurie, accompagnate, per parte del loggione, da alquanti pezzi di munizione di bocca convertiti in proiettili, furono scagliate contro quella trentina di poveri diavoli, obbligati per trenta soldi a far il cardinale e il teologo, e a farsi odiare senza colpa e maltrattare dal pubblico. Gli uomini sensati però s'intromisero a gettar acqua sul fuoco; e, per quella legge inversa onde talvolta i meno tirano i più, riuscirono a ricondurre la tranquillità e a far proseguire il ballo.

E il ballo, dopo molto tempestare, continuava colla spedizione del messo incaricato di partecipare la mente infallibile del S. Padre agli agenti della repubblica francese. E qui si scioglieva la congregazione; dopo di che si cambiava la scena in un interno della corte pontificia, dove, per far luogo alle inevitabili donne, si rappresentava un intrigo tra la principessa Braschi, nipote del papa, la quale aveva una speciale predilezione per la guerra, e la principessa Santa Croce, la quale invece si dilettava della pace. Se non che il papa, adulato e dall'una e dall'altra, spediva il senator Rezzonico e il brigadiere Gandini per le opportune disposizioni di guerra. Ma, a questo punto, di bel nuovo il generale dei Domenicani, eccitato a parlar chiaro dalla principessa Braschi, prorompeva ad accusare francamente l'inganno e l'impostura dei cortigiani che aggiravano il papa; e coi gesti si affannava di esprimere quello che per fortuna diceva chiarissimamente il libretto: Il ministro di una religione di pace non deve che abjurare ogni pensiero di guerra. Il successore di S. Pietro deve maneggiare le chiavi e non la spada. Bisogna seguire le massime degli apostoli, e non quelle dei cardinali. L'eredità del papa è la Chiesa, e non già l'impero temporale altrui usurpato.

Ma, a tutte queste sentenze belle e buone, il papa rispondeva che, avendo parlato, ex-cattedra, la vittoria era assicurata: e così finiva l'atto primo, nel momento che Pio VI partiva da una parte, seguito dalla principessa Santa Croce, e il generale dei Domenicani partiva dall'altra, seguito dalla principessa Braschi.

Fin qui può dunque vedere il lettore, che l'azione coreografica, più che le intenzioni di una satira scandalosa, racchiudeva quella di una ragionevole dimostrazione del vero e del giusto.

E cominciò anche il secondo atto, il quale, se si conservò fedele alle buone intenzioni, si ribellò al buon senso drammatico; e, tanto per tirare innanzi fino all'inevitabile quinto atto, presentava un miscuglio triviale di qui pro quo, facendo che la principessa Braschi ad arte svenisse nelle braccia del generale dei Domenicani, onde determinare il convenzionale colpo di scena, per mezzo del cardinal segretario che, furtivamente sorprendendo e principessa e frate, andava ad avvisarne il papa, il quale compariva in iscena a risolvere la situazione, e a minacciare il generale dei Domenicani di punirlo colla soppressione dell'ordine; e qui, dopo un altro parapiglia indispensabile per mettere insieme un be1 gruppo, e che non merita la pena di riferire, si sentiva in lontananza una cornetta da postiglione e, pochi istanti dopo, entrava in iscena il brigadiere Gandini, ad annunciare l'arrivo del general Colli, mandato dall'Austria per essere il campione del papa. A questo punto cadeva il sipario, per dar tempo di preparare il grandioso atto terzo.

 




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