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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMO
    • V
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V

Nell'intermezzo furono fatti circolare nei palchetti e nella platea molti foglietti stampati, i quali contenevano il famoso proclama del cardinal Busca, segretario di Pio VI, che, nel febbraio, prima della battaglia del Sevio, era stato affisso su tutti gli angoli della città di Roma. Ci fu un momento di silenzio, in cui non s'udì che il fruscio de' foglietti, che passavano di mano in mano; poi seguì il mormorio di tanto pubblico leggente; poi parole alte, e commenti e risate sonore.

E in un lato della platea, a un tratto si sentì a declamare ad alta voce alcuni brani di quel proclama; onde tutti volsero le teste a quel punto, e si misero in ascolto:

"L'Europa, da un estremo all'altro, tien fisso in voi lo sguardo (nei soldati del papa); non dubita del vostro coraggio e d'un esito felice che gli corrisponda.

"L'ottimo imperatore d'Austria", e qui ci fu una salva di fischiate.... "L'ottimo imperatore d'Austria Francesco II, il difensore magnanimo, l'avvocato della Chiesa romana, nel tempo stesso che manda in nostro aiuto gl'intrepidi volonterosi ungari, transilvani, croati e alemanni, vi ha spedito, alla prima richiesta del santissimo nostro affettuoso padre Pio VI, uno de' migliori, più pregiati, più sperimentati di lui generali... (e qui un uh!... sonoro e prolungato di quanti ascoltavano), che solo vi mancava, che bramavate. Ei venne sollecito; è fra voi. Il nome solo di Colli non vi commove, non v'infonde spirito, non ravviva gli animi di tutti i popoli?... (A queste parole s'innalzarono da varj punti delle risate sonore).

"L'onor comune vuole da voi che lo stimiate un nuovo Cesare, onde per mezzo vostro venga, veda, vinca. Fortunati voi che potete sperarlo con tanto fondamento..."

E le risate continuarono, e intercalate ad esse de' sibili e dei basta!!! I quali basta cominciarono a prendere il sopravvento.

Pur la voce continuava: "Voi, sotto l'immagine di quella Vergine medesima, che vi ha eccitati a questa impresa, potrete dubitare dell'amoroso efficace di lei patrocinio? Voi, generosi cavalieri, che nelle vostre insegne portate lo sfolgorante segno della croce, non vorrete augurarvi a credere fermato ne' divini decreti che, siccome Costantino il Grande vinse il tiranno Massenzio in virtù di quel segno comparsogli al ponte Milvio, e per tal vittoria egli stabilì nella capitale del mondo..."

A queste parole il declamatore fu interrotto da un nocciolo che, scagliato da uno di coloro che stavano in piedi nella destra corsia della platea, venne a colpirlo netto secco nella fronte, contemporaneamente al grido: Abbasso Costantino!

Il declamatore naturalmente s'interruppe; nella corsia, vicino e intorno a colui che avea lanciato il projetto, nacque un alterco e un parapiglia terribile; ai basta di prima successe un'esplosione di avanti, avanti, avanti!

"E voi del pari (continuò dopo alcuni istanti il declamatore imperterrito, ad onta della sorba che si andava sviluppando sulla fronte), voi del pari, da questo segno salutare protetti, trionferete di più empj e brutali nemici..."

Ma, a queste parole, di nuovo tornò a dominare il campo una esplosione simultanea di basta, silenzio, zitto; e la voce del declamatore ne fu soffocata, in quel momento stesso che il buttafuori fece capolino dal proscenio, e diede, battendo le mani, il solito segnale al primo violino, il quale percosse con forza la latta del lettorino.

Allora dal loggione, quella medesima voce taurina che già aveva gridato viva la Dionisa, gridò silenzio! squarciando l'aria teatrale con tale risolutezza, da non ammettere la possibilità che si potesse disobbedire; e silenzio fu fatto; e si udì netto il fischio che annunziava l'alzata del sipario, il quale si alzò infatti, e comparve la piazza di S. Pietro in Roma. Il pubblico mandò quella concorde esclamazione di maraviglia onde anche oggi suol salutare la discesa della lumiera; esclamazione che fu susseguita da applausi prolungati al bravo Landriani, il quale stupendamente aveva dipinta quella scena; e il Landriani dovette mostrarsi a ringraziare il pubblico.

La piazza di S. Pietro era ingombrata da immenso popolo, impaziente, come diceva il libretto, di godere del general Colli. Dopo alcuni momenti d'aspettazione, conceduti al pubblico appunto per ammirare la grandiosa prospettiva della città eterna, comparve il papa sulla sedia gestatoria, e venne portato nel mezzo della piazza: la sua corte, in tutto lo sfoggio delle vesti ecclesiastiche, lo circondava; le guardie d'onore e le guardie svizzere, sfolgoranti d'oro ed argento con esagerazione, introdotti a beneplacito del vestiarista, che volle farsi merito e contendere la palma al pittor scenico, gli sfilarono ai lati in duplice ala. Tutte le altre truppe in armi si schierarono sul fondo del palco. Anche qui, per conceder tempo al pubblico di ammirare ed applaudire, furono lasciati trascorrere alcuni minuti; e il pubblico ammirò infatti ed applaudì vivamente; e il pontefice Pio VI, ossia monsieur Lefèvre, il quale si dimenticò del suo carattere, si alzò dalla sedia gestatoria e fece tre riverenze alla platea, che lo avea preso a ben volere; ma la platea tacque di tratto, perchè non desiderava che s'imbrogliassero le idee. Monsieur Lefèvre ne fu alquanto mortificato; ma di chi era la colpa?...

In quel punto, al suono di una marcia militare, spuntò dall'ultima delle quinte a destra la testa piumata di un cavallo bianco; ed era il cavallo del general Colli, il quale finalmente si mostrò fra due soldati che gli tenevano le staffe, coll'incarico di regolare il passo della bestia, in modo da non compromettere i vetri della ribalta. Alla sinistra del general Colli, ossia del signor Raimondo Fidanza, procedeva, pure a cavallo, il senator Rezzonico, comandante delle truppe pontificie, ossia il signor Luigi Corticelli.

E il general Colli discendeva da cavallo, e con incesso il più convenzionalmente teatrale, si portò innanzi alla sedia gestatoria del pontefice, e, piegossi a baciargli la santissima pantofola. Il pubblico non applaudì, non fischiò, e si contenne in un silenzio dignitoso, intanto che il pontefice presentava ai cortigiani il general Colli, siccome la speranza del Vaticano. Il pubblico, che s'era già sfogato contro l'arringa famosa del cardinal Busca, dalla quale appariva come lo spirito profetico non fosse più il lato forte dell'ordine jeratico, assistette a questa scena con indifferenza, non sapendo determinarsi con risolutezza piuttosto a ridere che ad andare in collera. Ma forse l'allegria e la collera si sarebbero confederate a provocare una procella popolare, se non ci fosse stata la valvola di sicurezza degli indispensabili amori della prima mima col primo mimo, ossia della signora principessa Braschi col general Colli; ai quali bastò lo scambio fuggitivo di un'occhiata per intendersela tosto. Ben è vero che la principessa lavorava per progetto, perchè le premeva di ammaliare il cuore del novello campione e volea prevenire la Santa Croce, sempre disposta a tagliarle la strada sul campo sdrucciolevole dell'amore e della politica; e per assicurare il buon esito di quella guerra, dalla quale sperava tanto. Stando dunque così le cose, la sedia gestatoria del papa veniva alzata da robuste braccia; e però accennando il sovrano di partire, i cortigiani e i sudditi e i militi non poterono star fermi, e lo seguirono, e innanzi a tutti il general Colli, servendo la principessa Braschi più da Cupido che da Marte, e provocando un terribile dispetto tanto nel nipote del papa quanto in un certo conte Antonio, i quali non erano indifferenti ai vezzi della bella principessa.

Così amorosamente finito il terz'atto in piazza San Pietro, ragion voleva che la scena posteriore fosse un magnifico interno; e il quart'atto infatti si aprì con una gran sala del Vaticano splendidamente adornata, con una mensa in fondo lautamente imbandita. Intorno a questa si elevava una gradinata, occupata da musici e, siccome garantiva il libretto, da eunuchi. Diversi trionfi di lumi, per usare una frase allora in voga nel linguaggio dei pittori teatrali e degli attrezzisti, rischiaravano a giorno tutta la galleria.

Dopo l'aspettativa di prammatica, entrava in iscena il papa, in compagnia del general Colli, il quale riceveva molti segni di stima e di riconoscenza. Se non che il quart'atto, essendo destinato alle indispensabili danze, e la prammatica dovendo per forza escludere il buon senso e il verosimile; il pontefice si metteva a sedere in trono, circondato da tutta la sua corte; e il corpo di ballo e le bis septem præstanti corpore nymphæ d'allora, e le tre emerite di magazzino, e la coppia danzante di cartello, attesero a far pompa innanzi al papa di tutte le loro grazie palesi ed anche segrete, di tutta la loro abilità, compreso il ballerino, in costume d'eunuco, il quale saltando a furia, accennava di voler appartenere, a dispetto dell'arte sincera, all'atletica confraternita dei grotteschi. Il programma del cittadino Salfi ci assicura, che il papa spiegava in questo mentre tutta la passione che aveva per le gambe più gentili e meglio tornite, applaudendo chi più si distingueva; e non omette di fare una particolare menzione di monsignor Busca, il cardinale segretario, il quale non si risparmiava, nè risparmiava altrui. Ma intanto che ferveva la baraonda ballante, il general Colli, da buon stratego, non perdeva nessun momento che gli offrisse occasione di sacrificare i suoi piani di guerra a quelli d'amore; e ovunque continuava a perseguitare la Braschi, la quale ben volentieri si lasciava perseguitare, alla barba del principe marito e del vicemarito conte Antonio. Se non che la festa e l'amore venivano interrotti da un'altra marcia militare, e a tutti conveniva partire; e primo il generale Colli, colla duplice felicità del dio Marte che, cercando Bellona, volentieri s'intrecciava nelle reti di Vulcano.

E finalmente siam giunti al quint'atto; all'atto risolutivo, alla catastrofe, a quello che deve spiegare tutto il concetto e l'intento della rappresentazione coreografica. Siamo ancora nella gran piazza di S. Pietro, ancor più folta di popolo, ancor più fitta d'armi e d'armati. Il papa, dal general Colli e dal senator Rezzonico, è accompagnato a cavallo sulla sua sedia gestatoria. Colli fa la rivista delle truppe, e ne preconizza le glorie; tutti, inginocchiati, presentano le armi a terra, e il papa dà la benedizione alle bandiere; indi, smontato, fa un dono della sua spada al general Colli, che, in riconoscenza, giura di combattere per la causa del fanatismo della schiavitù. Se non che quando si dà il segnale della marcia, un corriere importunamente reca al santo padre alcuni dispacci, la cui vista produce lo svenimento di lui e la costernazione di tutti gli astanti, chè i dispacci annunziavano la resa di Mantova e le altre vittorie francesi.

Ma in questo frangente torna in iscena il generale dei Domenicani, il quale dal poeta compositore e dal coreografo tiene la duplice missione, e di rappresentare l'alta ragione del dramma, e di produrre a luogo e tempo i colpi di scena invocati dal colto pubblico. Esso dunque, avendo la virtù di sacrificare i sentimenti particolari all'amore del prossimo, e amando sinceramente i veri interessi pontificj, all'improvvisa novella pensa di recarsi anch'esso dal papa. Qui nasce un terribile contrasto d'idee, d'opinioni, di passioni. Il general Colli vorrebbe, dopo il primo colpo della sorpresa, far credere ch'ei solo può bastare a cambiare l'aspetto delle cose; ma il papa, rinvenuto dal suo deliquio, ondeggia fra il timore e la speranza, e mostra in tutti gli atti della sua costernazione ch'egli è soggetto a tutte le passioni di un mortale fallibile. Però, dopo lungo esitare, si abbandona fra le braccia del generale dei Domenicani; il quale lo conforta cristianamente a provvedere una volta, qual degno successore di san Pietro, alla gloria della Chiesa ed alla salvezza del popolo. "Rinunciate, esclama altamente il Domenicano, rinunciate al fasto ed al regno di questo mondo che non è quello del cielo; deponete la tiara, e mettetevi invece il berretto della libertà, ch'era certamente quello degli apostoli pescatori (e qui gli offriva quell'insegna); riconoscete insomma i diritti inalienabili del popolo, che è la vera Chiesa di cui dovete esser padre e non già despota."

A queste parole il general Colli si slanciava contro il berretto della libertà; ma il popolo, compreso della verità più che dell'impostura, rivoltava le armi contro di lui. A questo prodigio il papa riconosceva la libertà, di cui cingevasi il berretto, deponendo il simbolico triregno.

E qui avvenne quello che non avrebbe dovuto avvenire. Al gruppo analogo che tutti i personaggi e le comparse fecero intorno al papa, abbracciato col generale dei Domenicani, e col general Colli, che aveva transatto anch'esso, il pubblico non potè a meno d'applaudire freneticamente; e la frenesia passò il segno. Veramente la mozione venne da un ufficiale francese, che gridò: Vive le pape; vive le général mais nous voulons un périgordin entre le pape et le général. Allons, vite un périgordin. E quella parte di popolo che ama sempre di straripare, si mise ad assecondare la mozione del bizzarro ufficiale; e allons, vite, un périgordin, fu il grido frenetico che invase platea e palcoscenico; grido che, non essendo tosto adempiuto dai signori attori, minacciò di convertirsi in atti violenti. Se il papa fosse stato il papa, certo che avrebbe resistito alla pubblica violenza, e avrebbe piuttosto voluto morir martire; ma monsieur Lefèvre non aveva nè questa smania, nè una eccessiva devozione per la dignità pontificale; così, per stornare i projettili dell'ira pubblica, si mise a danzare col signor Raimondo Fidanza un perigordino che andò alle stelle. La strana danza inaspettata provocò una sconcia ilarità generale, al punto che scoppiavano dalle convulsioni del riso anche quelli che ne avevano dispetto e quasi paura.

Ma a far cessare lo scandalo provvidero i direttori del palco scenico, ordinando che si calasse il sipario. Il pubblico mandò degli urli a quella calata, strepitò per lungo tempo ancora; minacciò e fu in procinto di tradurre le minaccie violenti, se di nuovo i pompieri metafisici, gettando acqua su quel fuoco, non fossero riusciti a spegnerlo del tutto.

Tale, nelle sue generalità, fu l'andamento del così detto Ballo del papa, rappresentato al nostro massimo teatro della Scala, col titolo di General Colli a Roma; ballo più famoso che conosciuto, perchè appena qualche storia stampata ne toccò di volo; e qualche cronaca tuttora manoscritta, e tra le altre quella del canonico Mantovani, ne ha somministrate alcune strane circostanze. Del resto, di questo ballo si parlò a lungo nel mondo, e allora e dopo, come di una enormità inaudita. Ma ciò avvenne per quella indecente applicazione a cui lo trasse violentemente in quella sera una parte di pubblico. Tant'è vero che lo stesso prevosto Lattuada di Varese, e l'arciprete Besozzo e il cittadino Salfi, i quali ebbero tanta opera in quel lavoro, nella persuasione che, parlando visibilmente all'imaginazione popolare, giovasse a raddrizzar le idee in gran parte ancora pregiudicate, instarono con sollecitudine presso l'autorità perchè lo proibisse come in fatti venne proibito. Temettero e il Besozzo e il Lattuada che di quella scandalosa piega che avea preso, loro malgrado, quella rappresentazione coreografica, se ne giovasse pe' suoi obliqui fini una conventicola di aristocratici frementi e di frati aboliti, che si radunava di soppiatto in una casa situata in Santa Maria Fulcorina, della qual conventicola era il raggiratore supremo (chi mai lo avrebbe immaginato nel 1766?) quell'istesso marchese F..., quel sacerdote perduto dietro ai riti paffici, alle cui orgie abbiamo assistito nell'ultimo capo del libro nono; quel marchese che vedemmo a trattener la carrozza in cui si trovava la contessa Clelia V... colla sua figliuola Ada. Per che piano inclinato sdrucciolevole, da quei riti colui sia passato ai tenebrosi misteri dell'aristocrazia clericale, lo vedremo in appresso. Anzi farem di assistere ad una di quelle conventicole, le quali s'eran proposto di mandar a fascio il nuovo ordine di cose. Oggi son passati più di sessant'anni da quell'epoca; ma sembra che in mezzo non sia corsa che una notte affannosa. Anche oggi ci troviamo in cospetto dei medesimi fatti; ci troviamo di contro e di dietro gli stessi nemici; siamo sollecitati dai medesimi problemi.

 

 




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