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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO PRIMO
    • I
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I

Convien risalire a quindici anni addietro, allorquando chi scrive trovavasi in quella età felice, in cui si è amici di tutto il mondo, e il mondo per contraccambio vuota con noi il sacco delle cortesie; età in cui la bile non è ancora uscita dal suo sacchetto a invelenir le vene, e il volto conserva le sue rose, e le influenze atmosferiche non fanno di noi quel che il rame fa delle rane scorticate; età in cui l'umore è sempre uguale e sempre lieto, e l'animo si apre a tutti, spensierato e fidente; età in cui sin la bruttezza ha la sua beltà; tanto che tutti, vecchi e giovani, uomini e donne, matrone e fanciulle si volgono a noi, chi per consigliarci, chi per compatirci amabilmente, chi per accarezzarci senza malizia la barba nascente; età in cui l'uomo è il legittimo re dell'universo, del finito e dell'infinito, perchè se il presente gli sorride da tutte le parti, l'avvenire gli si svolge dinanzi in lungo e in largo, senza confine, tutto pieno di fantasmi dorati. Chi pensa a codesta divina adolescenza della vita, e senza consultare la fede di battesimo, vede nello specchio che ha tanti anni di più, e, guardando il fumo che esce dalla sua pipa, può esclamar col poeta:

Questo di tanta speme oggi mi resta

si fa silenzioso e tetro, e cerca tosto di sommover l'onda delle tristi idee, mescolandovi lo spirito d'assenzio. Allorchè dunque chi scrive aveva quindici anni meno, ebbe a far la conoscenza di un vecchio, il qual vecchio, a quel tempo, dei due milioni e cinquecento mila abitanti che contava la Lombardia, era forse quello che portava più anni sulle spalle, tanto che, se fosse stato povero, avrebbe fatto la prima figura alla lavanda de' piedi. Ma non era povero, quantunque non fosse nemmen ricchissimo. - Fu presso al lago di Pusiano, che vedemmo per la prima volta questo vecchio, e precisamente nell'istante che stavamo leggendo l'iscrizione che addita a' passeggieri la povera casa dove nacque il grande Parini.

Quel vecchio era là seduto, in mezzo ad alcuni contadini che lo guardavano con gran rispetto, e sentendo che noi andavam tempestando di domande i proprietari di quella casa, per aver notizie della famiglia Parini e per sentire se vivesse ancora in quel contado qualche parente del poeta, si alzò e avvicinatosi a noi:

- Della casa Parini, disse, non vive oggi che un prete, il quale sta fuori di questo territorio. Del resto io ho conosciuto il poeta, e ho vissuto con lui in grande dimestichezza e qui e laggiù a Milano, e ho conosciuto la madre dell'abate.

- Sua madre, ha ella conosciuta?

- Sua madre, sì signore. A lei ch'è nato jeri, parrà strano ch'io fossi già sul tramonto di quella che si chiama la virilità, quando Parini venne a morire. Avevo pochi anni, quando col poeta, che di fresco aveva dato fuori l'immortale suo Giorno, fui a visitare la sua madre decrepita. - Io conto oggi i miei ottantott'anni, come se fossero ottantotto zecchini, e sto bene di stomaco, perchè la natura ha messo l'eternità ne' miei denti molari; e sto bene di gambe, perchè non ho mai patito d'indigestione e mi giova tuttora il mio vinetto di collina. - Così dicendo si mosse a discendere, accennando ch'io lo seguissi. - Io me gli accostai per dargli braccio; ma egli, ridendo: - Non s'incomodi. Ella potrà stancarsi, giovinetto com'è, non io così vecchio... - e si discese insieme. Non aprì bocca finchè non si fu al basso, e soltanto quando venimmo all'orlo del lago, dove molti villeggianti lo salutarono riverenti:

- Dunque, ella vuol bene al mio Parini? Io chinai la testa. - Parleremo di lui, soggiunse allora; ed io mi feci ad accompagnare il vecchio venerabile, senza esser punto maravigliato dell'affabile libertà ond'egli mi parlava senza conoscermi. Chi ha vissuto una lunghissima vita, sta nel mondo come nel proprio dominio e tratta gli altri colla cortesia dell'ospite verso i nuovi venuti. - Accompagnatolo ad una sua villetta, stetti con lui per più d'un'ora, e quando presi licenza, gli promisi di ritornar il giorno dopo; tanto m'interessava. Allorchè poi lasciai Pusiano, promisi che in novembre mi sarei recato a visitarlo nella sua casa in Milano. - Ciò che feci religiosamente.

Quel vecchio era un tal Giocondo Bruni, benestante, di sufficiente ma non di eccessivo peculio. - Era piccolo di statura, e magrissimo. La natura, che il volle destinato ad una vita lunga, lo aveva emunto d'ogni umore superfluo, e ridotto come una corda di violino. Poteva spezzarsi, non affloscirsi. - Aveva capelli canuti e tuttora folti che gli coprivan la fronte; occhi neri, piccoli, fondi, tuttora vivissimi, e che attestavano come gli abbondasse ancora il fosforo del cervello. A ottantotto anni aveva la mente lucida, le idee ancora ordinate, la memoria fedelissima. Soltanto lo tormentava, nelle giornate piovose, un sonno ch'egli chiamava morboso, del quale s'inquietava ed affliggeva.

Amava la gioventù con predilezione che pareva originalità di natura; ma soffriva antipatie feroci, tanto che ne' crocchi, dove mi trovai seco qualche volta, investiva con rabbuffi insolenti qualcuno che non gli aveva mai fatto offesa. - Ma i vecchi, come i fanciulli, amano ed odiano per istinto; i fanciulli hanno l'istinto della natura, i vecchi quello dell'esperienza; ed il vecchio Giocondo, in quelle tali faccie profilate, costrutte e tinte in quel tal modo, aveva imparato a leggere quel tal carattere; di qui le sue cortesie e le sue asprezze. Nato di madre ballerina, come aveva percorso tanta parte del tempo, aveva così percorso molti luoghi dello spazio, perchè colla madre sino a dodici anni, in compagnia d'un precettore, s'era trovato in tutte le città d'Italia e d'Europa, dove c'era un teatro, dove c'era opera e ballo. - A Milano, dove nacque, stette per più mesi, sino ad otto volte ne' primi dodici anni; poi vi prese stanza, a compire gli studi, sino ai venti; poi fu a Parigi, a Berlino, a Vienna, con la madre che volgeva al tramonto; poi ritornò in Italia e dimorò a lungo in Venezia sempre colla madre, che là morì, lasciandolo erede di un bell'avere a ventitrè anni. Di questa età mi mostrò un suo ritratto eseguitogli dal Tiepoletto a Venezia. - Faccia bellissima e spiritosissima. - Dai ventitrè anni in poi fermò la sua dimora a Milano, recandosi però, quando occorreva, a vedere altrove le cose e gli uomini e le donne degne d'esser osservate dappresso. - Con questa vita, e con quella tempra, e con quel fosforo della massa cerebrale, e con quello spirito della curiosità e dell'investigazione che non lo lasciò mai vivere quieto, era esso la storia universale viva e vera degli ottant'anni che aveva vissuto dopo i primi otto. Aveva passato i sette anni quando Federico il Grande stava disperandosi per gli affari di Sassonia, e Pitt, il padre, veniva rimosso dal ministero britannico, e Caterina II saliva il trono, e la Pompadour facea nausea ai galantuomini, quantunque piacesse al re di Francia. Avea quindici anni. quando Pitt, figlio, facendo stupire i professori dell'Università di Cambridge collo studio indefesso e coll'intelletto universale, imparava a far dimenticare la fama paterna; quando Foxe nei danari che il più bizzarro ed azzardoso dei padri gli dava per tentar la fortuna al giuoco, e nell'oceano della vita, nel quale immaturo si gettò come a nuoto, trovò il segreto della futura sua grandezza, mescendo il punch alle filippiche nel greco di Demostene; quando Rousseau, dando in luce opere di sovrumano concepimento e abbaglianti di forma incomparabile, nel punto stesso che scandolezzava le sane menti con atti ingiuriosi alla dignità d'uomo, pareva che s'affannasse a far creder vera quella definizione del Sarpi, essere l'ingegno una malattia del cervello; quando Robespierre, ancora fanciullo, leggendo avidamente Gian Giacomo, apprendeva l'odio contro tutte le istituzioni sociali, e l'idea nuda ed innocua del filosofo pensava a tradurre in ferro ed in fuoco. Aveva diciassette anni quando per la prima volta s'introdusse la coscrizione militare, e ventitrè quando Maria Antonietta sposò il Delfino di Francia e si concluse la pace al Congresso di Teschen. - Era giovane fatto allorchè a Venezia conobbe Foscarini, e il vecchio Zeno e il Tiepolo, il pittore e il poeta, e il Canaletto, e l'abate Chiari, e Goldoni giovinetto e Carlo e Gaspare Gozzi; a Roma udì il Miserere dell'Allegri, a Napoli assistette al fiasco dell'Armida di Jomelli. Fece una rissa ferocissima di parole con l'Alfieri a Torino. - A Milano conobbe tutti quanti. - Sparlò del prossimo con Casti, stette serio con Parini, fece pazzie col pittor Londonio, sovvenne di danaro il poverissimo Biondi, il ritrattista per eccellenza, che non mangiava per comperare i pennelli. Quando ci trovammo due o tre volte a fare con esso lui qualche giro sulle mura di porta Orientale, ne' giorni che le mille carrozze sfilano in gala, era bello a sentirlo dire: Di quel signore ho conosciuto il bisavolo; quello lì che or va in carrozzino dee la sua prima fortuna alla roletta; quello là che va col tiro a quattro la deve ad una birbonata. Ne' giorni del perdono all'Ospedale Maggiore, quando sono esposti i ritratti dei benefattori di tre secoli, si piantava con soprassalti di gioia davanti a taluno di que' venerandi vecchioni del secolo passato, e diceva: questo somiglia, quello no...; e tosto una biografia, un racconto pieno di accidenti curiosi, di quelli che la storia ignora e pur basterebbero a far la storia vera. Un giorno che si stava innanzi al ritratto del dott. Macchi, di colui che visse in povertà quasi d'accattone per lasciar all'ospedale tutto quanto ebbe dal padre e raccolse dalla sua professione di notajo, dopo averci narrati molti particolari di quell'uomo, che peccò d'avarizia in vita, per essere insigne benefattore in morte, d'improvviso soprastette dicendo: "Vi ricordate di quel tale che la prima domenica di quaresima abbiamo veduto nel carrozzino di gala sulle mura di porta Orientale, e di cui abbiamo tenuto alcuna parola? - Ebbene, questo notajo fu quegli che scrisse la minuta di un testamento che doveva esser trascritto da uno zio del padre del padre di quel signore". Del quale pronunciò il nome che noi non ripeteremo; chè molti dei personaggi che faranno parte della nostra epopea in veste da camera, hanno l'obbligo di costituire una società anonima.

Quando il novantenne vegliardo levò gli occhi dal ritratto del dottor Macchi: "Se verrete da me, soggiunse, fra qualche giorno, vi racconterà un fatto stranissimo, il quale, se può interessare la curiosità degli oziosi da caffè, può interessare il filosofo che spasima d'affanno per i mali che l'uomo ha inventati onde tormentare sè stesso; e può battere alla porta della giustizia e illuminarla, e illuminar persino la sapienza legale".

Ma qui ci conviene lasciare il nostro decrepito amico, che tante volte accompagnammo a veder l'Arco della Pace e a far il giro de' bastioni; e poi, in più angusto cerchio, e sotto i tigli de' pubblici giardini, abbiam sostenuto del braccio quando non poteva più soddisfare al suo orgoglio di camminare isolato; e soltanto continuava a dispiegarci lo sterminato volume contenente uomini e cose vissuti e avvenute in cento anni, ripetendo sempre quel suo intercalare: La mia memoria è una valle di Giosafat tutta affollata di maschere. - E dal bel mezzo del secolo XIX ora ci convien saltare nel bel mezzo del secolo XVIII, e recarci al Teatrino del palazzo Ducale, a quel Teatrino che lasciò per molto tempo il nome al successivo della Canobbiana; colà udremo la musica della Semiramide riconosciuta del maestro Galuppi, e vedremo a danzare la bellissima Gaudenzi... quella che fu la madre del nostro decrepito amico.




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