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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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IV E che si fa, marchese? Monsignore, che si fa? Meno chiacchiere, e più fatti. Così, colla franchezza petulante dell'uomo avvezzo a padroneggiare gli altri uomini, il vecchio Galantino ruppe in mezzo le mutue interrogazioni di quei due titolati della gerarchia civile ed ecclesiastica. E i due titolati lo guardarono, senza poter dissimulare il dispetto che provarono all'urto di quelle risolute parole. Suggerite voi dunque i fatti; e suggerite il modo di prepararli senza chiacchiere, disse poi il monsignore, aprendo leggermente, con un lezio crudo delle linee, quella sferla ad uso bocca, che aveva nella zucca ad uso testa. I fatti, per parte mia, li avrei preparati; ma ho bisogno che i vostri preti inventino delle spaventose fandonie pei villani della vostra diocesi; e che esercitiate la vostra ben nota influenza sulle terre veneziane. In quanto a me, ho una fabbrica di carta sul Brembo; ho un filatoio di seta presso Bergamo, che mantiene qualche migliaio d'uomini avvezzi ad obbedirmi. Tengo pure a' miei comandi qualche centinajo di spalloni, soliti a far le schioppettate coi finanzieri. Costoro, in un bisogno, possono spingere avanti a calci nel sedere quelle carogne di contadini, che, se hanno paura del diavolo, hanno paura anche delle armi francesi. Naturalmente se insorge tutto il paese veneto colle marre, colle zappe, coi badili; se di ciò è avvisato l'arciduca Carlo; se si lasciano senza vettovaglie, foss'anche per sole ventiquattr'ore, le truppe del generale Bonaparte, vedete che, in un momento, le partite si mutano. Fate che il generale Bonaparte tocchi una buona rotta, e addio simpatie e adorazioni e campane a festa e Tedeum e falò di consolazione. Conosco il mondo.... e chi più ha gridato, è il primo a metter le armi a terra... Questi chiacchieroni di patrioti li conosco benissimo. Ma anche voi, signor provveditore (e qui si rivolgeva al Vincenti), dovete adoperarvi con energia, se volete che la vostra repubblica non vada all'aria o non sprofondi in mare. Scrivete al podestà Ottolini di Bergamo, che è un uomo forte ed è fedele al leone; scrivete al Battaglia di Brescia che, a dirla così tra noi, mi sembra un gran tentennone; e tenetelo in riga, e ad un bisogno, fate sapere al vostro senato che farebbe bene a internare colui in laguna, e a nominarlo ispettore dei fanghi del canale. Credetelo a me: questo Battaglia si è lasciato cogliere come un luccio nelle reti di Bonaparte, e lì a Brescia, quantunque sia un mellone, può produrre l'effetto di un alleato di Francia. Animo dunque; bisogna far presto; bisogna dire a que' vostri senatori, che è tempo di tirar su la sottana lunga della toga, che consiglia i comodi della vita e impedisce di spacciarsi. Bisogna esser lesti a questi dì, se non si vuole sprofondar nel pantano; perchè, anche a correr veloci, è un affar serio a tener dietro a questo maledetto levriere di Bonaparte, che salta siepi e fossati e vigne, e divora campi e brughiere, e non s'arresta se non ha preso la lepre per l'orecchio. Ha bisogno di scuotersi un po' quella vostra vecchia repubblica dai suoi lunghi sonni senili. Quando il Suardi troncò il suo discorso, uno di quei frati aboliti che si trovavano là, e che era in quel tempo vicario d'una pieve sul confine del vecchio ducato: Ma, disse, rivolgendosi prima a monsignor vescovo, come per chiedergli il permesso di parlare, avrei anch'io il mio debole parere da dare. Ma dica pure, molto reverendo, esclamò colla solita vivacità il Galantino. Non è egli vero, continuava l'ex frate di S. Damiano, che sarebbe una gran bella cosa se si potesse ottenere il nostro intento e glorificare la nostra santissima religione, e tagliar la strada alle opere del diavolo, senza dare incomodo a tanta gente, e senza mettere in pericolo tante vite? Monsignor vescovo lo guardò e tacque. Il marchese lo guardò, poi guardò il Galantino; questi pure lo guardò, e soggiunse: Il convento in cui siete stato educato mi fa sperar molto dai vostri consigli. Parlate dunque, e sbrighiamoci. Non è egli vero, monsignore, che Giuditta fu venerata dai seniori di Betulia, e che tra le eroine della sacra Bibbia è riconosciuta santissima per aver troncata la testa d'Oloferne? Ma terreste voi mai a vostra disposizione una qualche Giuditta nella vostra pieve? domandò il Suardi facendo d'occhio al marchese; se è così, sarebbe bene che, prima di mandarla al suo destino, la faceste conoscere a me e al marchese. Le daremo dei pareri. Monsignor vescovo tacque; tutti tacquero; ma prese la parola il monsignore del Duomo, il professore emerito di lingua ebraica e di casuistica. Io mi meraviglio molto col signor marchese, e non so come spiegare la presenza in questo luogo di monsignor vescovo illustrissimo, quando sento a parlare in questo modo, e con parole cosparse di maledetta miscredenza, al cospetto di sacerdoti, al cospetto di dignità ecclesiastiche reverende. Ma a che scopo ci siamo uniti qui? per tentare di mettere un riparo ai pericoli che da ogni parte, circondano la nostra santissima religione, o per sentirla a vituperare e a metterla in canzone? Reverendo monsignore, disse il vescovo, mettete in calma il vostro spirito, riposate tranquillo su di me: perchè in verità vi dico, che non permetterei che questo secolare fosse qui, se i suoi pensieri, se i suoi disegni non fossero precisamente i nostri. Il monsignore del Duomo, che già abbiamo dato in nota per quel bigotto furioso, forte di quella dottrina che viene dalla sola memoria, chinò il capo sul petto a tali parole, e senza aggiungere altro, incrociò le mani e si mise a sedere, recitando sommesso delle orazioni. Il Galantino fu in prima tentato di levarlo di peso con una violenta rimbeccata, ma, limitandosi a guardarlo fisso per un pezzo, si volse poi al marchese, dicendo sommesso: Che bestia!? Abbiate pazienza, gli accennò il marchese; ma bisogna compatirlo, perchè è un sant'uomo; e poi è anche un gran sapiente. Alla larga, caro mio; ma se avessi saputo di compromettermi con questi stolidi, avrei fatto i miei affari altrove. Gli altri almeno sono impostori; ma costui ci crede davvero. Tutti si rimisero in silenzio: poco dopo monsignor vescovo invitò l'ex frate di S. Damiano a continuare il suo discorso, e a metter fuori le sue proposte. Quand'io ho nominato Giuditta, riprese l'ex frate, non l'ho fatto per indicare che ve ne fosse una rediviva; così l'avesse concesso la Provvidenza; così, nel tempo medesimo, la Provvidenza avesse decretato che questo giovane Côrso fosse arso anch'esso dalla salacità orientale di Oloferne! Il peccato avrebbe fatto la vendetta del delitto. Ma egli è temperante, è sobrio, è freddo, è casto. Egli non ha altra voglia che di distruggere gli uomini e di far guerra a Dio. Però ben meriterebbe degli uomini e di Dio chi trovasse il modo di togliere di mezzo questa fatale esistenza. Giuditta fu acclamata dai seniori quando mostrò al popolo di Betulia il teschio d'Oloferne. Chi uccidesse il generale sarebbe benedetto da tutti gli uomini, dagli uomini d'Italia ed anche dagli uomini di Francia. Qui il Galantino interruppe l'ex frate: Ma, in conclusione, vi proporreste voi stesso di far le parti di Giuditta? Io? Voi, molto reverendo. Io no. Allora sarà difficile di trovar l'assassino. L'assassino!?... balzò in piedi, gridando come un energumeno il monsignore ex-professore di casuistica. Ma chi è costui che parla di tal modo qui? ma che parte è la sua? È un nemico di Satana costui? o è un nemico nostro? Ma è assassina la legge quando fa morire un nemico della società? Ma perchè da tanti secoli tutta l'umanità ha convenuto di venerare come eroine fortissime, inspirate dal divino volere, e Giuditta appunto e Giaele? Io ho poca intimità, monsignore, con queste due donne, rispose il Galantino: e non ho la vostra sapienza; ma se sono disposto a batter le mani alla legge quando fa morire un assassino, trovo poi che è sempre tale chi ammazza altrui a tradimento, per quanto ottimo ne possa essere il fine... Io sono piuttosto ignorante, e non sono molto addentro negli affari di questa signora Giuditta e di quell'altra che si chiama Giaele. Ma siccome ho sentito la Betulia liberata del maestro Guglielmi, dove cantava l'Agujari... che voce eh... marchese? che vocalizzi! che trilli! quelli eran tempi!... ma tornando a noi, so benissimo chi era anche Giaele, perchè ho visto il ballo grande di monsù Pitraux, intitolato Debora e Sisara, e so i meriti di colei; e più ancora quelli della mima che la rappresentava, la Giuliana Bidò, famosissima e cara e tonda tutto quel mai che si può dire; qui il marchese lo sa meglio di me... Avendo dunque visto assai bene quel che han fatto e l'una e l'altra, dico e sostengo, e mi pare che l'ignoranza giovi a qualche cosa, che oggi tutte le Giuditte e tutte le Giaeli, colte sul fatto, e anche col solo appoggio d'un pajo di testimonj, diventerebbero proprietà del tribunale criminale... Perchè bisogna tener conto anche della distanza dei tempi e degli usi... che so io? di tante cose bisogna tener conto. Io non so niente; ma ne so abbastanza, per dire al molto reverendo ex padre, che su questo progetto non c'intendiamo; e che per ora basterebbe che tornasse alla sua Pieve a metter l'inferno nella coscienza delle sue pecore, per farle diventar lupi e orsi contro i Bonapartisti; e così e altrettanto facessero questi reverendi sacerdoti. All'illustrissimo monsignor vescovo, io non m'attento di dar pareri, ma poco su poco giù quel che si ha a fare si sa. Quanto finalmente a monsignore, mentre la prego a perdonarmi, la supplicherei anche a tornare in Duomo, e a pregare per i suoi devoti e, se gli cresce il tempo, a pregare anche per me, che per ora basterebbe. Dunque veniamo a noi, perchè sino adesso mi pare che si perda il tempo, torno a ripetere, in chiacchiere, mentre occorrono fatti pronti e naturali e spontanei. A tutte le apparenze, pare che Bonaparte si voglia ingoiar la repubblica di Venezia: bisogna dunque far insorgere tutto quel paese contro di lui. La repubblica soffierà di là, noi soffieremo di qui. Il marchese, che ha venti milioni in terre, può disporre de' suoi terrieri. Io farò la mia parte. Ma sopratutto sono i preti che ci debbono ajutare. Lo scandalo del ballo grande, rappresentato in questi giorni sulle scene del teatro della Scala, è tale che, esagerato dal pulpito, come sanno fare loro signori, alle popolazioni, può metter la febbre nei credenzoni, mi perdoni monsignore; sopratutto bisogna spaventare la coscienza delle buoni madri, le quali, volere o non volere, hanno una grande influenza sui figli coscritti. Alla prima rotta che può capitare, questi la danno a gambe, e... un disastro tira l'altro. Se mi permette, monsignor vescovo, tornò a parlare l'ex frate, io insisto ancora sulla mia proposta, e vi insisto perchè sembra che la Provvidenza abbia voluto espressamente darmene l'occasione. Il Suardi si scontorceva. Monsignor vescovo soggiunse: Sentiamo. Uno di questi giorni, continuava il vicario, mi si presentò al confessionale un mio devoto, un giovane di vent'anni, che fin dall'ottobre milita nell'esercito repubblicano. Suo padre, nel paese ov'è nato, è priore della confraternita del SS. Sacramento; sua madre è una santa, che si confessa e si comunica ogni otto giorni. I figliuoli e le figliuole somigliano al padre e alla madre. Famiglia più religiosa di questa credo non se ne trovi nè qui nè altrove. Ora il giovane coscritto, presentatosi, come ho detto, al confessionale, mi dice: Reverendo signor vicario, sono qui da lei per consiglio. Ho fatto un sogno, uno di quei sogni che Dio espressamente manda agli uomini, e son qui a raccontarlo, ed ecco precisamente quel che ho visto e sentito: Il generale Bonaparte era nell'acqua sotto al ponte d'Arcole, dove ho combattuto anch'io, ma l'acqua non era acqua, era sangue. Il generale vi nuotava a fatica, allorchè io vidi vicino a lui quel granatiere, che ho visto infatti sulla riva del fiume, quando salvò il generale. Nel tempo stesso sentii una voce, una voce che, secondo l'idea che mi son fatta leggendo i libri devoti, deve esser quella degli angeli che stanno a' piedi del trono di Dio, colle ali spiegate e pronte per volare ad eseguire i suoi decreti. Quella voce esclamò: "Colui che, nato di madre italiana, ha tratto il figliuolo di Satana dalle onde di sangue, sarà perduto in eterno. Ma starà invece tra i beati del paradiso chi, uccidendolo, salverà l'Italia e il mondo." Io dunque sono qui per consiglio, io mi sento da tanto da mandare ad effetto i divini voleri. E voi, che cosa avete risposto? domandò monsignor vescovo. Nulla ho risposto, bensì gli ho detto: Tornate da me fra tre giorni. Monsignor vescovo non parlava. Non voleva dar consigli. Egli era profondo in divinità, ma la scienza non gli aveva stravolto il cervello! Se il disegno progettato si fosse già compiuto, avrebbe trovato i sofismi per giustificarlo; ma trattandosi di consigliarlo, non osava. Era stato educato in seminario, non a S. Fedele, nè a S. Damiano. Ma intanto che tutti tacevano, l'ex professore di casuistica esclamò: La scienza approva un tal disegno. I libri santi ne offrono l'esempio. Abramo non istette in dubbio di uccidere Isacco. A questo punto il Suardi, perduta la pazienza, esclamò con forza: Ma io, che non sono Abramo, non dubito di non voler fare una minchioneria. Il coscritto è certamente un povero pazzo. Quando ritorna al vostro confessionale insegnategli la via di porta Tosa. È tutto quello che si può fare per quel povero demente, vittima certo e del padre priore, e della madre santa, e delle santocchie sorelle, e dei preti, e dei frati gabbamondi. L'ex professore di casuistica si alzò inferocito; fulminò d'uno sguardo terribile il Suardi; guardò altiero il vescovo; poi, a un tratto, piegò il capo sul petto, congiunse le due mani, e: - Io parto di qui, disse. Nessuno lo trattenne. Or parrà strano che il vecchio Galantino irritasse colle sue parole i preti ch'erano là a congiurare con lui; ma egli, quantunque fosse quello che fosse, sentiva per i cattivi sacerdoti e per i bigotti una decisa avversione. D'altra parte, è un fenomeno da non lasciar senza studio, che un frate, un prete, un torcicollo, quando sono tristi, superano la tristizia di qualunque altr'uomo. Nel caso attuale, per esempio, al Galantino faceva ribrezzo l'assassinio; all'ex frate di S. Damiano pareva invece un atto meritorio; al professore di casuistica pareva un corollario della scienza. Il vescovo poi, senza compromettersi a dar consigli, avrebbe veduto assai di buon occhio che il disegno si fosse compiuto. In quanto al resto poi, è da aggiungere che il Suardi non solo non odiava il giovane Bonaparte, ma ne aveva una certa ammirazione. E si può giurare che, se non ci fosse stato di mezzo l'appalto dei foraggi, avrebbe figurato fra i suoi partigiani. Quando il monsignore del Duomo fu partito, il vescovo di... prese con sussiego la parola per assicurare il marchese F... che tutti i ben pensanti e i veri amatori del paese, dei buoni costumi e della religione avrebbero trovato in lui un efficacissimo appoggio. Quand'è così, soggiunse il Marchese F..., sarà bene che voi, monsignore illustrissimo, vi troviate alla vostra sede, perchè la guerra corre velocissima, e in un giorno, in poche ore le cose possono mutare. Anch'io mi recherò dove tengo i miei più vasti possedimenti, attento a cogliere l'occasione. Allora, continuò il vescovo, rivolto ai sacerdoti che si trovavano là, ritornerete alle vostre arcipreture, ai vostri vicariati, alle vostre cappellanie; quando il momento sarà giunto, riceverete da me le opportune istruzioni. E il signor Suardi? disse poi voltandosi a lui con dignità ostentata. In quanto a me lasciate che mi regoli da me, che regolerò anche loro signori. Il generale Bonaparte percorre come un fulmine tutti i punti della base della guerra; ma ha anche 27 anni. Ma anch'io mi troverò dappertutto, e non lascerò tempo nemmeno al tempo, sebbene abbia i miei sessant'ott'anni passati. A rivederci dunque. Il marchese rimase. Il vescovo e gli altri uscirono. Dopo pochi minuti, quand'era uscito anche il Suardi, s'udì sotto l'androne del cortile lo scalpitio de' cavalli e il rumore delle carrozze che dovevano condurre al loro destino quei reverendi congiurati. Quando il marchese fu solo, avendo sentita nell'anticamera una voce femminile, si alzò, facendo un gesto di malcontento, e disse tra sè: Cosa diavolo viene adesso a far qui mia figlia? Or chi era questa figlia? Era la contessa A..., che noi abbiamo già conosciuta e descritta la sera del ballo del papa; la bellissima delle tre dee, quella che lasciò vedere, stando in palco, la massima parte possibile della sua nudità. La quale contessa A..., incontratasi nel Suardi: Come siete qui, cittadino? gli disse con una disinvoltura gaja e baccante, perchè i suoi vent'anni, e la folla dei corteggiatori, e la schiera scelta e squisita degli amanti, e l'amor proprio femminile perpetuamente lusingato, la tenevano in una continua condizione come di vanitosa ebbrezza. Come voi siete qui? e che cosa vogliono dire quegli uomini neri, che un dopo l'altro sgusciarono dall'appartamento del marchese mio padre? Contessa, io non li conosco; ma saranno preti venuti a prendere la loro quota dei benefizj ecclesiastici, che l'illustre casa F... distribuisce di jus patronato... Ah, ah... va bene. Ma sapete cos'è che va meglio, caro signor Andrea Cittadino? Che cosa? Che voi avete un bellissimo e interessantissimo nipote. Io non ho nipoti. Ma chi è quel bel dragone che vedo spesso con voi in carrozza? Chi è?.. è un mio protetto. Vorrei che si facesse proteggere anche da me. Il Suardi stette un momento sopra di sè... un baleno gli aveva attraversato i pensieri; e in un baleno, fatto un calcolo e un disegno: Ebbene, le rispose, divideremo la protezione in due metà. Accettate, contessa? Sì che accetto! Ho un mazzo profumato di viole, colte nel mio giardino d'Inzago. Manderò il mio bel capitano a farvene un presente. Bene, caro signor Andrea; e la contessa gli strinse le mani in segno della più grande soddisfazione. Il Suardi partì, recandosi difilato dove si raccoglieva l'altra congregazione segreta. Ed ora, cari lettori, se non state attenti, perderete il filo del più bello imbroglio che mai sia capitato e capiterà da disimbrogliare.
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