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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DUODECIMO
    • V
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V

Berthier ebbe dunque dal Direttorio l'incarico della spedizione romana, perchè così avea consigliato Bonaparte; e l'italiano di Corsica, Cervoni, fu l'alter ego di Berthier, perchè Bonaparte avea voluto che Berthier lo volesse.

Il vincitore di tante battaglie deve aver previsto che quella non doveva essere una spedizione nè disastrosa nè difficile, ma soltanto un viaggio militare.

Ciò per altro non aveva pensato Berthier, che si mise alla testa delle truppe affidategli come se andasse ad una assai ardua impresa, e passato Ancona, dove non accolse i messi del papa, e inoltratosi in mezzo alle gole degli Appennini, trasse innanzi con grande circospezione, temendo ad ogni piè sospinto ostacoli ed agguati. Ma, con grande sua meraviglia, giunse fin sotto a Roma senza trovare un drappello di soldati papalini, tanto che vide non rimanere a lui per allora altra cura che di provvedere all'ingresso trionfale.

Nel Diario del Camillone leggiamo, che primi ad entrare in città per la porta del Popolo furono due squadroni di usseri. Ei si diffonde a parlare del colonnello che li comandava, "il quale, soggiunge, era un milanese di Milano, il più bel soldato che mai si vedesse al mondo". E poco appresso gli fa il nome; così che non abbiamo nessun dubbio di asserire, ch'esso era nientemeno che il conte S..., il marito di donna Ada e il a padre di donna Paolina.

Qui comincia per noi l'opportunità di far camminare di pari passo e senza fatica i pubblici avvenimenti coi fatti privati.

Chi volesse sapere in che modo esso venne a trovarsi a Roma in quel tempo, noi siamo in grado di poter dare delle notizie anche su questo. Il lettore sa come, negli ultimi mesi dell'anno 1797, improvvisamente, e per cagione ancora misteriosa, sia venuto a morire appena ventottenne il generale Hoche, che comandava l'esercito del Reno. Il capitano S..., per la sua indole procellosa e pe' suoi disordini d'ogni maniera, non aveva mai potuto andar d'accordo con nessuno dei suoi capi; tanto che, sebbene essi non potessero disconoscere la sua straordinaria prodezza, pure tutti, l'uno dopo l'altro, pensarono a disfarsi di lui, cercando pretesti per farlo girare di luogo in luogo, e passare d'uno in altro corpo d'armata. Il solo Hoche aveva saputo ammansarlo; tanto che egli stette ben volontieri sotto quel giovine eroe, il quale lo promosse al grado di capo-squadrone. Allorché dunque Hoche morì e Augereau venne in suo luogo, il capo-squadrone S..., che già avea avuto mille alterchi con quel generale, d'indole difficilissima e irrequieta al pari e più della sua, se fosse stato possibile, sollecitò di uscire dal corpo dov'era; e ottenuto il permesso d'andare a Parigi, si trattenne colà qualche tempo, finchè, saputo che Berthier era stato preposto all'impresa romana, e che lo seguiva il generale Cervoni, col quale se l'era sempre intesa assai bene, forse per una certa eguaglianza d'indole; tanto si adoperò, che ottenne non solo di seguirlo nel suo grado di capo-squadrone, ma di essere innalzato a colonnello, e posto al comando di due squadroni di un corpo di usseri di recente formazione.

E si può asserire che Bonaparte favorì questa destinazione, desiderando per quelle ragioni che son facili a comprendere che non mancassero italiani a far parte della spedizione di Roma.

Il lettore vedrà in appresso come un tal fatto, il quale nel cumulo de' pubblici avvenimenti non era tale da lasciar gran traccia di sè, fosse destinato ad essere occasione di tremende sventure domestiche.

Or, ritornando al governo di Roma, giova che il lettore si rammenti come, ancorchè Berthier non avesse ammessi a colloquio i messaggieri da quel governo mandatigli incontro, e ad Ancona avesse promulgato un bando, in cui aveva minacciate cose terribili, pure il pontefice erasi lusingato che il generale francese, pago di ottenere una compensazione pei tragici fatti di Bassville e Duphot, non sarebbe entrato in Roma altrimenti; e come per ciò sia stato tanto più grande lo stupore, lo sgomento e l'ira di lui, quando seppe che, contemporaneamente all'intimazione data al presidio romano di abbandonare Castel Sant'Angelo e all'occupazione fatta dalle armi repubblicane dei bastioni di quel forte, il resto delle truppe era entrato in città.

A questo punto dell'occupazione di Roma cominciano le declamazioni furibonde di quasi tutti gli storici che narrarono quel periodo caratteristico e famoso con intenzioni partigiane.

Il Botta, pur tanto avverso al governo pontificale, e che nella sua continuazione della storia di Guicciardini, quando parla delle nequizie di qualche papa, ha la cura assidua di far campeggiare il predicato di Padre Santo, a titolo di scherno e a significazione efficace di idee, perchè alla mente del lettore risalti crudamente la scandalosa antitesi tra la parola e la cosa; a questo punto par cangiare a un tratto opinioni e convinzioni; par diventare a un tratto e papista e bigotto, e cieco, e smemorato; e si compiace a sfoggiare indignazione pietosa, e si ferma con insistenza d'autore tragico e d'artista che vuol fare effetto, sulla tarda età, sul venerabile aspetto, sulla inferma salute di Pio VI; e prorompe furiosamente perchè alcuni dei cardinali, i quali avean sempre sostenuto dei loro obliqui consigli l'obliqua ragione di quel papa, e all'uopo eransi fatti provocatori di popolari ferocie e di eccidj, sieno stati messi sotto vigile custodia dalle armi repubblicane.

Ma il repentino mutamento di quello storico tanto celebrato, si spiega con ciò, ch'egli era così pregiudicato estimatore di quei tempi rivoluzionarj e odiatore tanto astioso di Bonaparte e de' suoi seguaci, che tutti gli altri suoi odj dovevano tacere in faccia a questo; e al suo occhio, in confronto d'ogni impresa e d'ogni atto di Bonaparte e delle armi rivoluzionarie, anche le colpe altrui parevano trasmutarsi in virtù.

E Alessandro Verri non si dilunga da lui. Ben è vero che egli si mostrò veneratore sempre costante dell'autorità temporale della Chiesa, ed è per questo appunto che le accuse scagliate da lui contro la vita privata di Pio VI fanno testo autorevolissimo; ma le sue idee fisse e i suoi sistemi e i suoi amori e i suoi odj sono così tenaci e implacabili, che la memoria del passato pare che gli annebbii nella valutazione dei fatti posteriori, e il lavoro della logica gli proceda a rovescio; talmente che non par vero che chi ha detto tanto male di Pio VI, dopo si affanni, al pari di Botta, a metterlo nella miglior luce possibile; ed esprima un'ira spasmodica contro tutte le idee rigeneratrici che, tradotte in fatti, vennero ad assalire l'errore nella sua sede più antica e più formidabile. Perchè bisogna bene che i galantuomini tentennanti si persuadano di questo, che, siccome abbiam fatto vedere, il germe rivoluzionario portato a Roma colle armi, era e doveva riuscire un'impresa salutare all'Italia e all'umanità e al medesimo sacerdozio, se non si fosse trasmodato nell'esecuzione, la quale, siccome avviene spesso anche nelle opere dell'arte, guasta e snatura le più squisite invenzioni della mente. Facendo uso adunque con somma precauzione di questi autori, d'altra parte meritamente reputatissimi, e continuando a far loro la più oculata controlleria colla scorta di coloro che parlarono e scrissero e stamparono senza speranze, senza timori, senza pregiudizj, senza aver riguardo a chi sta in alto, senza le funeste paure dei giudizj del pubblico, senza i pericolosi intenti della gloria, entriamo anche noi in Roma a vedere e a sentire quel che vi succede.

E innanzi tutto, non bisogna credere che le idee rivoluzionarie fossero penetrate in Roma, e avessero attecchito con quel rigoglio legittimo di sviluppo che si verificò a Milano. A Milano i nostri pensatori avevano tentate e sciolte le questioni più connesse alla vita pratica, e però avevan saputo illuminare le masse; a Roma per contrario la scienza, limitandosi all'archeologia, alla filologia e all'erudizione in genere, era rimasta perfettamente oligarchica, ed aveva lasciato il popolo qual era. Bensì avvenne colà un fenomeno singolare.

Gli artisti di Francia, pensionati e dimoranti in Roma, furono i primi a mettere in circolazione le idee francesi; ma queste non passando per lo staccio dei pensatori, invece di migliorare, temperandosi nel trapasso, peggiorarono esagerandosi. Eran giovani bollenti ed esaltati dalla natura stessa de' loro studj, che si trovarono aver nelle mani delle armi, le quali, adoperate senza riflessione, potevano diventare pericolosamente micidiali. Quanto ai popolani di Roma, senza che fosse stata necessaria l'Enciclopedia e Voltaire e Robespierre ad aizzarli contro il clericalismo, odiavano i preti, non per l'effetto delle idee importate e trovate nei libri; ma perchè erano scaltriti dallo spettacolo quotidiano, e da mille fatti di cui erano testimonj e vittime; era un odio cresciuto per virtù spontanea, e però più potente d'ogni altro.

Che effetto dovesse dunque produrre la domestichezza che, siccome se chi è stato a Roma, è di vecchia consuetudine tra gli studenti di belle arti e la plebe di Trastevere, ognuno lo può pensare. Diciamo questo perchè di molte enormità che avvennero nel tempo in cui le truppe repubblicane stettero in Roma, bene spesso complice e guida fu quella plebe appunto; l'inettezza colpevole del governo temporale del papa aveva fomentata in anticipazione l'ira dei popolani, i quali, anche allora quando nella vendetta passarono il segno, non fecero che continuare ad esser vittima di un'autorità assurda e corruttrice.

Al disopra di questa classe v'era poi quella schiera numerosa d'uomini, che non manca mai in tutti i paesi di questo mondo, perchè è la natura che li mette insieme. Uomini che hanno il privilegio di veder giusto nelle cose, ed hanno in sè l'antidoto sicuro contro i pregiudizj e le cattive istruzioni; ma che nel paese ove stanno, arrischiano qualche volta di essere odiati dai partiti estremi non per altra ragione che perchè tengono la media proporzionale. Costoro sono sempre disposti a festeggiare tutte le novità, per l'istinto che hanno del progresso, e tanto più, quanto più si accorgono di vivere in mezzo ad uomini e cose sopraffatti da una decrepitezza incurabile. Costoro dunque, seguiti da quella parte di popolo che nella prima allegrezza è sempre buono, ma che può imperversare nell'ubbriachezza, fecero festa all'esercito repubblicano quando entrò in città; fecero festa a Berthier, a Cervoni, al colonnello S..., e a tutti quegl'Italiani militanti che, parlando la lingua comune, dicevano di essere venuti a infondere sangue nuovo nella vecchia Roma.

 




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