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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMOTTAVO
    • II
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II

Il Galantino, come abbiamo udito dal giovane Suardi, è dunque morto, assolutamente morto. Gl'impazienti della lunga e, per essi, troppo lunga sua parte sulla scena di questi Cento anni, possono ora consolarsi. Noi qui aggiungeremo che, nato nel 1730, morì nel 1815 a Modena, d'anni 85, lasciando quel figlio che abbiamo conosciuto; figlio naturale, ma ch'ei volle battezzato col proprio nome e cognome, e al quale lasciò tutto il proprio avere, ammontante in terre e capitali a quasi tre milioni di lire milanesi.

E un altro schiarimento è più che mai necessario a questo punto. Che cos'era e che mai stava scritto in quella carta che il giovane Suardi aveva mostrato a Giunio Baroggi e al Bruni?

Il testamento che fin dall'anno 1813 Andrea Suardi, senza scoprirsi, aveva spedito in originale al giudice del tribunale civile nelle cui mani era stata posta la causa tra il Baroggi e il marchese F..., non aveva ottenuto l'effetto che il Suardi se n'era aspettato. I denari del marchese avevano corrotto il giudice, avevano corrotto il notajo Agudio, che a prezzo d'oro aveva vendute le carte e i documenti relativi a quel fatto, e che si trovavano da sessant'anni nell'archivio privato del dottor Macchi. I periti calligrafi non avevano potuto, per mancanza di sufficienti confronti, constatare che la scritturazione di quel testamento fosse di proprio pugno del defunto F... In conseguenza di tutto ciò, per sentenza del tribunal civile venne dichiarato, che "in mancanza di prove assolute, non potendosi asserire essere quel testamento olografo, ed autografo del marchese F...; ed anzi, dovendosi ragionevolmente sospettare fosse una carta ad arte falsificata, a tale sospetto dando fondamento il modo misterioso onde quel documento era stato presentato al tribunale; ripugnando inoltre l'idea che potesse essere in buona fede e avesse in petto i sacrosanti fini della verità e della giustizia chi aveva pensato a stare occulto con tanta circospezione, si respingeva fino a nuove dilucidazioni l'atto di petizione del colonnello Baroggi, rimanendo intanto legittimo possessore dell'eredità F... il marchese F... ecc., ecc."

Il Suardi che, nell'auge della propria fortuna e negli anni della virilità e della ancor verde vecchiezza, aveva tenuto gelosamente presso di sè il prezioso documento, sempre col pensiero e col proposito di farlo comparire all'aperto inaspettatamente, quando si fosse presentata l'occasione favorevole, e quando il molto tempo trascorso avesse potuto ragionevolmente stornare da lui ogni sospetto, si era accorto in che pericolo erasi messo nello spedire al tribunale di Milano quel documento, e come, dato un altro giudice ed altri avversarj e men corrompibile la giustizia, avrebbe potuto scontare sessant'anni dopo la pena scansata con tanta accortezza, arte e fortuna; onde, dopo la sentenza del tribunale, senza darsene per inteso, e proponendosi di non mettere più le mani in quell'intrigo, ritornò alle proprie terre che aveva acquistate nel Parmigiano e nel Modenese, per vivere fuor della cerchia e della vista di Milano che lo aveva conosciuto ciliegia, come dice la frase paesana, e dove vivevano ancor troppi de' suoi coetanei a rinfacciargli, soltanto col guardarlo, la sua origine, la sua vita e il libro nero delle sue azioni.

Rincresceva però al Galantino che la fortuna del Baroggi dovesse rimanere così inevitabilmente rovinata, e tanto più che delle ricchezze del conte V..., il marito di donna Clelia, per le dilapidazioni continue e forsennate del marito di Ada, non era rimasto quasi più nulla. Come il lettore deve ricordarsi, il Galantino aveva protetto il Baroggi, capo delle guardie di finanza, ed erasi preso cura del figlio di lui, e in ogni occasione aveva dato a divedere di desiderare il loro vantaggio: al punto che, per rimediare al fatto del testamento, era una volta venuto in pensiero di lasciare a loro tutta la propria sostanza. Ma, per una delle più consuete combinazioni della vita, a Parma conobbe una donna e da questa ebbe un figlio, il quale, com'è naturale, gli fece cambiar proposito.

E fu precisamente in quella occasione che, almanaccando dì e notte, non sapendo in che altro modo giovare al Baroggi, venne nella determinazione di spedire il testamento olografo al tribunale. La natura del Galantino non era al tutto perversa; egli non aveva fatto e non faceva il male per il male. L'arte per l'arte veniva detestata da lui. Egli era stato uno scellerato, ma per un fine, ma con logica. La sua individualità lo aveva portato ad amar l'eleganza, a volere la ricchezza e il fasto; per raggiungere questo scopo avrebbe sacrificato tutto il parentado, compreso il padre e la madre; ma appena l'ebbe toccato, e con quella solidità da non fargli più temere un capitombolo, egli diventò, quasi potrebbe dirsi, un buon uomo: generoso, caritatevole, affabile, cortese. Non era di quegli scellerati che, pur nel mezzo dell'abbondanza e di tutte le cortesie della fortuna, pur nel fasto e tra le grandezze, sono sempre rabidi di far male altrui, al pari delle tigri che, anche nella piena sazietà del cibo e colle zanne ancora insanguinate di preda recente, si avventano tuttavia sul primo che passa, non per altro, che per metterlo in brani. Il Galantino, crediamo di averlo già detto, assomigliava al leone che, quando ha ben mangiato, vive e lascia vivere.

Per tutte queste cose, il Suardi ebbe amareggiata la vecchiaja da questo assiduo pensiero di una famiglia che amava, e che, per colpa sua, trovavasi sul pendio della povertà, senza ch'egli potesse venire in suo soccorso. Più volte aveva pensato di istituire eredi in due eguali porzioni il proprio figlio e la famiglia Baroggi. Ma quando il figlio divenne adulto e crebbe in modo da lusingargli ed esaltargli il paterno orgoglio, naturalmente mise da parte anche quel disegno, e provvide ad accrescere anzichè a diminuire le ricchezze da lasciargli. Godeva di vedersi così fedelmente riprodotto nell'aspetto fisico del giovane Andrea; si esaltava all'idea che questo, simile a lui per tutti i doni materiali, più attraente per quelli di una educazione compita, non aveva bisogno di lacerarsi la fama onde mettere insieme quella ricchezza che a lui era costata l'intero sacrificio del buon nome. Così il Suardi passò gli ultimi anni della vita. E nell'ottantesimoterzo cominciò a guastarsegli la salute. Allorché la salute diventa mal ferma, e gli organi della digestione vengono ad infiacchirsi, l'uomo si fa più apprensivo, il mondo gli si scolora; retroguardando sul proprio passato, ha noia e pentimento e rimorso di quegli atti perversi che in una eccezionale vigoria fisica e nella baldanza di una natura ambiziosa non ha avuto il minimo dubbio di commettere, e tanto più questo rimorso si fa acuto, in quanto vede perdurare ed esacerbarsi in altri le tristi conseguenze di quegli atti stessi.

Fu allora che, dopo avere stancata la propria mente in cento consulte, meditò di fare un'ammenda postuma, collo stendere, cioè, la storia del fatto clamoroso togliendola dal mistero in cui era ancora avvolta, e col fare la confessione più ampia della parte principale che in essa egli aveva avuto. Questo disegno lo eseguì compiutamente; scrisse con brevità e con chiarezza la storia del fatto, la convalidò colla formula del suo giuramento, e la suggellò con questa soprascritta: "A mio figlio Andrea, mio erede universale, perchè la spedisca al tribunale civile di Milano".

Nello stendere e nel suggellare questo scritto, egli, a tutta prima, aveva fermato di non farne parola al figlio; ma quando fu colto dall'ultima malattia, cangiò d'avviso; chiamò il giovane Andrea presso di sè, e dopo avergli detto che, come avrebbe trovato nel testamento, lo instituiva erede universale di tutte le proprie sostanze, lo mise a parte dell'alto segreto; dissuggellò la scritta, e gliela diede a leggere, soggiungendo: "Il mio desiderio sarebbe che tu spedissi, appena sarò morto, questo documento al tribunale civile di Milano, o alla famiglia Baroggi. Un desiderio però non è una volontà. Lascio a te dunque di fare di questa carta quello che ti parrà meglio".

Al giovane Andrea era nota in gran parte la vita del padre; era noto il famoso processo (non poteva essere altrimenti) in cui esso era stato avvolto; ma ripugnandogli l'idea che avesse dovuto trafugare un testamento chi non poteva vantare alcun diritto all'eredità della casa F..., egli avea creduto che il padre fosse al tutto innocente di quell'imputazione. Però è facile imaginarsi qual colpo gli desse la rivelazione inattesa. La tempra del giovane Andrea era di quelle così eccezionalmente sane e rigogliose, che per la via della robustezza e della, a dir così, baldanza fisica, esercitano una influenza sullo spirito, sul sentimento e sulle idee morali, inducendovi quel cinismo e quell'indifferentismo che fa guardare con eccessiva indulgenza tutte le azioni umane, e definisce per scrupoli e idee piccole e cavilli quei principj di squisita moralità che rendono inesorabili i giudizj e le sentenze; laonde non si affannava troppo al pensiero che suo padre avesse accumulato tanta ricchezza, senza aver troppo sottilizzato sui mezzi; e che in un mondo così pieno di bricconi e di raggiratori e di ipocriti e di ladri larvati, egli si fosse sempre regolato in modo da non cader mai nelle altrui reti, adottando invece il sistema di tenderle egli stesso a tutti, per ogni buon conto. Nei giocondi ritrovi, quando egli, studente all'università di Pavia, spendeva e spandeva a manate le laute mesate che il padre gli mandava, pel desiderio ch'ei facesse la prima figura pure tra i giovani delle più ricche famiglie patrizie, egli non si era mai acceso d'ira contro chi più volte, quasi a ricattarsi della propria inferiorità, avevagli ripetuto il noto adagio: Benedetti i figli dei padri che vanno all'inferno. Invece avea presa la celia pel suo verso e, rincarando la dose, aveva esternata la propria pietà per quei poveri giovinotti che avevano i parenti in paradiso.

Nonostante però una coscienza così elastica, si corrugò e fremette quando il vecchio padre gli affidò l'inattesa scritta. Il mondo si abitua allo spettacolo di quelle tante azioni che, turpi e vergognose e infeste al pari di qualunque delitto percosso dalla legge, pure non furono contemplate in nessun codice del mondo; ma non soffre la compagnia di coloro che ne abbiano commessa alcuna di quelle le quali figurano nella tariffa delle leggi criminali. Quasi si crederebbe che agli uomini, in generale, non faccia orrore nè l'idea della colpa, nè la colpa in sè stessa e per sè stessa; ma sibbene per la pena che deve subire.

Un fornitore d'armata che, somministrando vettovaglie avariate e corrotte, espone un esercito al flagello dei morbi castrensi ed è la causa certa di più migliaja di morti, non fa quel ribrezzo che comunemente suol eccitare uno sciagurato che sia stato cinque anni in galera, per avere, nel furore d'una passione o nell'impeto di una rissa, ammazzato un uomo.

Il giovine Andrea, il quale considerava senza turbamento, come suo padre, allorchè imperversava il sistema delle ferme, aveva espilato il pubblico a proprio vantaggio; e come in quindici giorni sotto Mantova, pel tritello guasto da lui somministrato, eran morti di colica più di cinquecento vigorosi giovani; non seppe vincere il ribrezzo all'idea che esso aveva trafugato un testamento, e ciò per il pensiero che un tal delitto, prima del codice Giuseppino, era punito colla forca.

Or ripigliando i fatti, il Galantino morì: e dalla straordinaria acutezza della mente, alla quale era stato debitore della propria fortuna durante una lunghissima vita, potè dipendere se la cura che lo aveva affannato negli ultimi anni, gli si alleggerì al letto di morte, perchè colla condizione di lasciar arbitro il proprio figlio intorno alla decisione di quell'affare intricato, esso aveva trovato il modo di liberar la propria coscienza, e d'impedire nel tempo stesso che il figlio gli portasse un postumo odio.

Il giovane Andrea, infatti, se gli fosse venuta la volontà, avrebbe potuto dare alle fiamme il misterioso documento, e lasciare che la fortuna e la contingenza dei casi portassero una decisione definitiva sull'avvenire della famiglia Baroggi.

E come abbiamo sentito da lui stesso, fu sovente tentato di liberarsi e di quel documento e delle cure conseguenti; e la lotta tra il desiderio del buon nome paterno, da cui dipendeva anche il proprio, e la coscienza che gli mostrava trovarsi tutta nelle sue mani la fortuna di un'intiera famiglia, fu così forte e così lunga, da lasciar trascorrere sei anni prima di prendere una risoluzione. E se, nella notte del 19 marzo, ei non si fosse incontrato col giovine Giunio Baroggi in quello strano modo che sappiamo; se l'aver fatto offesa all'amico non gli avesse ingenerato il desiderio di ripararvi; se la stessa esaltazione mentale provocata in lui dall'orgia antecedente e dal tafferuglio notturno non lo avesse tolto a quell'eccessiva cautela che, mantenendo l'uomo nell'egoismo, lo fa spesso autore di molte ingiustizie; forse sarebbe trascorso assai tempo ancora prima che il segreto si sprigionasse da lui e tutto fosse rivelato al Baroggi e al Bruni.

E a quest'ultimo egli disse, dopo un lungo silenzio:

Ora cessate di fare il morto risuscitato, e provvediamo a regolar quest'affare, che è grave, tanto grave, che a dispetto della mia natura che sfiderebbe a duello anche il diavolo, e troverebbe la volontà di ridere anche nel dì del giudizio, pure di tanto in tanto mi sconvolge il buon umore e mi amareggia l'esistenza.

Il Bruni si tolse il ferrajuolo e la maschera; ripose questa nella scatola, la rimise nell'armadio, e:

Non c'è poi tanto da amareggiarsi la esistenza, rispose; i figli non sono solidali delle azioni paterne; e voi avete fatto il vostro dovere.

E se poi tu fossi pentito, soggiunse con slancio il giovane Giunio, tutto si può finir qui colla fiamma di questa fiorentina. Per campar la vita a mia madre è rimasto quanto basta; in quanto a me...

In quanto a te mi farai il favore di deporre quella carta nelle mani del signor Bruni. Nelle tue non è sicura, e so bene che saresti capacissimo di commettere anche questa pazzia. No. La giustizia deve avere il suo corso; e penso poi che se a me deve dolere della fama paterna... anche il marchese F... dovrà adattarsi a veder messi alla berlina tutti i suoi quarti di nobiltà... Che cosa vuoi? questo pensiero mi consola dell'altro, e mi rimette in allegria.

Ed or mi viene un'idea, disse il Bruni.

Quale?

Che si potrebbe finir tutto alla sordina, senza rumori e senza scandali, e senza che nulla ne trapeli al pubblico.

In che modo?

Con una transazione.

Parlate.

Da questa relazione risulta che fu il conte F... a tentar vostro padre ed a spingerlo a far quel che ha fatto.

Ebbene?

Andate dunque voi stesso in persona dal marchese e lasciategli andar di tutto peso sul capo la notizia di questa carta. Voi avete detto benissimo: se a voi preme la fama del nome vostro, a colui deve premere quella del suo... e tanto più che essendo gesuita e sanfedista, ha bisogno d'ingannare il mondo e d'imbiancare i sepolcri.

Caro signor Giocondo, meritate un bacio per questo consiglio: ed è così semplice ed ovvio, che non capisco come non mi sia già venuto in testa. Domani vado dal marchese. È in Milano?

Lo credo.

Come voglio divertirmi allo spettacolo della sua umiliazione!...

Per questo non sperate molto... Bisogna conoscerli costoro... Ma or mi viene un'altra idea... Io conosco un tale che ha delle ruggini colla moglie dell'avvocato Falchi... Quest'avvocato e l'avvocatessa devono sapere il come e il quando dal notaio Agudio furon venduti i documenti che si trovavano nell'archivio Macchi, e forse anche essi ne furon complici... Questo tale ha un segreto da spaventar l'avvocatessa; così egli mi disse. Or se una scoperta aiutasse l'altra, che bel colpo!

Ma chi è questo tale?

È un tal Granzini, già capomastro, ed ora appaltatore. Un birbone matricolato che ebbe mano nel fatto del Prina. Ma non bisogna aver paura d'imbrattarsi, e tutto serve.

Io lo conosco. È un socio della compagnia della Teppa.

 




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