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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMOTTAVO
    • V
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V

Il Suardi, intanto, fatto entrare in una antisala, stava guardando i ritratti della casa F... Marchio F... leggeva in uno scudo dipinto nell'angolo destro al basso del ritratto ad olio, ed era il marchese nella cui casa suo padre era nato e aveva servito. Comes F... lesse sotto a un altro ritratto, ed era il conte rapace, il vero ladro, il fur magister: stette poi a guardare a lungo il ritratto del nonno del marchese a cui doveva parlare.

Se l'erede ha il muso di costui, pensava tra sè, ora capisco perchè mi si costringe a un'anticamera così lunga; e fece due o tre giri per la camera impaziente. In questa entrò il conte Alberico.

Tu qui?

Qui tu? domanderò piuttosto. Il marchese è mio cugino ed è tutore di una mia figliuola. Ecco perchè troppo spesso devo sopportar la presenza di questo gesuita in cravatta bianca. Ma tu, che puoi vivere lontano da questi, che son come i succursali del Sant'Uffizio, che pessima tentazione hai avuta? Ora il marchese è là con un monsignore del Duomo: un bacchettone inferocito, che farebbe abbruciare tutte le ragazze quando son belle... e non darebbe quartiere che alle sciancate, alle gobbe, alle oppilate. Per accrescere il divertimento, c'è anche un oblato di S. Sepolcro, un erudito che non parla mai; e affinchè poi l'intingolo riesca più saporito, c'è quel chiacchierone superficiale di Francesco Pezzi, che mentre dà giù botte da orbo a quei poveri diavoli che cantano e ballano per cavarsi la fame, vien qui tutti i giorni a dare il turibolo sotto al naso del marchese... il quale l'ha preso a proteggere presso il direttore di Polizia. Figurati che società! Ti consiglio a tornare un altro giorno.

Non ho tempo d'aspettare; devo parlare al marchese oggi.

Ma dimmi tutto a me. Di che si tratta?

Si tratta che devo parlare al marchese, a lui, a lui solo, a lui subito, per un affare della più grande importanza... e sono stanco di fare anticamera; ma che diamine aspetta a tornare il servitore che mi ha annunziato? Teme forse il marchese che io lo mangi?... Non lo mangerò... Va dunque tu stesso a dirglielo.

Il modo riciso ed aspro, onde il Suardi aveva risposto al conte Alberico, determinò quest'ultimo a far l'ambasciata presso il marchese, in maniera da sollecitarlo ad accordare l'udienza domandata; e ciò anche pel desiderio di venire a saper subito egli stesso di che grave affare potesse trattarsi. Il marchese disse dunque al domestico di far passare in un'altra sala quel signore che aspettava.

Il servo fece il suo dovere; il Suardi fu introdotto in un'altra camera; poco di poi v'entrò anche il marchese.

La presunzione, che il vecchio Galantino avesse avuto la parte esecutiva in quella faccenda del testamento, che era la storia arcana di famiglia; e l'altra presunzione, che il conte F... ne fosse stato la parte principale e direttiva, per cento ragioni e cento indizj e per delle rivelazioni sfuggite ai vecchi servitori di casa, eransi radicate nella mente del marchese; ed eran passate al grado di convinzione, allorchè venne presentato al tribunale il testamento in originale. Un'altra sua convinzione poi era, che fosse stato lo stesso Galantino a metter fuori quel documento. A tali presunzioni e convinzioni s'aggiungeva la coscienza, per la quale ben sapeva il marchese di avere, a forza di corruzione, fatta violenza alla giustizia; e che però il vecchio Suardi, con cui era già stato in lizza per altre vertenze private, avrebbe potuto, sollecitato dal puntiglio, che è implacabile più del medesimo interesse, trovare il modo di far saltar fuori, senza proprio danno, tutta la cabala ascosa. Per tutte queste considerazioni, allorchè venne a sapere che il vecchio Galantino era morto, respirò e si tenne salvo, alla scomparsa di quella spada di Damocle, che per tanti anni gli era rimasta sospesa in sul capo.

Non ci vuole pertanto un eccessivo sforzo d'induzione, per imaginarsi che effetto dovesse produrgli quel biglietto sul quale era il nome e cognome di Andrea Suardi; che effetto ancor peggiore l'avere appreso dal conte Alberico B...i che quel nuovo Andrea era figlio del famoso Galantino, e che in un bisogno, poteva riuscire assai più formidabile dell'antico.

Questi effetti però, se furono acuti e lancinanti come le fitte di un dente molare guasto, investito da un colpo d'aria, furono anche passeggieri. Era troppo l'orgoglio suo, troppo grande l'idea che aveva della propria autorità e del nome influentissimo del proprio casato, troppo tenace la sua ostinazione, troppo profondo lo sprezzo che sentiva per chiunque fosse sorto dall'infima plebe, perchè egli pensasse in prevenzione a metter giù le armi in faccia a quel nuovo nemico. Tuttavia, se non ebbe questo pensiero in prevenzione, sentì però un astio furioso per quello che era un giovinastro, secondo le informazioni del maldicente Alberico; che era sorto dal più corrotto fango, ma che era milionario al par di lui; milionario e prepotente, e che veniva d'improvviso a turbare i nobili ozj del suo fastoso e rispettato ritiro.

 




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