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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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XIII In questo tempo, il conte parve più sopportabile in casa; ma ciò potè dipendere da un nuovo vizio datogli fuori: il vizio dell'ambizione. Presentato a corte, desiderò di essere qualche cosa, di esser fatto ciambellano, di aver decorazioni, di aver titolo di duca come il Litta, di esser fatto consigliere di Stato. E, a quest'intento, perchè quando una passione l'invadeva, ei le si dedicava corpo ed anima, si accostò al vicerè, e fu il suo lecca-zampa più fedele, più obbediente e più vile. Indovinando le voglie di lui, spesso, con impudenza codarda, fu il suo manutengolo in tresche amorose; spesso, e ciò con maggior danno del prossimo, o riferendo il vero che non poteva piacere al vicerè, o inventando cose compromettenti, con ingegno diabolicamente astuto mise in gravissimi imbarazzi conoscenti e amici. Ma il vicerè se lo adoperava, lo disprezzava anche, e non gli concesse mai nulla di ciò che con insistenza domandava; laonde nel 1814 il conte B...i se gli voltò contro, e sebbene respinto dai galantuomini, nondimeno, scaltro com'era e matricolato nella simulazione, riuscì a ingraziarsi al partito italico. Nella famosa giornata del Prina, a rendersi accetto al popolaccio inferocito, fisse e rifisse nel cadavere sfigurato il puntale dell'ombrello. Ritornati gli Austriaci, fu presto ai pranzi di Bellegarde; poscia alle feste di corte, quando vennero il vicerè e la viceregina. Nel tempo stesso però aveva fatto di tutto per aver parte nella congiura militare del 15; continuava a infastidire con proteste di devozione gli uomini del partito italico. Era una pecora codarda ed importuna, che ad ogni costo voleva introdursi tra le gambe dei cavalli generosi. Quando quelli di cui si vantava amico, lo respingevano con qualche sgarbo; quando non trovava il modo di ficcarsi dov'egli voleva, allora i malumori e le procelle e le tempeste casalinghe ricominciavano. Nel 1817 ci fu altro cambiamento di scena. Esso venne ad incapricciarsi bestialmente di una giovine cortigiana di meravigliosa bellezza, venuta allora a tender le sue reti ai paperi milanesi della classe nobile e ricca. Al solito, quel capriccio fu una mania e un furore. Mantenne lei, il padre, la madre, le sorelle di lei; le apprestò carrozze, cavalli, palco in teatro, villa sul lago di Como. Ma in breve venne a mancare il denaro per la moglie e per le figlie; ma i servi non eran pagati puntualmente; ma il fieno fatto passar nelle stalle della cortigiana, venne meno al servizio della casa. E qui i lamenti della moglie e le querele dei parenti di lei; e i furori di lui e minacce ogni sorta, e più che minacce, perchè una notte misurò sulla testa della disgraziata moglie un colpo colle molle del caminetto, intanto che vi stava attizzando il fuoco. Questo fatto, saputo dai parenti di lei, li determinò a procedere per una divisione legale di mensa e di letto. La petizione fu presentata ai tribunali. Chiamato a dar conto di sè, esso calunniò la moglie con oscenissime invenzioni; ma non operò che a danno proprio, perchè i giudici indignati sentenziarono per la divisione legale, per la pensione alla moglie, per l'interdizione di lui. Questa volta tutto camminò col trionfo della giustizia. Ma fu per poco. Essa morì in capo all'anno, lacerata d'animo, disfatta di corpo, ridotta a tal condizione che pareva una larva, anzichè una persona viva. Quando gli giunse la notizia della morte di lei diede un banchetto ai contadini della villa dov'egli erasi ritirato colla concubina, e la notte volle che il palazzo fosse illuminato a giorno. Vedremo in seguito, come, nonostante questi orribili precedenti, quest'uomo, in conseguenza di pessime istituzioni sociali, per alcune leggi improvvide, per una podestà lasciata con soverchio abbandono a chi non deve averla e non la merita; per l'onnipotenza del denaro che dà la ragione a chi ha torto; per la viltà degli uomini, complice troppo spesso l'autorità stessa, fu lasciato ancor padrone del campo: come un lupo, che, dopo essere stato lo spavento delle madri e dei bambini nel villaggio remoto, non si provvede a prenderlo nel laccio, nè a coglierlo coll'archibugio, ma lo si lascia ancora vagar liberamente per le campagne.
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