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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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XIX Il giovine che con tanta gentilezza di modi e di parola presentò il Suardi al nostro Giunio, era impiegato nell'alta gerarchia della polizia di Milano. Benché fosse noto che egli era ammesso alla famigliarità del barone Gehausen, allora direttore di quel dicastero, e amico intrinseco del Pagani, consigliere di governo e vicem-gerens del Gehausen, pure la sua presenza non solo era tollerata, ma ricercata nelle conversazioni delle case più distinte e nei crocchi degli uomini più intemerati e illustri. Per assai riguardi noi non ne diremo il nome, quantunque crediamo che riuscirà ben facile d'indovinarlo a quei lettori che non sono più giovani, ed hanno chi sa quante volte parlato con lui. Di aspetto simpaticissimo ed attraente, di modi gentili ed insinuanti, di ampio ingegno e di eguale coltura, segnatamente nelle cose della giurisprudenza, che era stata prima e diventò poscia la sua professione, era uno di quegli uomini che dalla natura tengono una specie di sanatoria di poter fare tutto ciò che vogliono, senza incontrare la così pronta e inesorabile censura pubblica. Chi avesse occupato il suo posto, anche senza il pericolo d'incontrar l'odio altrui (perchè quel posto era nella pianta del dicastero, e qualcuno bisognava pur che l'occupasse), sarebbe stato per lo meno gentilmente sfuggito da quanti non amavano il governo austriaco, e guardavano il palazzo della polizia con quell'apprensione indefinibile, ma molto simile all'istinto onde la lepre scansa il levriere; chiunque poi avesse avute le pratiche cittadine ch'esso aveva e fosse stato come lui tanto intimo delle persone ch'erano in uggia al governo, certissimamente che non l'avrebbero scelto a sedere tra il barone Gehausen e il consiglier Pagani. Ma egli aveva quel parlar facondo lusinghiero e scorto ond'è caratteristico l'Alete della Gerusalemme, sebbene non fosse sorto come Alete tra le brutture della plebe, chè anzi era nato da una famiglia onestissima e stimata, e non fosse perverso e calunniatore come quel personaggio del Tasso. Ma il suo parlar facondo e i suoi modi flessuosi e un viso dove pareva che la sincerità e il candore avessero posta la loro sede preferita, facevan di specchietto incantatore con tutti, e lo mettevan tosto nelle grazie di quanti avvicinava. Avendo fatto letture svariate, essendo fornito di straordinaria memoria, di percezione prontissima e sagace, parlava d'ogni cosa e in qualunque ramo, come se quello fosse l'oggetto appunto della sua professione. Dato il caso che, per modo d'esempio, il discorso fosse caduto sui cinti elastici, avrebbe dato da pensare anche al Pioroni, anche al Corbetta. Questa eccezionale qualità gli metteva nelle mani quasi a dire il biglietto d'ingresso per tutte le classi, per tutte le professioni, per ogni qualità di persone, sapendo opportunamente toccar le corde che oscillavano più grate all'orecchio di ciascuno. E codesto ei faceva anche senza intenti speciali, ma soltanto per appagare un bisogno spontaneo della sua mente e dell'indole sua. Se ne vogliamo una prova, possiamo ottenerla subito a proposito del nostro Baroggi. Dopo avere intrattenuto quest'ultimo colla relazione delle pratiche ch'egli aveva fatto presso il marchese F..., affinchè questi si piegasse a levar la querela mossa contro il Suardi; dopo avergli detto come la prima volta lo aveva trovato inesorabile, e la seconda invece, con sua gran meraviglia, arrendevolissimo, al punto che gli parve avesse più volontà il marchese di far mettere in libertà il Suardi, che questi di uscire all'aperto; dopo aver dato le più belle speranze al Baroggi relativamente all'eredità in contestazione pel fatto inatteso che il notajo Agudio aveva scritto una lettera al direttore Gehausen, e un'altra al presidente del Tribunale Civile, informandoli come egli avesse consegnati nelle mani dell'avvocato Gambarana e dell'avvocato Falchi dei documenti importanti trovati nell'archivio del defunto dottor Macchi, dopo aver risposto ad alcune domande del Bichinkommer, che in quel punto erasi presentato per congratularsi e stringer la mano al Suardi: Ma io scommetterei, concluse, che con quell'anima di poeta che avete e coll'amore che portate all'arte e alla gloria, voi cedereste tutti i vostri diritti alla ricchezza che probabilmente vi aspetta, per assaporare un giorno solo di compiacenza letteraria simile a quella onde oggi esulta il nostro Tommaso Grossi, che siede laggiù, come potete vedere, in mezzo a quella schiera numerosa di donne che gli fanno crocchio intorno, e lo guardano e lo esaminano e lo perlustrano da tutte le parti per vedere se chi ha scritto l'Ildegonda, e in questi giorni ha saputo far versare tante lagrime alle nostre belle impietosite, abbia gli occhi, o il naso, o la bocca diversi da quelli di tutti gli altri. Sono tre dì che la novella è uscita, e l'edizione è quasi tutta smaltita. Ben m'immagino che voi l'avrete letta e straletta. L'albero del Conciliatore, osservò il Baroggi, sebbene vandalicamente troncato, comincia a dare oggi frutti saporiti e maturi; in aprile uscì il Carmagnola, in settembre l'Ildegonda. Due battaglie e due vittorie in un anno solo, non è poco, per Dio; e non so che cosa dirà il Monti, che vedo laggiù in carrozza in compagnia dell'avvocato Marliani. Il Carmagnola non fu che una battaglia indecisa. Ma la vittoria compiuta è dell'Ildegonda. Il genio di Napoleone sfolgorò più assai nei capolavori sventurati delle battaglie di Francia che nell'orbata fortunatissima di Marengo. Che cosa vorresti dire? Ch'io vorrei aver fatto fiasco con Manzoni, piuttosto che aver trionfato con Grossi. Mi conforta però che il campo dell'arte non è quello della politica e della guerra. Qui l'esito momentaneo è tutto; là, se non è duraturo, non può deporre nessun germe che fecondi l'avvenire. Dunque voi non siete, un ammiratore dell'Ildegonda. Immensamente l'ammiro, e mi godo che l'esito suo fortunatissimo troncherà tutte le questioni di colpo; ma sostengo altresì che gli elementi legittimi del trionfo completo della rivoluzione letteraria son deposti soltanto nel coro del Carmagnola. Potete aver ragione, ed io non m'attento di confutarvi. I paragrafi del codice non mi danno tempo di percorrere da padrone il campo vostro; però, senza poter percorrerlo, mi basta la vista per misurarlo, e da tutti i sintomi mi par di vedere che in tutte le cose nostre è incominciata una primavera novella. Guardate là a quel circolo di persone che stanno intorno al Grossi... La combinazione ha voluto che in questo momento si trovino riuniti tutti i portabandiera del nostro avvenire; parlo del pensiero, e delle arti, e della civiltà. Se mai vi fosse Manzoni, vi prego a farmelo conoscere Il Manzoni non c'è. Ma v'è uno de' suoi più grandi amici, Giovanni Torti; e v'è Pietro Borsieri, giovane di altissimo ingegno e che, come saprete meglio di me, sta attendendo a un gran lavoro letterario... una trilogia intitolata: Torquato Tasso. Che non compirà mai. Io ebbi a parlar seco più volte, ma non mi sembrò di trovare in lui le più legittime qualità dell'ingegno. Ha molta memoria, molta facilità di parola, una grande smania di primeggiare nel crocchio e di brillare contraddicendo a tutto e a tutti. Posso sbagliare, ma costui non farà mai nulla di veramente grande in letteratura. L'opuscolo che pubblicò qualche tempo fa, ha spolvero, e chiacchiera superficiale; ma nulla più. All'età sua (credo bene ch'egli abbia passato i trentacinque anni), bisognerebbe aver già dato fuori qualche frutto maturo. Costui è uno di quelli che han l'arte di metter in movimento la fama, facendo poco o nulla, e tenendo sospeso il mondo con grandi promesse e colossali frontispizj. Sapete piuttosto, egregio signore, chi, a mio parere, sarà per far parlar molto de' fatti proprj?... è Giovanni Berchet. Anch'egli ha i suoi trentasei anni, e secondo la vostra opinione, non avendo ancor fatto nulla, non potrà più far nulla in avvenire. Badate però a tutto quello che ha scritto nel Conciliatore sotto il pseudonimo di Giovanni Crisostomo, e forse sarete per dir meco ch'egli ha già fatto moltissimo; nella sfera almeno della teoria, se non in quella dell'esempio pratico. Ermes Visconti e lui sono i veri evangelisti della nuova legge che si promulgò nel mondo letterario; Manzoni è il Cristo che illumina coll'esempio, lasciando agli altri l'incarico di dettar la legge. Per questa parte io credo che il Visconti sia il più grande di tutti. Divido perfettamente la vostra opinione; ingegno straordinario, conoscitore di tutte le letterature, acuto, penetrante, intollerante, dalla stessa eccentricità dell'indole portato necessariamente al novo e all'intentato, egli è forse quegli che primo gridò l'en avant a tutta la nostra gioventù. Ma temo ch'ei sia per somigliare a quegli eroi che cadono sotto alle mura prima che sia compiuto l'assalto; o a quegl'infusorj che rimangono estinti nell'atto della fecondazione. Vi sono gl'ingegni che additano, e gli ingegni che fanno. I primi hanno il merito, i secondi la ricompensa. Benissimo detto. Ma, senza i secondi, i primi sarebbero inutili. A che sarebbe valso 1'Orlando del Bojardo, senza il Furioso dell'Ariosto; a che la leggenda del Faust senza il dramma di Goethe; a che il crescendo di Generali, senza Rossini che lo ha fatto trionfare? A proposito di Rossini, guardate che entrò adesso Carlo Porta. Mi piace quell'a proposito. Carlo Porta è davvero il Rossini della nostra poesia vernacola. Questi due ingegni si assomigliano così negli ultimi risultati a cui portano l'arte loro, come nelle precedenze storiche che li hanno preparati. Il Maggi, per l'originalità e la potenza dell'invenzione, è il più grande poeta in vernacolo che mai sia esistito; come in musica il Marcello, che viveva contemporaneo al Maggi, è il più sublime, il più originale e il più lirico. Ma Rossini e Porta sono più trasparenti, più veloci, più lusinghieri, più popolari. L'arte, che non è accessibile alla moltitudine, quasi cessa di essere arte e però rimane solitaria e non compensata. Se alcuno ci udisse, forse si riderebbe nel sentirci a mettere in compagnia Maggi e Marcello, Porta e Rossini. Ma l'arte è sempre la stessa, nonostante l'infinita varietà de' suoi mezzi; e chi si sgomenta dei troppo arditi ravvicinamenti, non è nato nè all'arte nè alla critica. Ma chi è quel caporale dei granatieri del Bellegarde, che ora sta parlando con Grossi? È un giovanotto di Bergamo, che ha studiato musica sotto Simone Mayr. Egli, non potendo andar d'accordo col padre, il quale non voleva assolutamente che si dedicasse alla musica teatrale, uscì di casa e si fece militare un anno prima della coscrizione. Il Mayr però, che è il più buon tedesco del mondo ed è il padre dei suoi scolari, lo ha raccomandato caldamente al general Bubna, e questi ha dato ordine che si desse tempo e modo al giovane granatiere di scrivere pel teatro. Ma sarebbe mai quel Donizetti, che scrisse già il Falegname di Livonia per il San Moisè di Venezia; e che, quest'inverno, fece fanatismo a Mantova colle Nozze in villa? È lui appunto. Il Falegname di Livonia l'ho sentito, ed è una musica piena di vivacità e d'estro. Or chi direbbe che un granatiere sì grande e grosso e rubicondo, possa essere un maestro melodrammatico? ma la musica dev'essere un'arte che ingrassa come il lichene. Cimarosa era tondo al pari di un pallone; Jomelli aveva parti così colossali, che ci volevan due scranne per dargli agio a sedere. Rossini ha un faccione sì paffuto e lucente, che non si sa capire come abbia potuto far piangere Desdemona a quel modo, e dar tinte così terribilmente tragiche a tutto il terzo atto dell'Otello. Le battaglie dello spirito possono essere dissimulate anche dalla più gioconda maschera carnale. Al genio basta anche un momento fuggitivo, in cui gli si riveli il dolore, o un altro sentimento, per comprendere tutta l'estensione ed applicarlo all'arte. Anzi, la condizione essenziale del vero genio artistico è questa. Il genio è un'arpa a mille corde. Ciascuna, alla sua volta, manda il suo suono. La luce dell'umanità si decompone nell'anima sua in raggi infiniti, o, per dir meglio, i raggi infiniti dell'umanità vanno tutti a metter capo nell'anima sua, che li rimanda e li riverbera e li restituisce al mondo sotto le molteplici forme dell'arte. È a questo modo che si comprende Shakespeare. È a questo modo che si dee comprendere Rossini.
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