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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO PRIMO
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IV

La contessa Clelia era sola nella sua stanza da letto, di cui gli addobbi e gli ornamenti, sovraccarichi di sfoggiata ricchezza, fuor delle leggi del buon gusto, è più facile che un uomo d'immaginazione se li dipinga, di quello che li descriva un galantuomo di null'altro temente che di riuscir nojoso a' lettori. - Tuttavia in quelle linee contorte e peccaminose del barocco, e in quell'oro condensato senza risparmio in forme d'ornamenti, c'era qualcosa che poteva parlare alla fantasia, e tanto più in quanto in mezzo ad essi spiccava una donna così severa e così bella, bella di quella bellezza di rigida perfezione che lascia placidissimo il cuore, ma che provoca lo spirito d'osservazione in menti avvezze ad esaminare le opere dell'arte. Pure non si potea dar figura che fosse meno adatta a quella stanza; chè l'una e l'altra rappresentavano due stili di due periodi opposti e nemici tra loro. Il volto della contessa apparteneva a quello stile greco-romano che non sopporta transizioni di scuola; e siccome in quell'ora in cui vegliava, ella si era lasciata cadere l'alta acconciatura de' capegli, dai quali, ravviati un momento prima dalla cameriera, era scomparsa anche la cipria, così a quelle volute contorte del Borromini e del Fumagalli faceano più cruda antitesi quella fronte quadra, quei piani delle guancie modellati a rigore, come quelli d'un cammeo antico, quel mento romano che richiamava il mento appunto della Clelia, quando passa il Tevere, disegnata dall'improvvisatore Pinelli, quel naso rigorosamente giusto e ad angolo retto, il quale insieme cogli occhi grandi e neri e di lento giro, e colle palpebre prolisse e co' sopraccigli arcuati e folti, più forse che nol comportasse la delicatezza muliebre, generava quel tutto che sarebbe necessario a dipingere una Minerva convenzionale. Occhi tuttavia e sopraccigli e palpebre, che pur di sotto al rispetto quasi disgustoso che imponevano, e alla fuga in cui mettevano ogni pensiero giocondo e gaio, potevano, in certi momenti e a seconda di certe nature, provocare strani pensieri e sommovere il senso voluttuoso.

La fronte però, quasi sempre corrugata, di quella gentildonna e certe protuberanze che, preziose sotto alla mano del frenologo, recano sempre offesa alla completa bellezza per l'occhio dell'artista, potevano venir in soccorso onde spegnere la seduzione. - Ma da quella fronte, senza saperlo, i rigidi parenti (di cui, per esser fidi ad un sistema di prudenza, sopprimeremo al solito il nome del casato), avean preso consiglio per dare alla fanciulla Clelia una educazione che fosse distinta oltre il consueto, a ciò poi singolarmente sollecitati da un dottissimo abate, un tal Carlantonio Tanzi, stato precettore al fratello della contessina, il quale, non trovando più nessuno a cui comunicare la sua dottrina, pensò fare di lei un oggetto di esercitazione scientifica pe' suoi vecchi anni, e una meraviglia del gentil sesso. - Ad ogni modo, l'abitudine di introdurre le fanciulle a discipline non fatte pel sesso grazioso, nel secolo passato, secolo delle esagerazioni e delle cose a rovescio, fu comune più che non si creda. - Era il barocco applicato all'educazione, per cui alle fanciulle si gonfiavano le teste a spese del cuore, e si riduceva la scienza a ricovrarsi per forza all'ombra de' guardinfanti. Molte donne, nel secolo passato, studiarono filosofia, giurisprudenza, matematica; talvolta, qualche stragrande ingegno, fece parer sapienza cotale pazzia, e valga per tutte quel prodigio della Gaetana Agnese; ma più spesso furono anomalie di sterilissima dottrina, rigonfiata da orgoglio infelice. La contessina Clelia pertanto, dal dotto abate che non aveva cavato nessun costrutto dal fratello di lei, fu incaricata di far le sue veci e di rappresentarlo al consesso dei dotti. - A dieci anni la contessina, oltre alla lingua francese, che si parlava abitualmente dal conte padre, il quale tante volte s'era trovato a Parigi confuso nella folla dei cortigiani del gran Luigi, conosceva la lingua latina; e il prof. Branda, quello col quale ebbe accanite dispute il giovane Parini, fu invitato dal prete Tanzi a sentir la contessina Clelia tradurre l'orazione di Cicerone Pro Archia e il Sogno di Scipione, e recitar a memoria uno squarcio di Lucrezio De rerum natura. Non istupisca il lettore: chè Voltaire mandava già il figurino da Parigi; e il professor Branda, lodata al conte padre la contessina miracolosa, consigliò l'abate Tanzi ad insegnarle anche la lingua greca... e la lingua greca fu imparata; poi quand'ella ebbe sedici anni, apprese matematica insieme col giovane Paolo Frisi, quello che fu in seguito autore del trattato De gravitate universali corporum, e in questa scienza, ajutata da un naturale ingegno e sollecitata da quelle prove di distinzione onde si vedeva circondata ogni qual volta trovavasi colle altre fanciulle patrizie sue coetanee, fece tali progressi, che fu introdotta persino all'intima confidenza di Urania; di modo che nella notte a cui ci troviamo, quantunque la contessa pensasse assai più di quello che leggesse, pure si teneva sul tavoliere di lapislazzulo, insieme coll'opera di Boscovich - De maculis solaribus, e all'altra d'Eulero Novæ tabulæ astronomicæ, il famoso trattato sulla processione degli equinozj, che d'Alembert aveva pubblicato due anni prima; del qual d'Alembert ella sapeva tener dietro, senza scontorcersi, alle dimostrazioni; tantochè avrebbe potuto ripetere ad un consesso di dotti, come gli assi dell'ellisse descritta dal polo dell'equatore sieno fra loro come i coseni dell'obliquità dell'eclittica ed i coseni del doppio di questa obliquità. Ma i coseni dell'obliquità dell'eclittica non bastavano a render felice una bella donna di venticinque anni. Sette intanto ne eran corsi da che era stata fatta sposa all'ex-colonnello conte V..., senza mai averlo veduto prima, senza avere dell'amore e delle questioni aderenti, altre idee che quelle che sono depositate ne' classici latini; idee che non poterono avere uno sviluppo intero, compresse come vennero dall'algebra e dalla geometria, due scienze più infeste della brina ai primi germogli dell'affetto. Sposò dunque l'ex-colonnello che aveva quattordici anni più di lei. Egli vantava un gran casato, una grande ricchezza, e brillavagli inoltre sull'uniforme di parata un segno che attestava il suo valor militare. Era serio, era dignitoso, parlava poco, ma dalle poche parole trapelava la stima profonda che aveva della giovinetta prodigiosa. Ond'ella, quando i rigidi parenti proposero il matrimonio, consentì e provò anche qualche sussulto che non veniva nè dalla geometria nè dall'algebra, ma fu un sussulto di brevissima durata, e la scienza dovette colmare i vuoti lasciati dall'affetto vero. D'altra parte è a tener conto d'una cosa. Non tutte le creature umane raggiungono la maturanza un punto medesimo. L'abitudine agli studi severi, quel non riposarsi mai su pensieri e desiderj erotici, aveva ritardato il completo sviluppo della contessa. Fu necessario il tempo, più che il sole di un'anima appassionata, a togliere l'acerbità a quel frutto. La giovane contessa era alta, era ben fatta, era bella - parliamo d'allora che andò a maritarsi - ma le mancava quell'arcana virtù della donna, che non si sa da chi e da che, e come e quando venga provocata.

Noi non possiamo dire precisamente in qual periodo della vita della contessa Clelia abbia incominciato codesta misteriosa virtù, ma pare che sia stato tra l'anno ventiquattresimo e il ventesimoquinto della sua età; nessuno però s'accorse di questo, perchè nessuno poteva sospettare che fosse una virtù l'eccessiva acerbità ond'ella esprimevasi parlando sia cogli uomini sia colle donne. Un fatto solo notarono tutti, e uomini e donne: ch'ella era cresciuta in beltà. S'era fatta più maestosa nel volto, s'era arrotondata ne' contorni del corpo, soltanto negli occhi era diventata più seria. Del resto, chi mai non potesse capacitarsi del come una donna possa essere più bella a venticinque anni che a diciotto, sappia che la contessa Clelia non aveva mai avuto figli; e che i parti e il latte guastano un bel corpo di donna più che i classici latini e i trattati d'astronomia. Quantunque però crescesse di maestosa bellezza e di attraenti rotondità, non per questo nessuno presumeva che la gioventù galante le si facesse dappresso. Ella non era che ammirata quando non era temuta, ed era temuta quando non era odiata; chè vi sono tali beltà a questo mondo, sia maschili sia femminili, che raccolgono tanto meno quanto più hanno di perfezione nel loro aspetto. Sono conquiste considerate al di sopra di ogni forza volgare, epperò lasciate in disparte come imprese disperate; donne condannate tutta la vita a desiderare e ad essere desiderate, a tormentare e ad essere tormentate per finire i vecchi anni tra le reminiscenze di una gloria vanitosa senza felicità. Nessuno adunque dei bei giovani di Milano osava avvicinarsi alla contessa, quantunque taluno de' più audaci sì fosse azzardato persino a dire all'amico: Che bella donna!! Nè è da credere che facesse paura il grave e superbissimo suo marito ex-colonnello, tutt'altro: la paura non veniva che dalla maestà soverchia della bellezza di lei, e da quelle parole piene di sapienza riposta ond'ella faceva ammutolire tutti quelli che le si avvicinavano, e dal sospetto ch'ella fosse più sapiente ancora di quello ch'ell'era. Ma come potè adunque un tenore?... Noi stavamo in aspettazione di questa domanda, però la soluzione del problema eccola qui.

Nel famoso 18 brumajo, Bonaparte, che pure era passato imperterrito attraverso alla flottiglia inglese, fidente nel proprio destino, per giungere in tempo a Parigi onde recarsi in mano le redini di tutta la cosa pubblica; quando si trattò di abbattere il Consiglio de' cinquecento, si smarrì e parve minor di sè stesso, e nessuno de' suoi coraggiosi fautori, nemmeno il fratello Luciano, avrebbe osato disperdere quel formidabile Consiglio. - Chi seppe far tanto? Colui che aveva men testa di tutti, colui che ripeteva il suo coraggio dalla spavalderia militaresca, e affrontava il pericolo per non saperne misurar le conseguenze. Fu Murat, che, alla testa de' suoi granatieri, a bajonetta in canna, entrò nel Consiglio, e i membri dovettero discendere dalle finestre... con che le sorti di Napoleone furon fermate. I grandi fatti giovano a spiegare i piccoli, e viceversa, però la contessa Clelia che riusciva a' cavalieri milanesi più formidabile del Consiglio dei cinquecento, non fece nessuna paura al tenore Amorevoli, il quale anzi s'incalorì delle difficoltà, e fatto baldanzoso dalla lunga lista de' proprj amori fortunati e reso intraprendente dalle sopracciglia folte della contessa che gli richiamavano le sue belle compatriotte di Trastevere (perchè il tenore Amorevoli era nato a Roma), fece quello che fece poi Murat, mezzo secolo dopo, col Consiglio dei cinquecento.

Nelle serate musicali che si tenevano o nell'una o nell'altra delle case patrizie di Milano, Amorevoli era pregato, supplicato a intervenire, ad imbalsamar tutti quanti col suo dolcissimo canto. La contessa Clelia, come di prammatica, era sempre intervenuta a quelle serate, e ad onta dell'algebra che le faceva usbergo al cuore, si sentì penetrare da quella voce, nè fu la sola a subire quel fascino. Tutte le gentildonne leggiadre che si trovavan là a bever l'onda soave, avrebber battuto moneta falsa per quel fatal Romano, il quale le saltò via tutte e s'accostò alla sola contessa Clelia. - Amorevoli non era uomo di sterminato ingegno - nessuno durerà fatica a crederlo; - non era troppo forte in letteratura - nemmen questo è improbabile; - anzi bisognava si facesse ajutare per afferrar bene il concetto dei paragrafi de' contratti teatrali, e più ancora per comprendere alcune strofe dei libretti di Metastasio; ma l'arte di far all'amore è appunto un'arte, e non una scienza; è in essa che l'istinto va innanzi a qualunque studio, e l'istinto conosce le vie segrete e le percorre da padrone; d'altra parte Amorevoli non mancava d'una certa drittura naturale, e quando parlava, parlava bene e con quell'accento là dei romaneschi...; lingua toscana in bocca romana... il proverbio è antico, e i proverbj sono la sapienza del genere umano... e la verità di quel proverbio riuscì fatale alla contessa... Infelice!!

Perfino il gobbo Tacchinardi, gobbo e vecchio, fece impazzir qualche donna col veleno imbalsamato della sua voce: pensi or dunque ognuno che brecce doveva aprire Amorevoli, giovine di ventisei anni, bello, elegante, con certi occhi in cui la penetrazione pareva nuotare nella voluttà, con una voce che, anche allora solo che parlava, era già musica, e con quegli accorgimenti del serpe flessuoso che avvolge e stringe pur continuando a dispiegare la pompa della sua variopinta veste. Così la scienza fu investita dall'ignoranza, e la matematica fu messa a giacere dalla melodia. - Il lettore non può immaginarsi il dolore che noi ne proviamo.

 




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