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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMONONO
    • II
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II

Nel tempo che Francesco I venne in Italia, egli, come tutti i Milanesi, aveva di quell'imperatore quel concetto che si esprime col disprezzo. Ancora non sapevasi nel mondo quanto, rimanendo pur sempre ignorante e inetto a qualunque lodevol cosa, colui fosse astuto e crudele. Prima del 1820 tutte le qualità morali e intellettuali dell'imperatore vennero espresse con inarrivabile breviloquenza da quella parola che finiva in on, uscita dalla bocca dell'ombra di Prina. A questo giudizio dei Milanesi dava appoggio il giudizio stesso degli Austriaci e dei Viennesi. Nel tempo che l'Austria era stata messa al più duro partito dalle vittorie di Napoleone, sul piedestallo della statua equestre di Giuseppe, nella piazza di questo nome a Vienna, fu posta una iscrizione che diceva così: "Discendi, o imperatore Giuseppe, dal tuo cavallo di bronzo, e riprendi le redini del governo. Francesco starà seduto immobile al tuo posto finchè dureranno i travagli dell'impero." Or quando Francesco fece il viaggio in Italia, venne, vide e non fece nulla; onde i Milanesi ribadirono il giudizio della Prineide di Grossi. Molti epigrammi corsero allora in pubblico intorno a lui, e il nostro Bichinkommer, che non conosceva l'arte di fare versi giusti, ma che facilmente infilava la rima ed era poeta nell'intimo, senza palesarsi mai con nessuno, come al solito, ne fece parecchi che fecero ridere tutta la città. Per citarne alcuni, egli attaccò una notte al piedestallo dell'uomo di pietra questo distico, che fu letto a lume di sole:

Tutti si lagnano; io non mi lagno

Perchè ho Francesco per compagno.

Un altro dì, quando si seppe che Francesco I, dopo avere visitato tutti gli stabilimenti di Milano, aveva lasciato ogni cosa come prima, scrisse egli stesso sui muri delle vie più frequentate:

Nuova aritmetica di fresco:

Zero e zero fa Francesco.

Medesimamente, ad un serraglio di belve ch'era stato aperto al pubblico in San Romano, appose per affisso il motto:

"CONSIGLIO AULICO IN VIENNA."

Ma quel che maggiormente fece chiasso e corse di bocca in bocca per gran tratto di paese, fu il seguente epigramma ch'egli dettò quando, partito Franceschino dall'Italia, ognuno commentava l'accoglimento che gli era stato fatto alla sua venuta ed alla sua partenza.

L'epigramma era questo:

Verona, città giuliva,

L'applaude quando arriva;

Milano, che sa l'arte,

L'applaude quando parte;

Le altre città, che la pensan bene,

L'hanno in c... quando parte e quando viene.

I versi non sono tutti versi; ma le rime ci sono e la sostanza fa le spese della forma. Nè si limitava ai versi, ma metteva gli scherzi in pratica, e sempre con qualche intento che racchiudesse una lezione.

A una festa che il Casino dei negozianti aveva sfoggiato, per festeggiare l'arrivo delle LL. AA. il vicerè e la viceregina, le carrozze di corte tenendo ingombra tutta la via di San Paolo con insopportabile disagio degli accorrenti, egli si presentò al battistrada, e parlandogli in lingua tedesca, ch'egli aveva imparato fin da fanciullo, appartenendo, come sappiamo, ad una famiglia d'origine svizzera tedesca; gli ingiunse, mettendo innanzi un ordine del conte Settala, gran cerimoniere, di far tornare tutte le carrozze al palazzo di corte. Il battistrada, sentendosi parlar tedesco e col piglio autorevole di chi comanda perchè sa di poterlo fare, obbedì e con tanta esattezza, che il vicerè e la viceregina col seguito, quando uscirono dal Casino, non trovarono più le carrozze. Non si può immaginare il furore in cui salì l'ispettore delle stalle vice-reali, e il rabbuffo che ne ebbe il battistrada; e il pestar dei piedi onde si sfogò l'impazienza della viceregina italica, indarno tentando d'acquietarla quel sornione ipocrita dell'arciduca Ranieri, che, aspettando senza far motto, andava dondolando il capo come un orso bianco del Baltico.

Nè solo esso prendeva di mira il governo e i personaggi pubblici, ma si dilettava di ferire colle sue canzonature anche le persone d'ordine privato. Infiniti aneddoti potremmo raccontare in proposito da farne un opuscoletto, ma li teniamo in serbo per qualche compilatore d'almanacchi, e tiriamo innanzi.

Allorchè, nel 1818, ei tornò a Milano, la Compagnia della Teppa era già salita in qualche fama, ed egli, mentre si meravigliava che la polizia le lasciasse commettere tante soperchierie impunemente, e, mentre in cuor suo disapprovava che la tranquillità pubblica venisse turbata a quel modo senza ragione e senza scopo, volle nondimeno aggregarvisi, nella persuasione che col tempo avrebbe forse potuto recare anch'essa qualche utile. Sono i più prepotenti e più maneschi della città, egli rifletteva, che imparano la solidarietà dell'associazione; quantunque per fini indegni, pure si avvezzano ad una scuola perpetua di coraggio e di pericoli; e con tutto ciò l'autorità e la polizia li lascia fare, nell'idea che, finchè la parte più giovane e più ardente del paese spreca le proprie forze nei vizj, nei bagordi e nei tafferugli, il governo può dormire più tranquillo i suoi sonni. Ma il governo s'inganna; e quando venisse il bisogno, questi giovani educati a dare alle gambe dei passeggieri come cani da presa, possono diventar formidabili per qualche cosa migliore. Tutto dipende dal comando e dal fischio del padrone. Così il Bichinkommer la pensava, e così una sera, trovandosi a mangiare all'osteria del Galletto fuori di porta Vercellina, dove quei della Teppa solevano radunarsi quando in estate tornavano dal bagno o dal nuoto nella vicina Olona, egli fece conoscenza con essi, e fu giudicato da tutti loro aver tali qualità da meritare di essere piuttosto un generale che un gregario.

Nei primi giorni ch'egli entrò in fazione con alcuni di loro, diede un diverso avviamento alle imprese, e avvennero cose che non dispiacquero nemmeno ai cittadini più tranquilli e più timorosi della bastonatura notturna. Fu per lui infatti se una mattina la folla si accalcò alle sbarre di quel tratto di naviglio che corre dal Palazzo del Senato a Porta Nuova, per vedervi galleggiar sull'onde, come se fosse un canotto americano, una garitta dipinta in giallo e nero. Quella navicella di nuovo genere non voleva dir nulla per sè; ma il gran ridere che faceva il pubblico accorso, dipendeva da ciò, che sapevasi come quei della Compagnia della Teppa, colta l'occasione che la notte era stata piovosa e che la sentinella col suo cappotto erasi messa al coperto, presero la garitta e la gettarono con gran disinvoltura nel naviglio, tutt'insieme, guscio e lumaca; con gran stupore di quel biondo gregario del Baumgarten, il quale, temendo l'acqua piovana, si trovò invece inzuppato in un bagno più fitto, e buon per lui che nelle acque del patrio Inn aveva imparata l'arte del nuoto!

Esposti questi preliminari, con cui il lettore può farsi un'idea abbastanza compiuta del carattere eccezionale di questo Bichinkommer, aggiungeremo qui, che egli, nello stato maggiore di Beauharnais, per motivi di servizio, aveva avute intime relazioni col colonnello Baroggi, con sua moglie e col figlio; che nel 1815, avendo il colonnello avuto parte nella congiura militare, fu per un consiglio avuto dal Bichinkommer, se potè fuggire in tempo e riparare a Parigi. Aggiungeremo altresì, ed è ciò che più monta, che a Milano spesse volte andava a far visita al figlio del Baroggi, in casa del Bruni; ch'egli era per i rapporti della Compagnia della Teppa in grande intimità col giovine Suardi. Ora, senza dilungarci a dipanare tutti i fili accessorj della matassa, diremo che, dopo il fatto dell'arresto del Suardi, egli ebbe a trovarsi insieme col Bruni e col Baroggi appunto; che, saputo da essi com'era corso il fatto, e le cagioni che l'avevano provocato, e tutti gli antecedenti del marchese F..., dell'avvocato Falchi, del consigliere F..., del notajo Agudio, meditò un piano di guerra affatto nuovo, il quale ci lusinghiamo farà strabiliare anche il lettore più preparato alle sorprese.

 




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