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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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XX Il Baroggi non aveva finito di pronunziare il nome di Rossini, che la banda del reggimento Bakony, per indulgenza al gusto pubblico, si mise a suonare la sinfonia della Gazza ladra; diciamo per indulgenza, perchè il maestro direttore di quella banda, cresciuto alla scuola esclusivamente germanica e alla frazione di quella scuola stessa che farebbe inscrivere la disciplina dei suoni tra i rami della facoltà matematica, detestava Rossini, e perchè questo, alle prove della Bianca e Faliero, colla sua celia mordace lo aveva preso di mira, e aveva fatto ridere alle sue spalle tutto il palco scenico. Allorchè si fu al passo di carattere della celebre sinfonia, dove l'immaginazione, la forza, l'eleganza, la grazia si fondono in quel complesso maraviglioso, non raggiunto fin qui che da Rossini, e, mettendo in effervescenza il sangue, par che comunichi allo spirito insolite attitudini: Ecco l'arte, esclamò il Baroggi, alzando gli occhi e sorridendo coll'esaltazione dell'ebbrezza; ecco l'arte, l'arte vera, l'arte sola; quella che, costringendo a commuoversi anche il maestro della cantoria del Duomo, perchè i sensi non hanno scuola nè sistemi e si esaltano a loro beneplacito senza domandare il permesso a nessuno, arriva ad agitare, senza che ne abbia neppur la coscienza, anche il facchino di dogana, anche il beccajo. Se l'arte non arriva a tenere nel proprio dominio gli estremi della scala intellettuale dall'alfa fino all'omega, è una cosa bastarda, che importuna i galantuomini, e non ha nessuna ragione di essere; un maestro che tedia e disgusta e tormenta gli uditori in nome della dottrina e del diploma ottenuto dal padre Mattei, vorrei che fosse contemplato da qualche paragrafo del codice penale. Così parlando, si misero a passeggiare in su e in giù pei viali, in mezzo alla folla ognora crescente, tra la quale incontrarono Pompeo Marchesi. Addio, Giunio. Addio, Pompeo, come va coll'arte? Potrà andar bene col tempo, ma ora le acque son basse; vengo anch'io al Monte Tabor, perchè con cinquanta centesimi mi par di esser ricco. Canova è morto; e tutte le arti si rinnovano. È il momento questo di tirare alla fortuna che passa veloce. Quel diavolo che ha fatto questa musica, ha sfidato il passato che pareva insuperabile, e ha vinto. Tutta Milano è sottosopra; e le ragazze singhiozzano e si tormentano se han le guancie rubiconde, perchè Ildegonda doveva averle pallidissime; Hayez quest'anno ha trionfato nelle sale di Brera, e, lasciando l'antichità, ha fatto il suo ingresso nel medio evo. Non si parla più d'Appiani, meno di Bossi. Camuccini è un pedante; Benvenuti è convenzionale. Landi e Serangeli fanno pietà; Palagi si arrabatta nel circo per atterrar l'avversario di Venezia; ma non ci riuscirà; or dunque tocca a te a dar le mosse al terremoto; e va pur là, che non sei uomo da perderti nella polvere. Non pare nemmeno a me; e Pompeo Marchesi, coi capelli dietro l'orecchio, cadenti sulle spalle, colla testa alta e come fiutante l'aria del proprio avvenire, tirò innanzi facendo far la ruota a un modesto bastone, di quelli che si chiamavano pagadebiti, perchè anch'esso, insieme col pittore Comerio, apparteneva alla Compagnia della Teppa; memori e orgogliosi entrambi delle pericolose fazioni compiute quand'erano studenti a Roma, dove per aver insultato un cardinale, sarebbero stati chiusi in Castel Sant'Angelo, se il console di Francia non li avesse fatti fuggir nottetempo. E il Baroggi tirò innanzi passeggiando e chiacchierando, e di lì a poco s'incontrò in due giovani da lui amatissimi: il Bazzoni Giunio di Milano e l'abate Giuseppe Pozzone; nato il primo a lasciar traccie luminose nella poesia italiana, se l'indole austera, e una modestia eccessiva, e una misantropia selvaggia non gli avessero impedito di alzare più audace e più lungo il suo volo; e il secondo, carissimo anch'egli alle Muse, di gusto più squisito, e che se l'abito sacerdotale non gli avesse contristata la vita, avrebbe avuto salute più florida, vita più lunga e fama poetica più duratura. Con questi il Baroggi continuò parlando di letteratura e discutendo sul merito del poeta Redaelli di Cremona, morto giovanissimo due anni prima, e già celebre allora per alcune anacreontiche leggiadre, per delle terzine sui disastri della campagna di Russia; ma specialmente per un componimento a tinte lugubri, in cui si cominciava ad aprire il varco alle nordiche influenze, alla moda dei singulti disperati, e dove si accennava che il chiaro di luna, le ombre, le upupe e le strigi immonde, dovevano essere i novelli ingredienti dell'estro poetico; di quell'estro però che non è genio, ma una specie di convulsione intellettuale e di lusinghiero pervertimento del gusto. Intanto che il Baroggi e il segretario di governo e gli altri passeggiavano discutendo, dietro di loro venivano il Suardi e il Bichinkommer, tutt'intesi essi pure a parlar di cose, che, se non erano tanto ideali ed alte, avevano però un'importanza più vicina, più diretta e più necessaria. Il motivo, anzi, per cui il Baroggi si lasciò andare alle sue volate letterario-artistiche senza intrattenersi col suo amico uscito allor allora di Santa Margherita, era perchè il Bichinkommer lo aveva tratto da parte come per comunicargli cose d'interesse privato.
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