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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO DECIMONONO
    • XXV
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XXV

Il Bichinkommer, congedatosi dal Baroggi, discese all'ingresso dell'osteria, per vedere co' propri occhi dov'erasi fermata la carrozza dell'avvocato Falchi. Era quella un phaëton, foggia di cocchio estivo venuto allora dall'Inghilterra. Non aveva cocchiere a cassetta, ma un jockey in livrea di postiglione con calzoni di daino bianco teneva i cavalli.

Il Bichinkommer disse al Bernacchi vetturale:

Sarebbe stato assai meglio se fossero venuti a piedi.

È facile a capirsi.

Voglio dire, che bisogna governarsi in modo, da rendere questa carrozza inservibile.

Come si fa?

Far nascere qualche scompiglio... spaventare i cavalli... qualche cosa, insomma; i milionarj non amano di affrontare i pericoli.

Questo si sa...

Per combinazione, ci sarebbe qui tra gli altri qualche fiacre guidato da qualcuno de' tuoi uomini?

Più d'uno ce ne sarà.

Fa dunque in modo che si trovi un fiacre fuori della porta, sulla strada di circonvallazione che mette a porta Tosa.

È presto fatto.

Ora io rientro nell'osteria, e mi metto sui passi loro.

Son là seduti, presso la banda militare... Ella momenti fa parlava col general Bubna.

Per fortuna non mi conoscono, e potrò tenerli d'occhio senza metterli in sospetto. Or lascia ch'io dia una occhiata al postiglione.

Detto ciò, fece tre o quattro passi, attraversò il bastione, e si piantò presso la carrozza, ambe le mani nelle saccoccie e il cappello bianco plumé in sugli occhi. Pareva un mercante di cavalli che esaminasse le sue bestie, per accertarsi se potevasi fare un negozio, ma di sott'occhio egli sbirciava il postiglione.

La faccia è abbastanza di mammalucco, ei diceva fra sè. Va benone. Questi milionarj di nova data si fan sempre scorgere a qualche indizio: il phaëton è inglese, ma il jockey è tolto di certo al cavallo dell'erpice. L'abito è nuovo e ben tagliato, ma la schiena tradisce l'abitudine della vanga. Può darsi che mi sbagli, ma questo villanzone deve sgomentarsi per nulla.

Ciò detto, o meglio, pensato, si ritrasse lentamente, e come chi va almanaccando tra sè, diede di nuovo un'occhiata d'intelligenza al Bernacchi, al Granzini e agli altri; rientrò nell'osteria, e si portò sull'ingresso della cucina. Colà, senza perder mai di vista il pergolato presso la banda militare, dove trovavasi la Falchi, disse alto al cuoco:

Avresti ancora del fegato crudo?

Aspetti... sì... c'è quest'ultimo pezzo... Vuol forse una buona frittura?

Dammelo come sta. Ognuno ha i suoi gusti.

Ma...

Te lo pagherò come se fosse fritto e rifritto; sta di buon animo.

Si serva; badi a non imbrattarsi.

E il Bichinkommer, nascosta la mano che teneva l'involto sotto la falda della giubba, uscì di nuovo.

L'osteria del Monte Tabor, alle ore sette, quando cessò il giuoco della slitta, cominciò a versar fuori gente, gente e gente, con quel rigurgito profluente onde la birra in fermentazione, tolto il turacciolo, si versa in quella misura che par superare le proporzioni della bottiglia. Il fiacre del vetturale Bernacchi era già fermo fuori della porta; e un altro fiacre fu mandato ad aspettare sul bastione per il caso che d'improvviso si dovesse cambiare il piano di battaglia. Presso alla carrozza della Falchi, a conveniente distanza, stavano quelli fra i compagnoni della Teppa ch'erano men noti al pubblico. Altri s'eran recati a bere ad un'osterietta posta allo sbocco della strada di circonvallazione, e che serviva di succursale al Monte Tabor, quando questo minacciava di lasciar morire di sete la folla soverchiante. Il Granzini capo mastro passeggiava sul bastione a dritta, il Bernacchi sul bastione a sinistra della porta. Il Bichinkommer, col cappello sugli occhi, teneva tutto nel dominio del proprio sguardo, lasciandosi sospingere e respingere dalla folla, come uno di quei ceppi del lago, a cui fan capo le reti, e che vengon di continuo sobbalzati dall'onda. A misura che i signori proprietari delle carrozze uscivan dall'osteria, i cocchieri, avvisati dal noto fischio delle livree che ricevevan l'ordine dai padroni, facevano avanzare i cavalli. In quel momento adunque l'ordine delle file non poteva essere molto rispettato. E venne anche la volta del phaëton di casa Falchi. Il jockey venne chiamato. Questi d'un tratto fu al suo posto. Il Bichinkommer, colto a volo quell'istante, s'era recato presso al cavallo che doveva portare il jockey, e intanto che questo, messo il piè sinistro nella staffa, colla gamba dritta girava la sella, per mettervisi a sedere, ei gl'intromise di volo l'involto del fegato insanguinato, senza che colui nè altri se ne avvedessero. Il jockey fece avanzare i cavalli; il Falchi colla moglie salirono; il phaëton si rimise nella fila de' cocchi che procedevano non senza disordine. Ma a un tratto i monelli spettatori gridano: Ferma, ferma. Guarda, guarda. È ferito. Siete ferito; versate sangue da tutte le parti. Il jockey, alla luce crepuscolare, si volge, guarda, si spaventa, si smarrisce, grida ajuto, e governa sì male le briglie, che i cavalli s'impennano, sconvolgono le file, fanno urlare donne e ragazze, che si mettono in fuga, mentre altri accorrono. Nel disordine, nella confusione e nel parapiglia, alcuni, ed eran socj della Teppa, pigliano nelle braccia il jockey quasi svenuto, fermano i cavalli, fingono di far coraggio ai seduti in carrozza; intanto il Bernacchi, dietro consiglio improvvisato lì per lì dal Bichinkommer, monta in sella, guida i cavalli, li fa uscir di fila, e approfittando dello scompiglio generale, li spinge a gran carriera fuori di Porta Romana.

Senza perder tempo, il Bichinkommer dà ordine al Milesi e a due altri di salir nel fiacre che stava fermo sul bastione, e di uscir tosto per mettersi in coda al phaëton, e di concerto coll'altro fiacre, far nascere un nuovo parapiglia, simulare un alterco, una rissa, un qualche inferno, per ottener l'intento di tagliare in due il matrimonio seduto in cocchio, trasportando la Falchi alla Simonetta, e lasciando per una notte in piena e desolata vedovanza il milionario avvocato. Audaces fortuna juvat; le cose camminarono a seconda delle previsioni e dei desiderj. Il fiacre situato sul bastione tenne dietro al phaëton; dopo qualche istante, il fiacre che attendeva sulla strada di Circonvallazione, avvisato in tempo debito, si mise a carriera, come per inseguire le altre due carrozze, sotto pretesto d'esser stato attraversato e insultato. In quest'ultimo erasi gettato il Bichinkommer. Egli vomita ingiurie contro quelli dell'altro fiacre; questi rispondono di conformità, e versano tutta la colpa sul guidatore del phaëton. Il Bernacchi, recitando benissimo la propria parte, si mette a sagrare come un indemoniato. Tutte e tre le carrozze si fermano. Gli uomini nei due fiacres discendono, e fanno le viste di assalire il Bernacchi. La Falchi grida, l'avvocato strepita, e tutti si volgono a quest'ultimo, portandolo di viva forza fuori della carrozza. Il Bernacchi, avvertito dal Bichinkommer, finge allora di svincolarsi dall'impaccio dei due fiacres, e mette i cavalli alla più precipitosa carriera, indarno gridando la Falchi che il marito era rimasto a terra. Il qual marito, dopo essere stato urtato e riurtato e anche tambussato, fu lasciato solo in mezzo alla strada e all'oscurità della notte già caduta; e i compagnoni della Teppa risalirono tutti nei fiacres e via di gran galoppo.

 




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