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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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V Entrato nella propria camera, una voce dalla vicina gli gridò: Ben venuto! Pare che manchi poco all'alba; e sì che ho sentito che a Parigi c'è l'abitudine di rincasarsi per tempo. Caro mio, è stata una notte eccezionale questa. Ho assistito al trionfo dell'Italia in Francia, e se tu, uscendo dal teatro, m'avessi accompagnato alla serenata fatta a Rossini e al brindisi del caffè Tortoni, non avresti perduto il tuo tempo. E dicendo questo entrò col Suardi nella camera di chi aveva aperto il dialogo. Quegli che stava a letto era l'avvocato Montanara di Milano, venuto espressamente a Parigi, come arbitro nelle ultime vertenze della causa F...-Baroggi. Hai gli occhi che mandan raggi e la faccia color di carmino, disse l'avvocato al Baroggi. In che felice maniera è scomparsa la tua pallidezza abituale? Attendi un momento, rispose Giunio, e la pallidezza ritornerà. Questo rosso fuggitivo che mi riscalda le guance, assomiglia ad una maschera modellata al riso, e gettata per passatempo sopra una testa da morto. Sento già gli effetti della reazione nervosa. Il tempo di far sei scale e due minuti di silenzio bastarono per ritornarmi al tristissimo vero dond'era uscito: Sento gli avversi numi e le segrete Cure che al viver mio saran tempesta. Io so che tu dici la verità, povero Giunio; eppure qui in Parigi quanti mi han parlato di te, credono che tu sii uomo piuttosto strano che infelice, piuttosto spensierato che cogitabondo. Lo crede questo volgo elegante e ricco del caffè Tortoni, ch'io rallegro spesso coll'epigramma che mi è abituale; ma non i pochi che hanno l'attitudine del pensare, e coi quali alcuna volta mi sprigiono. Eppure cagioni reali e visibili d'infelicità tu non ne hai. Sei nel fiore della giovinezza, sei avvenente, e di quell'avvenenza non pomposa la quale tanto piace al sesso gentile che tu non odii; sei d'ingegno acutissimo e di facile e simpatica facondia. Per di più, se in addietro non hai conosciuto la povertà, sebbene costretto a viver parco, d'ora innanzi ti adagerai nella ricchezza. Ventimila lire di rendita!... esclamò il Suardi. Dite trentamila, osservò il Montanara. Ma questo Giunio è sempre stato dello stesso umore. Ci siam conosciuti a Pavia; io studiavo il quarto di legge, lui il primo. E fin d'allora vedendolo sì tristo e sospettandone la cagione: Quando sarò laureato, gli dissi, e passerò avvocato, penserò io a distrigarti di tutto. E così fu. Ma, e come mai, domandava il Suardi all'avvocato, a voi riesce nella vostra professione di ottener cose che per gli altri son dichiarate quasi impossibili? L'avvocato Montanara in fatti, come sapranno tutti i nostri lettori che lo hanno conosciuto o ne han sentito parlare, oltre a una gran dottrina legale, possedeva un tatto così squisito e acuto, che a lui riusciva spesso di dipanar matasse credute inestricabili. Un avvocato è come un generale, rispondeva il Montanara. Egli non dee limitarsi a conoscere la propria professione; ei dev'essere versatile, deve conoscer gli uomini, deve trar partito da tutte le circostanze anche non legali che gli si presentano. Ad un avvocato non dee bastare d'esser reputato un gran giureconsulto. In questo caso scriva opere giuridiche, si sfoghi nella teoria, ma non s'impacci della pratica. Egli, precisamente come un generale, innanzi deve vincere. Giulio Cesare a Farsaglia, sapendo che i giovani patrizj che appartenevano alla cavalleria romana avevano cara la freschezza del viso, disse a' proprj veterani: Abbiate cura di rivolger l'arme alla faccia di costoro; e la cavalleria fu tosto sgominata, perchè i bellimbusti d'allora avrebber fatto qualunque sacrificio piuttosto che avere il volto sfregiato. Ora questa regola non la troverete in nessun trattato di strategia e di tattica. Tornando ora all'avvocato e tornando a me, anche senza la conoscenza del codice, avrei ottenuto quel che ottenni; perchè più di tutto mi valse il conoscer gli uomini e l'arte di saper pigliarli dov'è il loro lato debole. Nel caso qui del mio Baroggi, saputo che il marchese erasi piegato verso la chiesa, e più ancora, saputo che il suo più intrinseco amico era più bigotto, e diciamolo pure, più galantuomo di lui, mi rivolsi ad esso innanzi tutto, schierandogli innanzi tutta la batteria buona e non buona dei miei argomenti legali, e dei tanti indizj che sussistevano, ma che tutti insieme non costituivano una prova. Chiesi inoltre un'udienza privata al presidente Mazzetti, che fin dal 1820 era stato a Milano, credo come ispettore dei tribunali. Gli parlai in modo che rimase convinto, perchè l'esistenza del testamento, tuttochè giudicato apocrifo, e parecchie deposizioni di due scrivani del notajo Agudio, sebbene insufficienti a far prova rigorosamente legale, non potevano a meno di piantarlo nella persuasione, che l'edificio che durava da tanti anni, non doveva essere affatto un edificio immaginario. Dichiarai inoltre ch'io era disposto a trattar la causa ab ovo, e che infinite cose avrei rivelate, che al marchese non sarebbero certo piaciute. Il Mazzetti, nelle sale del governatore, parlò all'amico del marchese, e questi, dopo alcuni giorni, mandò a chiamarmi, e sotto colore di cedere alla gran bontà dell'animo suo, mi invitò a far delle proposizioni: siamo a casa, dissi fra me, e cominciai dal chiedere moltissimo. Il marchese s'impennò di nuovo. Io stetti forte e irremovibile, e non mi lasciai più vedere. Ma un bel giorno ricevo un bigliettino dal conte amico del marchese, col quale mi invita a casa sua. Ci vado senza farmi aspettar troppo. Il conte mi dice: il marchese è pronto a pagare settecentomila lire milanesi al signor Giunio Baroggi. Per finirla, rispondo, giacchè vi spaventa la cifra del milione, aggiustiamola in novecentomila lire. Il conte non disse nè sì nè no per allora; ma, dopo molto tempestare, si concluse che stava egli garante di tutto, e si sarebbe finito l'affare a quel modo. Ora sai tu, caro Suardi, perchè ho dovuto venire a Parigi? Perchè dalle lettere di risposta di questo originale di Giunio io non poteva raccogliere nessun costrutto. Mi trovavo d'aver fatto un miracolo, e costui quasi lo rifiutava. Però appena giunsi a Parigi, lo costrinsi a farmi la sua buona procura, e così sarà ricco a suo dispetto; non è vero, il mio caro originale? Se tu ti trovassi continuamente, al pari di me, disse il Baroggi, sotto l'incubo di un affanno al quale non c'è rimedio, non diresti così, caro avvocato. Ma, in conclusione, domandò l'avvocato, che diamine t'è mai capitato che l'animo tuo, ad eccezione di alcuni istanti di giocondità, che dirò artificiale e meglio ancora morbosa, è avvolto in una perpetua tetraggine? Negli otto giorni che son teco, non mi è riuscito di cavarti una parola. Parla dunque una volta. Io ho l'abitudine di vedere e giudicar le cose non colla stregua volgare del mondo incarognito ne' pregiudizj, ma coi criterj del buon diavolo che è filosofo e nel tempo stesso ha viscere. Parla. Dunque vi dirò tutto, i miei cari amici, ma se ne avrete tedio, non incolpate me. Sta pur tranquillo su ciò. Noi non desideriamo che di poterti giovare in misura del poter nostro.
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