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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • CONCLUSIONE
    • I
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I

Nell'agosto dell'anno 1849, dimorando a Venezia, entrai una notte, in compagnia di alcuni amici, nell'osteria del Cavalletto. V'erano là ufficiali di tutte le armi, costituenti il presidio di quella gloriosa e sventurata città, che, in que' giorni, stava dibattendosi tra la vita e la morte. V'erano Italiani di tutta Italia: Polacchi, Ungheresi, Dalmati, Greci, militanti per noi.

Venezia in que' dì offeriva uno spettacolo sublime insieme ed angoscioso. Milano era ricaduta sotto il gioco austriaco; Toscana erasi ridata al granduca; Roma, indarno difesa da Garibaldi, era stata occupata da Oudinot: Italia tutta era sommersa. - Venezia sola sporgeva ancora il capo dall'onda mugghiante, ma le braccia spossate più non potevan reggere contro all'impeto di essa.

In quell'osteria era incessante il fracassìo di chi andava e veniva, dei tanti che parlavano, dei camerieri che servivano e gridavano: a tutti i tavolini, pur fra tanta varietà di discorsi, campeggiava sempre il tema unico della patria in pericolo. A una tavola stavano il colonnello Belluzzi e il colonnello Morandi, mio amico. Sedeva con loro un uomo tra i quarantacinque e i cinquant'anni, in abito nero. La figura di lui, le pose, il piglio erano giovanili ancora; ma i capelli prolissi erano sparsi di striscie senili, la fronte solcata da lunghe rughe, l'occhio, sebben di linee grandiose e pure, era patito e stanco.

Salutato il colonnello Morandi, sedetti lor presso; feci portar un pan fresco di tritello, che in quell'estreme traversie del blocco, poteva dirsi un pane di lusso; e un bicchiere di vino di Barletta, il quale costava quanto lo Château-Lafitte delle cantine dell'imperatore dei Francesi; e stetti così ascoltando i discorsi avviati.

A quanto m'avete raccontato, diceva quel signore in abito nero, vedo che la difesa non potrà prolungarsi molto.

Due o tre settimane al più, e non c'è altro, disse il Morandi.

Purtroppo! soggiunse il Belluzzi.

È una fatalità, osservò quel signore, che in quest'anno, dovunque io capiti, debba sempre essere l'augello del malaugurio. Arrivai a Torino due giorni prima del disastro di Novara. Giunsi a Roma e mi son messo con Garibaldi poco tempo innanzi la sua caduta. Or venni qui per mettermi con voi, colonnello Morandi...

E non c'è a far altro, credetelo a me. La difesa poteva protrarsi molto più a lungo; ma il Governo non seppe e non volle.

Manin, rispose quel signore, era convinto (e lo provano le sue note alla Francia e all'Inghilterra) che Venezia, per un riguardo dovutole dalle potenze, sarebbe stata costituita come città anseatica: e questa speranza fu appunto cagione degli errori del governo. La conveniente posizione politica che Manin era certissimo sarebbesi data a Venezia, gli ha fatto credere impossibile un lungo assedio; è per ciò se la marina non fu allestita in tempo; se l'esercito non fu bene organizzato; se la guardia civica non fu resa abbastanza numerosa; se le provvigioni da guerra non furono accumulate in tempo e in quantità sufficiente a sostenere l'assedio anche per qualche anno.

E così, osservò il colonnello Belluzzi, di questa popolazione straordinaria nella costanza; dei soldati venuti da tutt'Italia, gloriosi per prove di coraggio uniche nella storia, non si trasse il vantaggio che certamente si sarebbe potuto; ed oggi le cose sono al tutto disperate.

Il colonnello parlava ancora, quando entrò a cercarmi il filologo e poeta Sternitz, prussiano, col quale io m'era stretto in amicizia; uomo di grande ingegno, di vasta dottrina e d'abitudini semplicissime, sebbene talvolta alquanto strane ed eccezionali. Dimorava da anni a Venezia, ed era innamorato dell'Italia, della quale conosceva profondamente la letteratura, ed era iracondo verso i proprj compatrioti.

E che fate qui, mi disse, con questa caldura che opprime? Usciamo all'aperto.

Io chiesi al colonnello Morandi s'ei voleva uscire.

E si esca, ei mi rispose, con quel suo fare schietto e soldatesco.

Belluzzi e il signore vestito di nero uscirono del pari; e così tutt'insieme, collo Sternitz, il capitano De Luigi della legione lombarda, ed altri, ce ne andammo a passeggiare sul molo.

 




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