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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO PRIMO
    • VII
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VII

Il giorno dopo, a quell'ora in cui si può giurare che tutto il mondo è svegliato, ad eccezione degli ammalati che hanno preso la decozione di morfina, dei giuocatori che nella notte hanno voluto ad ogni costo inseguir la fortuna che li fuggiva, e di altre cento eccezioni; in quell'ora, che a buoni conti noi la poniamo due o tre quarti d'ora dopo mezzodì, chi si fosse preso il diletto di percorrere la città di Milano in cabriolet, facendo sosta alle botteghe di cioccolatteria e di bottiglieria, e a quelle per la vendita del tabacco; in piazza del Duomo, in pescheria, in piazza dei Mercanti; o fermandosi presso i libraj Agnelli e Motta e Bianchi e Galeazzi, in Santa Margherita, dove facean cerchio maestri, accademici, letterati, preti, giureconsulti; o presso gli speziali Rapazzini nei Tre Re, e Archinti in piazza del Duomo, e Omodei a porta Romana, dove s'adunavano i medici e i chirurghi più riputati della città; o nelle sale degli Accademici Trasformati in casa Imbonati, sulla piazza di San Fedele, o nello studio di pittura del Londonio, giovane allora di 22 anni, che già raccoglieva d'intorno a sè i capi più strani e pazzi e avventati della città; o sotto il Coperchio de' Figini nelle botteghe di mode, frequentate dalle più eleganti dame; o nel salon di qualche maravigliosa, per esempio, della contessa Marliani, la regina dello spirito e della maldicenza; o in quello della contessa Clelia Borromeo del Grillo, calamita dei numerati patrizj dediti agli studj, e degli abati poetanti e dei maestri di spinetta; ovvero nella bottega del parrucchiere Blanchy, nato Giuseppe Bianchi in Cordusio, ma che avea cangiato nome dopo il suo viaggio a Parigi, donde avea importato nella nostra bella patria, per la prima volta quel tal puff a capitello che era lo spasimo delle nostre dame; nella qual bottega non sdegnavano di soffermarsi i più sfoggiati cicisbei o per farsi raccomodare un riccio, o rimettere un neo caduto, o rimpastare un po' di biacca e belletto...; se qualcuno adunque si fosse preso il diletto di scorrazzare in lungo e in largo per la città a far raccolta dei discorsi che si tenevano in quei tanti centri di buontempo, non avrebbe sentito che un discorso solo, come se fosse una parola d'ordine passata dal quartier generale ai soldati del campo; non avrebbe sentito che un nome solo, quello del tenore Amorevoli; e del suo arresto e del sospetto delle carte trafugate, e del prevosto di S. Nazaro. - Codesto tema poi, generale e costante, si sparpagliava in mille ramificazioni; chi narrava la vita del tenore; chi quella del defunto marchese; chi si fermava al giardino di casa V..., chi voleva perder la testa a indovinare il motivo per cui il tenore avea potuto trovarsi là; chi passava in rivista tutte le cameriere e le fantesche di casa V..., perchè i tenori, diceva un tale, hanno pur troppo de' gusti plebei; chi tutte le donne del vicinato che per caso avessero qualche poggiolo o finestra o mezzano a cui si potesse ascendere dal giardino; giacchè nessuno, letteralmente nessuno, nemmeno per un istante fuggitivo, potè credere che Amorevoli fosse l'uomo fuggito dalla casa F... e avesse dovuto aver interesse a entrar nello studio del defunto marchese, chè in ciò non v'era probabilità di sorta, e conveniva esser pazzi a supporlo.

Nella cioccolatteria e caffetteria del Greco, in piazza del Duomo, il quale cento anni fa era il caffè arcavolo degli odierni, dell'Europa, del Cova, del Martini, dove traeva tutta la gioventù più galante e più pazza e più sfaccendata di Milano, verso le ore due dopo mezzodì, sembrava quasi che vi si tenesse un'adunanza solenne. Mezza dozzina di giovani sedevano là intorno ad un gran braciere; uno teneva la paletta, e pareva colui che, per diritto di eloquenza, desse l'avviamento a' discorsi; intorno a quella mezza dozzina, che potea passare per il direttorio, stavan raccolte da trenta o quaranta persone, le quali or crescevano ed or scemavano, a seconda di chi andava e veniva; l'attenzione però era profonda.

- Voi dite - così parlava quel della paletta, che è improbabile che il tenore Amorevoli siasi introdotto nella stanza del morto per rubar carte importanti; e chi non lo dice e non lo crede? bisognerebbe essere un gran mellone solo a sospettarlo. Ma, cari miei, mi rincresce a dirvelo, altro è che una cosa sia inverosimile, altro è che non possa essere possibile. - Chi sa tener dietro alla possibilità... essa è un mare senza fine e senza fondo... e la legge non può pescare in quel mare, e i giudici del Pretorio e quelli del tribunale e il collegio dei giureconsulti potranno tenersi le loro convinzioni in petto, e basta lì; ma se non vien fuori l'uomo che davvero ha fatto il colpo, chi si trovò al suo posto, suo danno.

- Ma che interesse volete voi che potesse avere il tenore?

- Ma chi parla ora dell'interesse? cosa c'entra l'interesse? Se qualcuno avesse tirato una schioppettata al tenore, perchè il tenore per combinazione venne a trovarsi al posto del birbone fuggito, che cosa valeva il dire - egli era innocente? - Lo so anch'io. Ma fu ucciso perchè il maledetto accidente ha voluto così... Or fate conto che tal sia della legge: essa tira su chi si trova in mal punto, e a chi è toccata è toccata.

- Basterebbe poi, a mio rimesso parere, che il tenore dicesse il motivo per cui trovavasi là...

- Ora parlate bene; a tal patto la cosa cambia di aspetto...

- Un motivo qualunque...

- Un motivo qualunque no... la giustizia è inesorabile; essa è un ragioniere che tien conto anche dell'ultimo quattrino, e se la somma non riesce, il bilancio non si può fare. - Ci vuole, caro mio, un motivo che possa essere provato come due e due quattro; e, a quel che ho sentito da uno scrivano del Pretorio... sapete cos'ha risposto il tenore al primo interrogatorio del giudice?

- Che cosa ha risposto?

- Una assurdissima bestialità. Ma già si sa quel che può uscire dalla bocca di un tenore...; ha risposto, se lo scrivano non ha detto una sciocchezza, perchè anche questi scrivani.... ha risposto che nessuno poteva nè può impedirgli delle bizzarrie innocenti; che però gli era venuta voglia, passeggiando in quelle parti là dopo il teatro, e vedendo quel bel giardino e quel gran palazzo, e giacchè faceva anche il più bel chiaro di luna che mai, gli era venuta, come dicevo, la voglia di saltar dentro a far una passeggiata...

- E che cos'ha risposto il giudice?

- Questo non si sa. Ma se il giudice è quell'uomo acuto che tutti conosciamo, gli dee aver detto: - Siete stato disgraziato a passeggiare in giardino, in un momento che si andava in cerca di un ladro... Ora il ladro siete voi, se non avete qualcosa di meglio da dire al giudice.

- Ebbene, sarà come voi dite... osservava un altro, e ad uscire d'impiccio dovrà pensarci il tenore; ma ora vorrei sciogliere l'altro gruppo del nodo. - Che diamine ci poteva essere di così importante tra le carte del marchese?... se ognuno sa, almeno lo si diceva da gran tempo, che l'erede universale di tutte le sue sostanze era suo fratello, il conte Lodovico?...

- Io non so nulla nè del marchese nè del conte, eccetto che il primo fu un gran libertino a' suoi giovani anni, e il secondo è croce, se il primo fu lettera. Il conte non è niente di più che un uomo posato, misurato, tirato, che sta con quattro cavalli mentre potrebbe averne dodici, perchè s'è fitto in capo che suo figlio, il contino Alberico, che ha tutta l'aria di voler assomigliare allo zio, possa mettere col tempo la prima casa in Milano, e metter sotto casa Litta e casa Borromea; che bel matto!...

- Jeri è partito per la campagna.

- Tanto per nascondere nella solitudine campestre la gioja che gli deve esser derivata dal dolore provato in città sentendo i tocchi dell'agonia suonati per il caro fratello, che Dio l'abbia in gloria...

E costui avrebbe continuato per un pezzo a tagliare i panni e al vivo e al morto; chè era di quelli alla cui parlantina velocissima conviene di tanto in tanto metter la scarpa, se può passar l'espressione, per dar qualche riposo agli orecchi degli ascoltatori e lena ai volonterosi di contraddire; ma per fortuna s'aprì l'invetriata della bottega, e comparve un compagnone della brigata, il quale a quei trenta o quaranta che voltarono le faccie a lui, fece un paio d'occhi pieni di significazione, e gridò:

- Amici, una grande scoperta!!

- Che? Cos'è stato?

- Chi di voi sa dove alloggia la Gaudenzi?

- Nella contrada dei Moroni, chi non lo sa? l'abbiamo accompagnata a casa tante volte dopo il teatro fra i battimani e gli evviva...

- Questo va bene. Ma se nessuno sa che la finestra della sua cameretta, dove riposa il suo bel corpo, guarda nel giardino vicino al giardino dove fu colto Amorevoli, lo so io e l'ho scoperto io... e lo dico a voi tutti.

Quando a Newton nel pomo caduto balenò l'idea della gravitazione universale, quando Galileo nel Duomo di Pisa fu colpito dall'oscillazione della lampada, quando Volta nelle piastrelle di zinco alternate al cartone inzuppato d'acqua salata afferrò il prodigio delle perpetue correnti elettriche, quando... tutti coloro, in una parola, che fecero qualche gran scoperta, non provarono soddisfazione maggiore di quella a cui si esaltarono que' trenta o quaranta al fiat lux del nome della Gaudenzi e della finestra e del giardino...

- Or ecco sciolto il maledetto enigma.

- La è chiara come il sole.

- Non ci può esser dubbio.

- Ma tu, come hai fatto a sapere?

- Vi basti che l'ho saputo... e se non mi credete, andate a verificare voi stessi.

- Però bisogna confessare che il tenore è un bravo giovane...

- Ma certo che è un bravo giovane.

- Mi rincresce per la Gaudenzi che ho sempre tenuta per la fenice del suo ceto... Ma vada; allorchè da una scappata si sviluppa una bell'azione... è sempre una cosa che fa piacere... Bravo Amorevoli! così va fatto. Già, quando nel canto uno sa trasfondere tutta quella dolcezza e quell'affetto e quella passione... bisogna bene che nel cuore ci sia del buono... non si sbaglia... Oh quanti di questi cavalieri, che portano spada, avrebbero gridato là sfacciatamente in Pretorio il nome della cara beltà, pel crepacuore di non poter dormire a proprio letto... Oh sepolcri... Oh apparenze!!

Ma chi parlava, a queste parole si fermò, perchè la sua attenzione, come quella degli altri, si volse al carrozzone del giudice, che in quel punto attraversava la piazza del Duomo.

Lasciando ora dunque i giovinotti del caffè del Greco, e tenendo dietro al giudice del Pretorio, dobbiam dire che, sottoposto all'interrogatorio di pratica, il tenore Amorevoli, il quale davvero aveva risposto quanto fu già riferito nel caffè del Greco; sottoposti pure all'interrogatorio gli uomini di casa F..., dietro quanto risultava dalla deposizione del tenente Baldini; il signor don Antonio De-Capitani di Arzago, chè tale era il nome del giudice, giovane d'anni, ma di matura e soda intelligenza, pensò bene di recarsi egli stesso a visitare il preposto di S. Nazaro, anzichè citarlo a comparire in Pretorio, per rispetto alle qualità venerabili di quel degno sacerdote. Smontato alla canonica, si fece annunciare, e il pio e umile prete discese egli stesso a riceverlo.

- So già per qual ragione ella s'incomoda a venir da me... - disse il preposto. - Era anzi mia intenzione di venire da lei fra poco.

E così, precedendo il signor giudice, lo fece entrare in un salotto, dove sedettero ambidue.

- Ella dunque, signor preposto, sa perchè son qui... La cosa è seria più che non si creda...

- Lo so.

- Ora abbia la bontà di dirmi, fin dove però glielo permette il suo ministero, in che rapporti ella si trovò col marchese defunto...

- Non le tacerò cosa nessuna; ella sa quale fu il tenore di vita di quel benedetto uomo...

- Lo so.

- Or bene, sette anni sono, da una povera giovine, che ebbe la disgrazia di capitare nelle sue mani, ebbe un figliuolo...

- Qualcosa ne sapeva...

- Dopo le prime smanie, ogni affetto, come sempre, venne a sbollire in quell'uomo volubilissimo; e dato un pugno d'oro a quella poveretta, si dimenticò presto e di lei e del fanciullo...

- Siam sempre a queste...

- Quella sciagurata veniva spesso a piangere da me... e a pregarmi perchè pregassi il marchese... Non le so dire quanto mi pesasse il recarmi da colui... Spesso... troppo spesso... la dignità dell'uomo, non che quella del sacerdote, veniva offesa. Ma appunto codesti insulti, che per gli altri è una virtù il respingere, per noi è un merito il sopportare. Insieme colle brusche parole veniva però sempre qualche pezzo d'oro, ond'io tornavo all'assalto ogni qualvolta la poveretta veniva da me per bisogno. Se non che l'uomo venne a star male un anno fa... una malattia di generale disfacimento... Allora una fiera tristezza gli entrò nell'animo, e con quella una arrendevolezza insolita. Dietro le mie preghiere, volle vedere quella sciagurata e il fanciullo; e un giorno più dell'altro lavorando su quell'animo ammollito, ottenni quel che era nelle vie della giustizia; almeno io vissi nella speranza d'averlo ottenuto. Lo consigliai a nominare erede universale il figlio suo, chiamandolo all'onore del mondo, e a distruggere il testamento fatto prima, pel quale l'erede universale doveva essere il suo fratello conte Lodovico, una degna e brava persona, per verità, ma ricca a sufficienza; del rimanente non aveva dimenticato nemmeno lui... Mi pregò gli facessi venire un notajo... gli ho mandato il giovane dottor Macchi, il quale vegliò alla stesa del testamento olografo... perchè quell'uomo non sapea nulla di nulla. Io seppi dal dottore che quel testamento infatti era stato scritto dal proprio pugno del marchese, e firmato, e così messo tra altre carte. La cosa rimase segreta tra me, il dottore ed il marchese, il quale però soltanto due ore prima di morire: "Do a voi, mi disse, la chiave del mio studio. Là dentro nello scrigno c'è quello che voi avete voluto che si facesse." Ecco tutto. Del resto io non ho veduto nulla.

- Qui c'è una mano esperta che trafugò il testamento, soggiunse il giudice, dopo un momento di pausa. Ma il mare delle congetture è troppo vasto per scoprirvi il filo, se non vien fuori l'uomo. D'altra parte il conte Lodovico...

- Partì due ore prima della morte del fratello... egli e suo figlio.

- Per questa parte adunque non c'è a far nulla.

- E poi, torno a ripetere, il conte è un uomo irreprensibile...

Dopo queste parole vi furono alcuni istanti di silenzio, trascorsi i quali, il parroco:

- Sarebbe bene - uscì a dire - che V. S. illustrissima parlasse col notajo Macchi... Egli ha letto la scritta del marchese dopo averla dettata... chi sa che il notajo non sappia qualcosa di più?

Il giudice si alzò e: - Non voglio perder tempo - soggiunse: sull'istante vado dal dottor Macchi...

- Egli sta in borgo delle Grazie.

- Lo so.

Così dicendo, il giudice si partì dalla casa del preposto di S. Nazaro, e quando lo salutò:

- Mi scuserà, reverendo signor preposto, soggiunse, se per le volute formalità sarò costretto a sentirla anche in Pretorio. - Risalì poi in carrozza per recarsi difilato alla casa del dottor Macchi.

Ma quando fu nella via, pensò che era più conveniente mandarlo a chiamare, che andarlo a visitare, perchè questa poteva essere una deviazione dalle leggi d'ufficio, soltanto compatibile, in via straordinaria, con un reverendo preposto. Giunto così al Pretorio, mandò infatti a prendere in carrozza il notajo, il quale non si fece aspettare, e ripetè press'a poco le parole del preposto di S. Nazaro, senz'altra aggiunta che questa:

- Del resto, illustrissimo signor giudice, se io ho dettato il testamento, e se il marchese lo ha tutto trascritto di suo pugno, ciò non vuol dire che dopo non l'abbia anche lacerato... perchè già ella sa che il suo costume fu sempre di disfare oggi quello che aveva fatto jeri... onde il trafugamento può forse essere stato un delitto inutile.

- Ma a che proposito, osservò allora il giudice al notajo, ella mi dice questo?

- A nessun proposito. Bensì è mia opinione che se mai i protettori del fanciullo volessero muover lite al fratello del marchese, di che ho sentito a toccare un tasto, se il secondo testamento non salta fuori, ognuno potrà pensare quel che vuole; ma l'erede è il signor conte di pieno diritto.

Il giudice non replicò nulla, e licenziò il notajo.

Alcuni momenti dopo entrò un usciere ad annunciare all'illustrissimo signor giudice una visita dei cavalieri ispettori del palco scenico del teatro Ducale.

- So di che si tratta, disse fra sè il giudice, - e li fece venire avanti.

I cavalieri ispettori del teatro Ducale erano venuti a domandare formalmente al giudice il permesso che il tenore Amorevoli potesse cantar la sera al teatro, dimostrando che col pubblico s'era contratto l'impegno e col pubblico non si scherzava; e che, del resto, come il signor giudice avrebbe ingiunto, si sarebbe seguita la pratica di riconsegnarlo alla giustizia, tutte le sere, dopo finita la recita.

Il giudice rispose, che, non solo non aveva nessuna difficoltà a conceder questo, ma che anzi era suo debito di fare in modo che il pubblico si dovesse soddisfare pienamente; che però tutto dipendeva dallo stato di salute del tenore, cui mandò infatti a riferire la visita e il desiderio degli ispettori cavalieri. Dopo alcuni momenti, con loro maraviglia e soddisfazione, Amorevoli mandò a dire che era assai ben disposto a cantar la sera.

Ma lasciando ora il Pretorio e il giudice, vorremmo sapere che cosa fa e che cosa aveva fatto donna Clelia, dalle due ore dopo mezzanotte a quell'ora in cui gli ispettori del palco scenico partirono per dar gli ordini opportuni, onde il pubblico fosse avvisato che la sera il tenore Amorevoli avrebbe cantato.

L'infelice, in quella giornata, pur troppo, aveva dovuto recarsi a far visita ad una dama sua conoscente; e ognuno può immaginarsi quel ch'ella abbia provato udendo i tanti discorsi che si fecero intorno all'avvenimento della notte. E dovette trattenersi colà tanto tempo, quanto potè bastare per sentire anche la scoperta relativa alla finestra della stanza della Gaudenzi; poichè dal caffè del Greco quella notizia si diffuse repentinamente per tutta la città, anche senza il telegrafo elettrico. Al qual proposito è ad osservare che mentre ella, donna Clelia e non la Gaudenzi, avrebbe voluto giacer mille braccia sotterra, piuttosto che trovarsi in punto che venisse conosciuta la parte che ella aveva avuto in quel fatto misterioso; pure, in fondo al suo cuore era deposto un cruccio inavvertito anche a lei; il cruccio, il dispetto perchè nessuno avesse mai sospettato che il tenore Amorevoli fosse venuto nel giardino per amor suo. L'essere amati da persona amatissima aggiunge un tale orgoglio al cuore in sussulto, che, ad onta di qualunque pericolo, esso vorrebbe, all'ultimo, far noto a tutto il mondo il trionfo del suo amor proprio. Ma, lo ripetiamo, questo sentimento giaceva recondito e dissimulato da altre pressure nel fondo del cuore di quella donna, e ad ogni sguardo che innocentemente veniva a fermarsi su di essa, mentre il discorso percuoteva quel tasto, ella gelava e ardeva di confusione e di spavento; e solo, solo allora che sentì nominare la Gaudenzi, quasi fu per tradirsi; così forte tentazione la prese di gridare: No, non è lei! Ma le fitte più crude le ebbe a subir la sera, quando coll'orgoglioso conte ex-colonnello, suo marito, dovette recarsi in teatro ad assistere all'opera.

Il fatto della notte, l'arresto dell'Amorevoli, le mille dicerie, il silenzio generoso ond'esso avea reso sempre più difficile la propria posizione, la credenza ormai fatta generale degli amori di lui colla bellissima Gaudenzi, misero in tutta la popolazione una tal voglia di andare in teatro, che, la sera, i soldati del corpo di guardia dovettero accorrere per stornare gravissimi disordini. Nessuno poi saprebbe immaginarsi gli applausi prodigati in quella notte dal pubblico a colui ch'egli chiamava il re del canto; indescrivibili furono le pazzie che si fecero per testimoniargli la universale simpatia, e per significare la disapprovazione universale alla lettera cruda della legge e al codice delle manette; e quanto fu strepitoso il trionfo del tenore arcangelico (perchè l'aggettivo arcangelico fu trovato la prima volta pel tenore Amorevoli, e non per Moriani, come crede il volgo), altrettanto fu quello della danzatrice olimpica. - Amorevoli e Gaudenzi, furono i due nomi echeggiati tutta la sera, senza riposo, con tutta l'aria che può mettere nelle sue canne la gran gola del pubblico; tanto parea ammirabile il connubio di quelle due belle e giovani persone! tanto sembrò perfetta quell'armonia della danza e del canto!

Ma se l'infelice donna Clelia dall'alto del suo palchetto facea sangue nel suo segreto, altri, al cui orecchio eran pur giunte tutte le dicerie del pubblico, fremeva in più basso scanno, ed era il primo violino di spalla, il quale, nella sua potenza, a tutti nascosta, dall'umiltà del suo posto, era destinato a gettar fuoco e fiamme nella polveriera di questo dramma. Ma non è tempo ancora ch'ei si faccia innanzi.




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