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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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I Se il lettore desiderasse di tener dietro alla povera contessa Clelia, per conoscer tosto le sue risoluzioni e le conseguenze di esse, noi ci troviamo nella necessità di non poterlo accompagnare, perchè siamo invitati da altre persone, per esempio dalla ballerina Gaudenzi, la quale in quella sera in cui il pubblico delirio toccò la sua massima espressione al di lei riguardo, si trovò in camerino l'usciere del Pretorio che le presentò una citazione a comparire; e subito dopo vide il signor Lorenzo Bruni, violino di spalla per l'opera, e primo violino direttore d'orchestra pel ballo; il signor Lorenzo Bruni venutogli innanzi agitato, convulso, iracondo e cogli occhi stralunati; il quale, se in quella sera non proruppe in parole violenti e non fece una scena dietro le scene, è perchè i veglianti regolamenti proibivano a quelli dell'orchestra di andare in camerino, ed egli comprendeva che, se i cavalieri ispettori chiudevano per lui, a loro dispetto, un occhio su quella contravvenzione, perchè così voleva la da tutti quanti idolatrata Gaudenzi, avrebbero còlto però assai volontieri la prima occasione in cui egli avesse commesso qualche stranezza, per far ritornare nel più crudo rigore i regolamenti del palco scenico. Però erasi limitato a dir sottovoce alla Gaudenzi, ma con un fremito mal compreso: - Che cosa dunque è successo, Margherita? - Ma non siete contento? Non vedete, che pazzie fa il pubblico per me? - Pazzie, eh? - O forse vi dà noia che il pubblico divida le sue grazie in due esatte porzioni tra me e il tenore? - Il tenore, eh?... il tenore... Ma sapete che cosa si dice in pubblico di voi?... Ma sapete perchè il pubblico v'applaudisce? - Gran novità da domandare e da sapere.... perchè il pubblico m'applaudisce? Oh curiosa!.... perchè siamo belle, perchè siamo divine, come dicono gli allocchi che vengono da me; perchè Tersicore potrebb'essere la nostra fantesca, come dice il poeta di teatro; perchè, in conclusione... Ma guardate che paio d'occhi mi fate ... Ma sapete che siete bello stasera, ma bello assai... Oh che matto! - Matto? Or sentirete se son matto, or sentirete che cosa dice il pubblico di voi... Dice... dovreste per dio sentirvi a scottar la faccia pel rossore della vergogna... Dice che il tenore stanotte era disceso dalla finestra della vostra stanza, in quel punto che fu preso dal bargello... - Ora ho capito, oh bella!... e una sonora e lunga e giocondissima risata, di quelle che in buona lingua si chiamano cachinni, fu il comento che la Gaudenzi fece a quella notizia inaspettata. Poi soggiunse: - Guardate, Lorenzo, cosa c'è lì su quel tavolino. - Che? una citazione? - Una citazione, sì... ma ora comprendo tutto, oh bella, bella davvero! E per quella sera non ci fu altro, perchè il fischio acuto e importuno dell'avvisatore costrinse Lorenzo ad affrettarsi in orchestra; e la Gaudenzi, quando il ballo fu finito e rivide Lorenzo più torbido di prima: - Addio, Lorenzo, gli disse; avete bisogno di dormire... e di far buona cera; a rivederci domattina, caro; e vispa e vivace e saltellante e sghignazzante l'aveva lasciato là senz'altro. Ma la mattina venne presto, e quando fu un'ora ragionevole, Lorenzo Bruni non si fece aspettare, ed entrato nell'angusto ma elegantissimo appartamento della Gaudenzi: - È alzata la Margherita? - domandò ad una zia di lei; una zia rachitica e gibbosa, ma piena di acutezza, e che stava presso a quella giovane beltà come il cane che ringhia sul tesoro messo sotto la sua custodia. Lorenzo Bruni non aveva finito di nominar la Margherita, che questa, coi capegli mal raccolti dalla notturna rete e fuggenti sulle spalle, e in veste breve e discinta, dalla stanza da letto balzò con un salto nella camera dov'egli trovavasi colla zia; e appoggiando ambedue le mani sulle spalle di lui, fece due o tre battements rapidissimi, dicendogli intanto con aria motteggiatrice e carezzosa: - Siete guarito, Lorenzo? - e accompagnò queste parole con quella giocondissima e suonante risata a lei abituale; suonante e leggera, e nel tempo stesso plebea insieme e gentile, che assomigliava ad una scala musicale o ad un vocalizzo, in cui le note spiccansi nette e granite; o che, se il confronto non è troppo da naturalista, pareva il lieve e oscillante nitrito di una cavallina che si stacchi allora dalla materna poppa. Lorenzo, venuto là torbido e arrovesciato, com'ella ebbe finito di saltare e di ridere, non potè a meno di spianare la sua fronte corrugata; tanto era completo e ricreante lo spettacolo che, avvolta così a bardosso nelle bianche vesti mattinali, offeriva quella regina della beltà, della gioventù, della salute e dell'allegrezza. E tale davvero era la Gaudenzi, che, veduta a quell'ora, avrebbe fatto girar la testa anche al rettore magnifico dell'università di Bologna. E tanto più riusciva pericolosa, quanto più era inconscia degli effetti che produceva; effetti che potevan suscitare incendj funesti, perchè nella vivacità romorosa e irrequieta e, quasi diremmo, infantile, del suo carattere, ella celava una calma profonda e inalterabilmente serena, cui nulla avrebbe potuto offuscare. E a vedere com'ella moveva e girava quei suoi grandi occhi azzurri, e come li fermava negli occhi altrui era imposibile credere che quegli sguardi non avessero una significazione profonda; ed era impossibile a non sospettare com'ella non fosse innamorata morta di chiunque, segnatamente se fosse un bel giovane, che stesse parlando seco; e che il più delle volte, infatti, beveva avidamente la luce di quelle pupille, esclamando fra sè con gran tripudio: Son io dunque il fortunato! - Ma ella non ne sapeva nulla, tanto era tranquilla e ingenua!! Ingenua, sì signori, quantunque da nove anni, (chè allora toccava i diciotto) respirasse l'aria torbida e la polvere corrosiva del palco scenico. Ma oltre ad essere perfettamente calma, era anche perfettamente buona; e la calma e la bontà, moltiplicate per una salute non mai stata turbata dal giorno che, bambina, aveva finito di metter l'ultimo dente, sino a quell'ora, davano per prodotto il buon umore appunto, e l'allegria costante; al che, se si aggiunga un'esistenza vissuta nell'agiatezza senza il fasto, tra gli applausi senza l'invidia, nell'amore dell'arte che la preoccupava assiduamente senza le amarezze di chi non è al primo posto, e tutto ciò col condimento di un'ignoranza felice, ignoranza d'ogni altr'arte e d'ogni altra cosa; il lettore potrà valutare completamente il fenomeno di questa figliuola ingenua della natura, della natura che aveva voluto appunto sfoggiare tutti i proprj tesori nel formarla e nel crescerla. Ma in che rapporti viveva questa giovinetta di diciott'anni con Lorenzo Bruni, e in che tempo si erano conosciuti e in che modo? e da qual luogo erano usciti e l'una e l'altro? Lorenzo Bruni aveva avuto per patria Treviso, dove nacque da un padre notajo, trentacinque anni addietro. Anch'esso aveva atteso alla giurisprudenza nello studio di Padova; ma essendosi applicato, così per passatempo, a suonare il violino, e riuscitovi più che mediocremente, e fatto con questo i primi guadagni a Venezia, e non colla giurisprudenza, la quale invece lo aveva condannato alla soggezione di un padre insopportabile, tempra curiosa d'uomo che forse suggerì l'idea di sior Todero a Goldoni; risolse di non farne altro, e un bel giorno, senza domandare il permesso paterno e senza nemmeno salutare i consanguinei, fece la scritta con un impresario, e passò da Venezia a Bologna; e così, d'orchestra in orchestra, percorse le principali città d'Italia. A Livorno s'impegnò in seguito con un impresario di Marsiglia, e da questa città erasi condotto a Parigi, dove rimase un pajo d'anni. Libero come l'aria e insofferente d'ogni benchè minimo legame, aveva scelto la professione di suonatore appunto perchè, indipendente da qualunque padrone, da qualunque paese, da qualunque autorità, cittadino di tutto il mondo, trovava dovunque il fatto suo. E oltre a ciò, dotato di mente svegliatissima e istrutto più che mediocremente, travasandosi di luogo in luogo, si godeva a notare le varietà dei costumi, della natura dei paesi, dell'indole dei ceti, delle leggi, delle corti, de' cortigiani, delle arti, ecc., e a far la conoscenza degli uomini più distinti d'ogni città che visitasse; a Parigi, tra gli altri, aveva avvicinato Voltaire e Rousseau e Diderot e d'Alembert. Quella sua natura inquieta e libera, per la quale non aveva potuto sopportare il giogo paterno, nè indursi a chiudersi in una città sola per tutta la vita, dimostra com'egli fosse più adatto che mai ad esaltarsi alle idee di quei quattro atleti dell'intelligenza, che erano destinati a far da leva al mondo invecchiato. Fin da giovinetto, quantunque i precetti paterni avessero fatto di tutto per chiudere il suo spirito in una scatola, egli aveva però compreso, in confuso, che troppe cose non andavano bene intorno a lui; a Venezia, per esempio, si era invelenito pensando alla consuetudine delle denunzie segrete, e siccome aveva visto che colà al reggimento della cosa pubblica non saliva che il patriziato, ad esso dava colpa di tutto e l'aveva preso in odio con tutta l'esagerazione di un giovane più caldo che riflessivo, il quale non guarda che un lato unico dei prospetti umani. Nè, quando stette fuori di Venezia, potè mai nelle altre città trovar cosa che placasse l'ideale delle sue aspirazioni; e allorchè, venuto a Parigi e lette le prime opere di Voltaire, e sentitosi preso d'amirazione per esso, udì poi raccontare il fatto, incominciato a tavola del duca di Sully, tra Voltaire e l'arrogante marchese Rohan Chabot, e finito in istrada con quella bastonatura che il nobile borioso avea fatto applicare, per vendetta, a Voltaire; tanto più sentì crescere l'avversione verso quel ceto, il quale allora almeno, se non cercava di aggiungere i proprj ai meriti aviti, si ajutava d'orgoglio e di prepotenza per essere rispettato. E, in tale avversione, Lorenzo non aveva nè modo nè misura; e quantunque ricevesse le sue impressioni dalla realtà che lo circondava, pure, trascinato dall'imaginazione, o infervorato dallo sdegno, della società di allora faceva piuttosto la caricatura che il ritratto. Avveniva pertanto che se, per esempio, raccontavasi qualche bell'atto generoso di un qualche nobiluomo, egli se ne rodeva come di una causa perduta, e cercava cento modi per offuscarlo; e invece, se taluno della bassa plebe si fosse distinto per un qualunque nonnulla, ei ne menava sì lungo scalpore, da provocare lo spirito di contraddizione anche in coloro che pur la pensavano al pari di lui. Era insomma un uomo irrequieto, e che malissimo s'adagiava nel suo tempo. - Ma, di tali uomini, in quel momento critico della metà del secolo passato, ne eran nati parecchi, non si sapeva come, in molte parti dell'Europa. Eran come quelle nuvolette bigie che si mostrano a grandi lontananze e a vari punti dell'orizzonte su di un cielo tutto sereno di un giorno d'estate e d'affannosa caldura; nuvolette che sembran comparse a caso e per dileguarsi tosto; ma che, invece, s'avvicinano grado a grado e, nell'avvicinarsi, s'ingrandiscono finché, a un tratto, tutto il cielo non è che una nuvolaglia sola, e intanto il sordo brontolìo del tuono si fa sentire in lontananza.
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