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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO SECONDO
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VIII

Talora dà il caso che, nella massima esaltazione di un sentimento o di più sentimenti, quando tutte le facoltà dello spirito, quasi ubbriacate, hanno cessato di agire regolarmente, essendo messe in rivoluzione da una sventura, da un pericolo, da un dolore, da un colpo imprevisto, occorra necessariamente di prendere un partito; e in tal contingenza si abbracci precisamente quello che è il più opportuno, e che forse non sarebbe giunto a trovare nè a proporre nemmeno la mente più calma e più provvida. - Bisogna adunque che quella esaltazione procellosa de' sentimenti assomigli all'acquavite campale, che spinge fin le reclute contro le bajonette d'un battaglione quadrato; e, per valerci d'una similitudine un po' più gentile, conviene che quell'esaltazione produca quasi un sonnambulismo benefico, il quale, togliendo per poco all'uomo la ragione, la quale può turbarsi in conseguenza della sua potenza medesima e della sua virtù illimitata, gli dà invece l'istinto che va diritto per la sua via, men nobile, se vogliamo, ma più determinata e precisa. - La disperazione, per esempio, non accetta mai le sue leggi dalla ragione, ma si sottomette, sebbene inconscia, alla spinta cieca dell'istinto, ed egli è per questo che qualche volta i suoi consigli sono un sublimato di prudenza.

Una salus victis: nullam sperare salutem.

Applicando ora queste nostre riflessioni alla condizione speciale della contessa Clelia, se, dopo avvenuta la catastrofe del finto Amorevoli e del deliquio, tre uomini di consiglio, come soglionsi chiamare, si fossero uniti per risolvere in fretta e in furia quel che la sventurata avrebbe dovuto fare, è assai probabile che non avrebbero dato il più sano parere.

E, in quanto a noi, siamo specialmente convinti che si sarebbero ben guardati dal dirle: Fuggite, e senza perder tempo, e sola e in qualunque modo ciò vi riesca. Eppure, a pensarci bene, era questo il partito più conveniente che rimaneva alla contessa. Anche noi, dobbiam confessarlo, quando sentimmo per la prima volta che donna Clelia era scomparsa dal teatro, abbiamo fortemente sospettato non le avesse dato di volta il cervello; ma poi, a nostro dispetto, dovemmo convenire che un consiglio di tal fatta non le poteva esser venuto che da Salomone; tanto la disperazione avea tenuto luogo di sapienza! A rimanere a Milano e nella sua casa, come poteva sopportare la presenza del marito? e poi, chi sa cos'avrebbe potuto fare quello spagnuolo inferocito? Come sostenere lo sguardo della madre? come rispondere, cosa dire? Con che fronte uscire in pubblico ad incontrare gli sguardi di tutta la città? Come resistere all'insultante pietà delle rivali trionfanti? Ma ella non avea nemmen pensato a tutto ciò. Riavutasi del deliquio e uscita dal palchetto, col domino tra le mani e come per pigliar aria, guizzò tra la folla delle maschere che facevano ingombro al palchetto e assiepavano il corridojo, e senza titubanze e rispetti, chè la disperazione è imperterrita e non conosce ostacoli, uscì dal teatro; e là, allontanatasi dalla porta dell'ingresso, avvolta nel domino a bardosso, ed esposta così al freddo e al vento, che pareva un Sibilla vaticinante, vista la carrozza di casa Cusani che conosceva (per essere la moglie del marchese Cusani in grande intrinsichezza col Conte V...), chiamò il cocchiere per nome. Quegli si volse, e, col lume del fanale e del primo crepuscolo, riconosciuta, sebbene a stento, la contessa:

- Cosa mi comanda? disse.

- Sta queto, che già siam d'accordo colla marchesa; ho bisogno della sua carrozza; e di buon trotto accompagnami alla mia villa a Gorla...; tu ci sei stato altre volte. Vogliam fare una burla a qualcuno.

Il cocchiere non rispondeva, e stava perplesso; ma la contessa, aperta la porticina :

- Suvvia dunque, t'affretta; chè non c'è tempo a perdere, e se non si corre, ogni cosa può andare a vuoto.

Il cocchiere si strinse nelle spalle, ma obbedì; e sferzati i cavalli, in mezz'ora fu a Gorla sul naviglio. Spuntava il primo sole quando fece una magistrale voltata entro al portone già dischiuso della sontuosa villa V... - Colà giunta, la contessa chiamò il castaldo, che accorse con di lui grande stupore; fece pagar lautamente il cocchiere, al quale impose di ritornar subito a Milano; poi rivolta al castaldo:

- Ti farà meraviglia ch'io mi trovi qui? Ma oggi verrà il conte... e sentirai da lui... or non è tempo a perdere... e fa attaccare i migliori e più veloci cavalli che hai nelle stalle... e dammi un uomo. - Il castaldo obbedì anch'esso prontissimo, per quante congetture facesse. - La carrozza fu tirata fuori, i cavalli attaccati, l'uomo fidato fu tosto in serpe colla sua frusta disposta alle battiture. - Donna Clelia intanto aveva scritta una lettera, che, fatto chiamare un contadino, della cui incapacità a leggere e a scrivere volle prima assicurarsi, gli consegnò, perchè la ricapitasse al curato di Santa Maria Podone. - E il contadino era partito sotto gli occhi stessi della contessa, e senza che il castaldo potesse veder la lettera, dopo ciò la contessa erasi levate le gioje, che mise in un fazzoletto; poi si sciolse i capegli, li abbassò, li rese meno appariscenti, e li nascose in un velo nero che si fece dare dalla moglie dell'agente; raccolse infine al possibile la coda del vestito azzurro ricamato in argento e si avvolse tutta come potè meglio nel domino, adattandoselo alla vita come un vestito comune; e così stranamente acconciata, chè il tumulto de' pensieri gl'impediva d'avere il capo a tali cose, salì finalmente in carrozza, dicendo forte al cocchiere: Ponte san Marco. La casa V... aveva un vasto tenimento tra questo luogo appunto e il lago di Desenzano, e se la contessa si diresse a quella volta non fu per altro motivo che perchè era quella la terra più lontana dei possessi di casa V... Il viaggio durò tutto quel giorno e il successivo. - A notte inoltrata donna Clelia giunse alla villa, tra le solite meraviglie degli agenti e delle fattoresse. All'alba del terzo giorno, avuto il modo di cangiar vesti, scomparve improvvisa anche dalla villa, all'insaputa di tutti.

Se la contessa non avesse pensato a partire inosservata dalla villa di Ponte san Marco, la sua prima fuga non le avrebbe giovato a nulla; perchè, di fatto, da Milano fu spedito sulle sue traccie un uomo fidato sin là, e ciò dovea naturalmente succedere, poichè il cocchiere di casa Cusani, tornato a Milano, quando la marchesa padrona era già a letto, dopo essersi sentito minacciare lo sfratto dalla casa del padrone montato in sulle furie, raccontò il fatto della contessa V... Allora il marchese Cusani, che già sapeva della sparizione di lei, mandò il cocchiere stesso ad avvisarne il conte marito, che tosto inviò un servo a Gorla, ove ebbe la notizia che la contessa era partita per Ponte san Marco; tanto che, quando esso, la madre, il fratello e la sorella di donna Clelia, verso l'ora bassa della prima domenica di quaresima, versavano in quell'angoscia che il lettore sa, un uomo della casa era già in viaggio per quella volta; chè il conte non avea voluto per nessun modo che partissero nè il fratello nè la madre; se a ragione o a torto non sappiamo, ma chi s'attenta di discutere sulla ragione e sul torto in momenti di tanto affanno e scompiglio?

Qui poi occorre di notare per la completa intelligenza delle cose, che il fratello della contessa, quando sentì dal carrozziere di casa Cusani quel ch'era avvenuto, si recò insieme con esso dal marchese medesimo, il quale, dopo un lungo discorso tenuto col conte, ingiunse al carrozziere di non lasciarsi sfuggir di bocca quel ch'era seguito, nemmeno colla marchesa, alla quale si sarebbe concertato quel che dovevasi dire. - E la casa V... incaricò della medesima incumbenza verso i gastaldi della villa a Gorla, l'uomo spedito colà e altrove a cercar notizie della contessa. È a notare inoltre come, in sull'ora tarda della stessa prima domenica di quaresima, il curato di Santa Maria Podone avea portato in persona una lettera a donna Paola Pietra, ed era quella appunto che la contessa aveva scritto prima di partire per Ponte san Marco. In quella lettera, con un disordine d'idee e di modi che è facile immaginare, donna Clelia narrava in prima il fatto accaduto in teatro, poi veniva prorompendo in questi sentimenti:

- "Così tutto è finito per me, nè potrò mai più mostrare la mia fronte a chi m'ha conosciuta, chè piuttosto vorrei trovarmi mille braccia sotto terra. Oh se tosto avessi adempito il suo consiglio, donna venerata, almeno il mondo mi avrebbe dato il merito di una franca confessione, e forse non sarei stata disprezzata da colui, nè tanto punita; quantunque, per verità, non mi sembri poi di aver meritato così fiero e spietato trattamento. Oh potessi far noto al mondo qual era la mia intenzione, e come il pensier mio non fosse altro che di scansar pel momento gli scandali del carnevale... Almeno colui potesse conoscere che la mia intenzione era di salvarlo in ogni modo! Ma faccia ella per me, venerabile signora, il bene che io non ho potuto. La sua carità proveda e accorra e ripari. Se mai credesse di parlare a mia madre, di parlare al conte, lor faccia intendere ch'io non ho veruna macchia grave a rimproverarmi, e che fui assai più disgraziata che colpevole, disgraziata quanto mai si può pensare... Ma ora vedo di darle un incarico impossibile... perchè non è bene, e non desidero ch'ella veda nè mia madre, nè il conte. Chè lo giuro formalmente a lei, venerabile signora, nè ella stessa potrebbe distogliermi da questo proposito... Non sarà mai ch'io ritorni mai più a vivere col conte; io non voglio vederlo mai più. Io non l'ho mai amato, nè lo amo, quantunque lo rispetti e lo compianga. Ma se egli è or fatto infelice per me, son sette anni ch'io son fatta infelice per lui; e d'altra parte vivo certissima che nemmeno esso non mi ha amata mai. Dunque si rompa una volta e per sempre questo nodo, il cui solo pensiero mi ha desolata, perchè... ma io sento il rossore di quello che stavo per dire, ma io sento il bisogno ch'ella mi protegga e mi consigli, e mandi il balsamo della sua parola soave sulla piaga insopportabilmente dolorosa del mio cuore. Or dove io vada non so. Nè so quello che io sia per tentare, nè quello che la disperazione vorrà fare di me. Ma qualunque cosa fosse per succedere; ma dovessi anche morire, chè oramai non vedo miglior mezzo d'uscita alla passione che mi divora e al tormento inesprimibile di non poter vivere senza alimentarla, e di dover incontrare il disprezzo di tutti e il mio stesso; dovessi, dico, anche morirne, io desidero che la sua parola, pietosissima signora, venga a confortarmi nella mia ora suprema. Or io parto... Ed ella mi scriva e tosto... e mandi la sua lettera a Brescia, dove io manderà a levarla, e sulla soprascritta metta il nome del mio casato a rovescio."

Come rimanesse donna Paola al ricevere questa lettera, è facile imaginarlo. - Il primo pensiero fu di recarsi tosto a spargere qualche conforto fra coloro che dovevano vivere in angustie per la partenza della contessa. Ma poi riflettè che ne potevano scaturire guai più serj, e che prima di parlare alla madre e al marito della contessa erano indispensabili altri provvedimenti. - Intanto credette bene di rispondere subito a donna Clelia, e di trovare il modo perch'ella si ricoverasse in luogo sicuro, dove potesse guardarsi e dalla passione propria e dall'ira gelosa del conte. - Le scrisse dunque di volo una lettera il cui tenore era questo:

"Donna tanto infelice quanto a me cara!

"Se la sventura vi ha visitata, voi dovete essere più forte della sventura. - Se abbiate ben operato ad abbandonare la vostra casa, nella pericolosa e speciale condizione in cui versate, non mi attenterò di recarne giudizio. Ma quand'anche aveste fatto il peggio, la Provvidenza metterà un riparo a tutto. Vi ringrazio, cara donna, che il vostro primo pensiero sia stato quello di scrivere a me, ed io vi mostrerò la mia gratitudine col fare tutto quello ch'io potrò per voi. Di questo potete vivere sicurissima, e se per ora non vi è dato altro conforto, questo vi sia almeno intero. Da più parole della vostra lettera, io scorgo che il vostro cuore, più assai che dalla medesima sventura e dall'onta, è penetrato da un pensiero troppo costante verso chi è vostro obbligo assoluto di dimenticare. - Cara la mia donna, il tempo guarisce di grandi piaghe, e vogliate aver fiducia nel tempo: ma credetemi, che per tornare a rialzarvi in dignità di donna onorata, e costringere il mondo, che si appaga di maldicenza e di disprezzo, a tacere e a rispettare, ve l'ho già detto, conviene che la vostra vita da quest'ora in poi proceda inalterabile e senza un rimprovero. Allora voi troverete che il mondo è qualche volta tanto giusto ne' suoi giudizj, quanto più spesso è precipitoso e spietato. Allora verranno i giorni in cui amerete la stessa sventura, perchè per suo mezzo sarà scaturita la vostra felicità.

"Ma pace per ora, la mia cara donna, pace e coraggio...; e giacchè non avete ancor ben determinata la meta a' vostri passi, e fuggite così a caso, cacciata dalla sola disperazione; e la solitudine potrebbe trarvi a malissimo partito, Dio vi guardi dalle funeste tentazioni della solitudine! Io scrivo in sull'istante ad una famiglia virtuosissima di Venezia, quella dove fui accolta io stessa con carità d'affetto, quando ci capitai da Milano, fuggita da chi mi teneva in ingiusta prigionia; che rividi, come tornai da Roma, e che l'anno scorso fu a visitarmi a Milano, con sempre costante amorevolezza. Voi dunque avete a recarvi colà, e, a tale oggetto, v'accludo un foglio perchè siate riconosciuta e accolta e abbracciata e consolata, e forse guarita coll'insistenza delle cure amorose. Ricevuta questa, rispondetemi di volo, e Dio vi benedica.

"PAOLA PIETRA"

Questa lettera giunse a suo luogo a Brescia, e presto arrivò nelle mani della contessa Clelia, la quale tosto rispose alla donna pietosa con effusione d'affetto, e coll'accettare il partito proposto. Così ella recossi a Venezia, dove infatti fu accolta con ogni maniera di affettuose dimostrazioni in quella casa a cui donna Paola aveala raccomandata.

Ma chi avrebbe detto che il destino, così spesso strano e capriccioso, come talvolta provvido, della dimora di donna Clelia a Venezia doveva valersene per iscoprire i capi del filo a cui s'attiene il fatto principalissimo del nostro racconto, e quello per cui sino ad ora avvenne tutto quello che avvenne? chè il lettore, dato che, per un caso de' più strani, abbia preso interesse a quest'istoria, non deve obbliare che, nella stanza vicina a quella dove giaceva il defunto marchese F... erano state trafugate delle carte; che probabilmente tra quelle ci doveva essere un testamento; che se era stato commesso un delitto di tanta gravezza, qualcuno necessariamente doveva averlo commesso e, se non di certo a Milano, in qualche parte del mondo colui doveva bene esistere e starsene cheto.

 




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