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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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X Ma per spiegare al lettore più cose che forse non ha compreso al primo, giova sapere come la contessa Clelia fosse stata bene accolta dalla famiglia Salomon per virtù della lettera di donna Paola Pietra: giova sapere, che se la persona e il nome della contessa stettero nascosti per alquanti giorni in Venezia, a poco a poco ne trapelò qualche notizia tra persona e persona che, frequentando la piazza di San Marco, portarono in piazza la notizia medesima; la quale venendo ad intrecciarsi al fatto che si attendevano al teatro di San Moisè in Venezia, per la stagione di primavera, la celebre ballerina Gaudenzi, e, per la stagione futura di carnevale, il non men celebre tenore Amorevoli, presto, insieme alla notizia ch'era già corsa dell'arresto di lui avvenuto a Milano pel contrattempo d'una tresca amorosa, e pel sospetto d'un delitto di più grave importanza, tali e tanti parlari si sparsero e racconti e congetture e sospetti e domande e lettere scritte espressamente a Milano, e risposte avute con gran sollecitudine, che si diffuse per tutta Venezia la novella che la contessa Clelia V..., la fatale Elena di quella seconda Iliade, erasi rifuggita in Venezia appunto e dimorava in casa Salamon. Però non si può dire quanto fosse generale il desiderio di vederla, di avvicinarla, persin di ammirarla; di esaminare dappresso se era poi tanto bella come si diceva, se il tenore era stato di buon gusto, se non aveva avuto torto a sfidare tanti guai, a farsi arrestare, a serbare un pericoloso silenzio, a rinnovare insomma quasi la tragedia di Antonio Foscarini per amore e rispetto e venerazione di lei. E la curiosità fu tanta, che il ponte che attraversava il rio San Polo, di repente si vide frequentato a tutte l'ore del giorno da gran numero di persone, per osservare se mai da qualche finestra si mostrasse la testa della donna che era l'oggetto del discorso universale. La contessa Clelia, a cui la buona famiglia che l'alloggiava riferiva quel che dicevasi nella città, stavasene celata dietro le finestre per vedere tutti senza essere veduta; ma tra i moltissimi notò una figura che assai le diede da almanaccare. Quella figura era d'un giovane gentiluomo, gentiluomo, almeno, per quanto appariva al di fuori, e per la ricchezza dell'abito e pel veladone di broccato e per la spada col fodero di velluto bianco; giovane tanto che forse non arrivava ai vent'anni, ed oltracciò di tant'avvenenza di corpo e di una bellezza così baldanzosa di volto, che quand'anche ella avesse il pensiero altrove, lo avrebbe distinto fra gli altri, anche se non le fosse sembrato d'averlo visto tante e tante volte, e più facilmente a Milano che in altro luogo. Quel giovane passò un giorno, passò due, passò tre giorni per di là e più volte quotidianamente; se non che ella potè accorgersi che non veniva coll'intenzione della moltitudine, la quale attraversava il ponte e gettava un'occhiata al palazzo Salomon; ma sibbene ci veniva per fermarsi a volgere lo sguardo ad una finestra del palazzo dirimpetto che stava presso al ponte, alla qual finestra compariva anche una fanciulla. Chiesto di chi era il palazzo, a donna Clelia fu risposto che apparteneva al patrizio Zen; ma non serviva che d'alloggio alle figlie di lui, le quali per educazione vivevan separate dal resto della famiglia; chiesto chi era la fanciulla, le fu detto essere la maggiore delle figliuole di quel gentiluomo; la qual giovinetta, che forse non aveva quindici anni e rappresentava il tipo più vetusto e più legittimo e più completo della beltà veneziana, era la sorella maggiore di quella Cecilia, che doveva col tempo, sposata al patrizio Tron, diventar celebre ed ispirare al grande Parini la famosa ode intitolata: Il Pericolo. Donna Clelia, per accertarsi se quel giovane era colui veramente ch'ella sospettava, o almeno per raccogliere un indizio di più onde avvicinarsi alla verità, lo additò un giorno ad uno della famiglia nel cui seno ell'abitava; affinchè senza farsi scorgere lo codiasse e lo sentisse a parlare con qualcuno. L'incarico venne accettato, e senza molta difficoltà, come ognuno può imaginarsi, in quel dì stesso venne riferito alla contessa che colui parlava il dialetto milanese. Questo bastò perchè donna Clelia potesse ritenere d'essersi apposta infallibilmente. In conclusione ella aveva creduto di ravvisare in quel giovane un tale Andrea Suardi detto il Galantino, che a diciasette anni era stato lacchè nella casa del marchese F... ed erasi reso famoso per la straordinaria velocità delle sue gambe, e per avere riportato tre volte il primo premio e la bandiera bianca nelle corse, che, secondo voleva allora il costume, le case più ricche di Milano, in certi determinati giorni dell'anno, facevan fare ai loro più riputati lacchè, onde vedere chi lo aveva più abile e più veloce. Quel giovinetto era dunque diventato una specie di celebrità del suo ceto, e siccome era di un'avvenenza non comune, ch'egli accresceva vestendo la livrea di lacchè con un'eleganza insolita, così veniva da tutti i grandi signori e accarezzato e regalato abbondantemente, ma il giovinetto, di mente svegliata ma di trista indole, era stato guasto da tante carezze e da tanta fortuna. Essendo manesco e rissoso, ad ogni momento il padrone, che gli voleva bene, bisognava pagasse le busse, le bastonate e, una volta, persino una coltellata che, ubbriaco, aveva appoggiato ad un collega nell'acciecamento di una rissa. Essendo discolo, e ch'era peggio, essendo bello, aveva messo a mal partito più ragazze del popolo; e il padrone, il quale aveva della debolezza per quel fanciullo, cresciutogli in casa da un vecchio carrozziere, s'era trovato costretto più d'una volta a pagare indennizzi e a far sospender reclami. A tutto ciò aggiungevasi, che diventato anche giuocatore e non bastandogli più nè il salario nè le mancie ordinarie e straordinarie, e avendo debiti di giuoco da pagare, un giorno rubò alcune monete d'oro al padrone; fatto che, per non essere stato scoperto, rinnovò più volte; ma alla fine, essendo caduti i sospetti su di lui ed essendo stato perciò tenuto d'occhio, fu visto una mattina da due servitori entrare bel bello nella stanza del signor marchese mentre dormiva, prendere una borsa da un tavoliere e, vuotatala per una buona metà, mettersi il danaro in tasca. Fu allora che, riferito e provato il furto, il giovane lacchè venne scacciato sui due piedi dalla casa F... Il marchese vietò ai due servitori di raccontare il fatto in pubblico, e per qualche tempo continuò il salario al giovane Suardi, il quale, trovandosi ozioso e fuggito da tutti, ognuno può pensare come potesse avviarsi al ravvedimento. Se non che, nell'occasione di una corsa straordinaria avvenuta a Milano tra i lacchè delle varie città di Lombardia, essendo quei di Milano, per esser mancato l'intervento di lui, rimasti gli ultimi, con grave offesa della gloria municipale, il giovane Galantino si offerse allora di battersi coi tre lacchè vincitori, i quale eran di Brescia, di Cremona e di Lodi; e la sfida andò di maniera, che la gloria di Milano riuscì per virtù sua a rimettersi al primo posto, tanto che egli ricevette doni da tutte le parti, e si rifece in gala. - Inoltre, per quella vittoria, un gran signore di Napoli, che era venuto allora a stare a Milano, prese il Suardi al proprio servigio, benchè dopo pochi mesi lo avesse licenziato, onde il giovane ritornò presto alla vita scioperata di prima. - Ora la contessa Clelia aveva veduto molte volte quel giovinetto lacchè, e anch'essa, pur nella sua severità scientifica, aveva applaudito e di cuore a' trionfi di lui, come avean fatto tutte le dame alle quali, com'è naturale, doveva essere simpatico quel giovane così bello e così alacre. - È dunque facile a comprendere come, ad onta del veladone di broccato e dei due orologi e delle ricche trine e della parrucca ad ala di piccione e del cappellino a tre punte listato d'oro, e di tutta quella trasformazione, dell'abitino succinto di lacchè all'abitone prolisso di gentiluomo, a lei facesse colpo quella figura e quella faccia veduta tante volte; faccia caratteristica quant'altra mai, perchè ad un profilo finissimo, ad una bocca quasi da fanciulla, ad un incarnato bianco e rosato, che parea quello di una educanda non ancora trilustre, facean contrasto due occhi neri, vivacissimi e pieni di fuoco, ma d'un taglio così traditore e d'una luce tanto sinistra, che a lungo lasciava disgustato chi lo guardava. Che il giovane Suardi, ossia il Galantino, come veniva comunemente chiamato a Milano, da questa città fosse passato a Venezia, non ci era nulla di straordinario, sebbene non fosse questo il luogo più adatto alla sua professione di lacchè; ma quel che ragionevolmente doveva promuovere di grandi sospetti era quello sfoggio repentino del suo abbigliamento e quell'aria di profumatissimo gentiluomo ch'egli si dava. La contessa, quando lo vide la prima volta sul ponte, pensò ch'egli avesse fatto una gran vincita al giuoco, e bizzarro qual era e amante della eleganza e del lusso, come ne aveva dato un saggio anche a Milano pur nell'umile sua livrea di lacchè, attendesse allora a gettare i guadagni in fretta e in furia nel recitare per poco tempo la parte del gran signore; ma a questa prima congettura ne tennero dietro delle altre, essendole nota la cagione per cui era stato cacciato dalla casa F..., e fece così altri sospetti di più grave natura. - Quando poi s'accorse del motivo pel quale più volte al giorno capitava su quel ponte, e vide la giovane Marina Zen aspettarlo ansiosa al balcone, e una notte, gettargli anche un letterino; fremette d'indignazione, e sentì una pietà profonda per quella giovinetta, che, cedendo alle prime effervescenze del sangue ed agli arcani desiderj del cuore, si era lasciata cogliere da quel vago aspetto di giovane, onde impaziente lo attendeva, e mestissima lo vedeva discendere dal ponte e dileguarsi. - Donna Clelia, nella sventura congenere in cui versava, aveva trovata quella nuova sollecitudine per i pericoli altrui, e un timore sinceramente affannoso che una fanciulla sbocciante allora allora dall'infanzia, cresciuta in tanta distinzione di natali, bella e fragrante come una rosa, ingenua al punto di abbandonarsi all'insidia per non sospettarla, fosse per cadere negli avvolgimenti di quel furfante mascherato. Lo spirito, la bontà e il senno di donna Paola erano in quel punto, trapassati nella contessa; tanto riuscì efficace il contatto della virtù, che per lei fu una consolazione l'imitarla. Da due notti il giovane Suardi, quando tutto dormiva, entrava nel rio in gondola; la fanciulla veniva ad una finestra del pepiano, come la chiamano i Veneziani; ed egli salendo al di sopra del felze, alzandosi in sulla punta de' piedi, e protendendo la mano, poteva toccar quella della fanciulla che, volendo e disvolendo, pur gliela concedeva. La contessa Clelia stava in sull'ali, e se non s'intromise prima in verun modo fu perchè, dopo pochi minuti, in quelle due notti, la fanciulla erasi ritirata, il giovane era disceso, e la gondola, movendo muto il remo, erasi dileguata. Pur quelle visite notturne, continuando, potevano esser causa d'irreparabili sventure, onde la contessa pensò che fosse debito suo il vegliare assidua e attenta. E in fatti, in quella notte in cui abbiam visto la contessa Clelia al balcone mentre le scintillava il pianeta di Giove in sulla testa, quel Giove tanto abile a trasformarsi per tendere insidie alle giovani beltà più celebrate della mitologia; nel punto che si smezzava in seno la passione propria e la pietà per la passione altrui, s'accorse della gondola consueta che procedeva nel rio; e di lì a poco, ferma che fu la gondola, vide affacciarsi la Marina, e tosto impegnarsi un dialogo sommesso e una corrente elettrica di sospiri affidati all'aria. Il Suardi stava, come di solito, sul felze; ma, ad un certo punto, come un leopardo che spicchi un salto traditore, gettò una corda al balcone, e di slancio fu al contatto del viso della fanciulla. Se non che, quasi contemporaneamente, si spalancarono a battere rumorosamente sui marmi le imposte della finestra del palazzo dirimpetto; e il Suardi sentì una voce squillante di donna a gridargli: Galantino! La fanciulla si ritrasse e chiuse i vetri; egli si volse a saettare la pupilla ardente, come un serpe inferocito percosso nella coda. Il raggio della luna, per una divisione che era tra palazzo e palazzo, penetrato allora nel rio, illuminava la finestra dove stava ferma donna Clelia in tutta la maestà della sua faccia di Minerva. Ci fu un istante di profondissimo silenzio e quasi terribile. Il Galantino ravvisò la contessa.
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