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Giuseppe Rovani
Cento anni

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  • LIBRO TERZO
    • VI
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VI

Disceso al palazzo Ducale, il Suardi fu condotto negli ufficj del Consiglio dei Dieci, dove da un segretario gli venne fatta lettura d'una nota del Senato milanese che lo riguardava; dopo di che gli fu soggiunto essere stato deliberato dai signori Dieci di esaudire l'inchiesta del Senato di Milano, facendo scortare il Suardi fino al confine, dove lo si sarebbe consegnato alle autorità competenti del ducato di Milano. Galantino a quell'intimazione, senza smarrirsi in apparenza, quantunque fosse oltremodo percosso nell'intimo suo, rispose: Riuscirgli inesplicabile una tale inchiesta; non aver esso fatto atto veruno pel quale potesse aver timore di chicchessia; che però si sottometteva obbediente al decreto e della Repubblica e del Senato di Milano, certissimo che in poco tempo ai signori Dieci sarebbesi fatta conoscere la causa dell'errore di cui egli in quel punto era vittima. Il segretario non rispose nulla, e soltanto chiesto al Suardi se voleva mandare a prendere le sue robe, se aveva affari lasciati in tronco in Venezia che volesse adempire; e sentito il suo desiderio, provvide a che fosse esaudito. Così in quello stesso giorno venne sotto buona scorta mandato a Milano.

Il Galantino, lo abbiamo già detto, aveva una tal tempra adamantina di corpo, che per il rapporto necessario che è tra materia e spirito, gli rendeva l'animo saldissimo e imperterrito, anche nel più fiero conflitto di quelle circostanze che avrebbero bastato ad abbattere qualunque altro. Avea pure, abbiam detto anche questo, una tal prontezza di veduta, da fargli pigliare di volo la misura esatta delle cose; ne sia prova il non esser fuggito innanzi alle cappe della Repubblica.

Sebbene dunque quell'arresto impreveduto lo avesse a tutta prima sconcertato, come avviene di un uomo robusto colto all'impensata da un colpo violento, tuttavia si riebbe dopo la prima scossa, e si bilanciò per non perdere l'abituale saldezza.

- Chi ne fa una ne fa due, pensava intanto fra sè nel fare il viaggio. E chi non ci mise nè pepe nè sale a tradire il marito, doveva ben tradire un lacchè. Ma va pur là, contessa... Se il diavolo mi toglie da questa trappola... voglio bene che ci rivediamo, e... allora tu sentirai cosa fa il Galantino quando pensa a vendicarsi. Prima però bisognerà scappar dalla trappola... questo lo capisco anch'io. In quanto a me, mi aiuterò... ma sarà sempre bene che gli altri non faccian l'asino... perchè di ragione, se io taccio, essi dovrebbero strapparsi la lingua piuttosto che parlare. Ah signor conte... io penso che la mia salute gli debba star a cuore più che a me... perchè se io cado, anch'esso ha a cadere... e da che altezza! Ben è vero che il conte non mi ha mai nè veduto nè parlato, e potrebbe, in un bisogno, lasciarmi solo nell'intrigo... Ma allora, quand'io sappia stare ben sodo nel dir di no... il malanno svanirà da sè. - E qui a codesti pensieri abbastanza gai in mezzo al disastro, succedevano altri pensieri, tutt'altro che lieti; e si presentavano alla fantasia conturbata del Galantino le parti squallide della sua condizione, malediva il giorno e l'ora che si era lasciato pigliare all'amo da chi non conosceva, per tentare una impresa delle più pericolose; perchè alle cose che già sa il lettore, aggiunga ora avere il Galantino aderito a trafugar le carte, tra le quali era il testamento del marchese F..., per insinuazione di un uomo che a lui volle tenersi ignoto. Che se egli aveva tosto pensato al conte F..., in quella circostanza, e per alcune parole scappate di bocca allo sconosciuto e per altri indizj, ciò non era stato che in conseguenza della sua straordinaria acutezza. Pensando così lungo il viaggio ad un tale sconosciuto, si turbò alquanto nel sospetto che colui, nel frattempo, avesse mai potuto commettere qualche imprudenza; o, per un giuoco non previdibile della maledetta fortuna, anche senza sua colpa, fosse caduto in qualche agguato. Più dunque l'ex-lacchè e l'ex-gentiluomo avvicinavasi a Milano, più smarriva la baldanza e non per il timore di dover passare troppo tempo in prigione, chè a questo, in suo pensiero, si lusingava di anche abituarsi; ma ciò che lo cruciava veramente si era che aveva con sè molt'oro e ricapiti di danaro; oro e ricapiti che avrebbe consegnato al diavolo piuttosto che alla giustizia. Ma a questo punto, per la solita legge del flusso e riflusso, gli vennero i terzi pensieri, che lo rimisero in calma nel punto che fu in veduta di Milano. - Il tarocco l'ho io, riflettè, e bene io fui destro nè a cederlo nè ad abbruciarlo, ed è riposto in tal luogo, che sfido il diavolo a scovarlo fuori; e prima converrà parlare con me. - Ma per quanto codesta riflessione lo avesse alquanto consolato, quando venne in piazza Fontana e guardando per la contrada Nuova vide la facciata negra e burbera del palazzo di Giustizia, uno dei pochi edificj architettonici di Milano che abbiano il di fuori come il di dentro, la sua faccia rosea diventò color di piombo.

Il Senato di Milano, poche ore prima, aveva ricevuto una nota da quello di Venezia, nella quale gli si annunziava la cattura fatta dell'Andrea Suardi e la sua partenza per Milano; però quando il Galantino entrò nel palazzo del capitano di giustizia, la sua venuta era attesa da qualche ora, e già gli era stato preparato l'alloggio. Il più generoso degli avventori non poteva venir trattato con maggior sollecitudine da nessun albergatore. La notizia intanto che le presunzioni pel fatto di casa F... erano cadute sul Suardi, lacchè notissimo a tutta Milano, era già corsa per la città, come avveniva sempre ad onta di tutte le precauzioni di segretezza; parimenti eran note a tutti le misure prese contro di lui, e questa volta pare che il Senato non abbia desiderato un soverchio segreto, e meno ancora quando il reo convenuto fu catturato; perchè un tal avvenimento accresceva presso il pubblico la riputazione dell'autorità criminale. Tutta la città di Milano fu dunque piena di un tal fatto, e l'aspettazione delle sue conseguenze erasi convertita in un'ansia impazientissima, perchè da un lato in tutti gli animi era spontaneamente penetrata la persuasione che il reo doveva precisamente essere il lacchè; e dall'altro era universale l'opinione che quel giovane furfante doveva aver lavorato per mandato altrui. Ma d'un nuovo fatto era in attesa la città, ed era la liberazione del tenore Amorevoli; a cui sapevasi già dover essere favorevole la sentenza del Senato. Questo, infatti, appena seppe che il lacchè era nelle mani del barigello, si raccolse a consulta e, ad una gran maggioranza, sentenziò per la liberazione del costituito Amorevoli; con ingiunzione però che non dovesse uscire dalla città di Milano fino a tanto che non si fosse iniziato il processo del Suardi, onde poterlo, all'uopo, sentire in giudizio a constatare la somiglianza o meno tra il costituito Suardi e l'uomo che il tenore Amorevoli aveva sempre asserito di aver veduto a fuggire.

Ma se per il cantante di camera del re di Spagna, dopo aver fatto per la prima volta in sua vita una quaresima di tutto rigore in carcere, a un tratto era comparso il sereno; per Lorenzo Bruni le cose camminavano diversamente, e tale e tanta era la mala prevenzione della magistratura contro di lui, che non solo venne chiamata assurda la difesa del Verri, la quale aveva proposto di mandarlo assolto d'ogni pena; ma contro la verità palmare, contro la deposizione di donna Paola, contro la irrecusabile prova esibita dalla lettera stessa della contessa Clelia, prodotta in giudizio, si volle capziosamente persistere nell'accusa di tentato trafugamento a danno della contessa medesima, o pel manco, trarre le cose in lungo, quasi in attesa di nuovi indizj contro il costituito Bruni. Pietro Verri, a cui la cosa fieramente cuoceva, e voleva pure, benchè solo e giovane e avversato dal padre, riuscire a far trionfare la giustizia assoluta contro la giustizia convenzionale, pensò di recarsi ad impetrare per quel fatto la valida cooperazione di donna Paola Pietra di cui era ammiratore sviscerato. Nemico per istinto e per ragionamento d'ogni pregiudizio e d'ogni schiavitù alle consuetudini tiranniche, aveva ammirato in colei quella potenza di ragione e di volontà, per cui, convinta del vero, era stata fortissima contro l'arbitrio; e per cui, avendo fatto ciò che, tra gli spiriti pinzocheri e il vulgo impregnato di idee false, doveva pure generare scandali e persecuzioni, non per tanto s'era comportata di maniera, da produrre gli effetti contrarj; onde fuggendo dal convento, ed essendo passata dalla vita claustrale a quella del secolo, aveva tuttavia fatto forza all'opinione vulgare ed era salita in tanta venerazione, che la maggiore non avrebbe potuto conseguirsi in verun altro modo. Il qual caso singolarissimo della vita di donna Paola aveva fatto più volte considerare al giovane Verri come non fosse poi, siccome altri opinava, impossibile il distruggere i pregiudizj e le male abitudini inveterate del pubblico costume; e come se tutti gli uomini che vedono il giusto avessero vero coraggio e costanza vera, gli errori non avrebbero mai avuto nel mondo una vita eccessivamente lunga. Fanciullo e giovinetto, essendo stato più volte insieme colla contessa madre a far visita a quella venerabile donna, pensò dunque che gli tornasse bene parlarle adesso che aveva una cosa importante ad affidarle. Per verità che la casa di donna Paola Pietra era frequentata giornalmente da un numero così strabocchevole di persone, e le cose a cui ella era supplicata di provvedere erano tante e così continue e intricate, che non basterebbe il portafoglio di due ministri per darne un'idea. Però il lettore potrà credere che una tal ragione di vita dovesse riuscire molto incomoda e penosa a quell'egregia donna, e che a' dar spaccio a tutto non le potessero bastare le ventiquattr'ore del giorno. Una tal cosa infatti l'abbiamo pensata anche noi, e al punto da sentirci mancare il respiro, quel respiro che qualche volta avrà dovuto mancare alla stessa donna Paola. Ma a tutto si risponde col dire che ella vi aveva il suo genio, e che recava l'entusiasmo nel pensiero di poter essere utile altrui. Certo che una donna di tal tempra è una eccezione fuor d'ogni ordine comune; ma è perciò appunto che l'abbiam messa innanzi ai lettori; che gli uomini e le donne di tutti i giorni non meritano sempre di essere oggetto alle elaborazioni dell'arte. - Fra Cristoforo, ideale sublime, si rifuggì al chiostro, perchè il mondo lo sgomentò, e non vide che fuori del mondo il da ubi consistam per far fruttare la sua calda virtù a pro de' fratelli. - Donna Paola Pietra fuggì invece dal monastero, perchè non sentiva come nel claustro ella potesse esercitare un'azione benefica a pro dell'umanità, e volle ritornare nel tumulto della vita e nel fitto della battaglia, felicissima di affrontar pericoli e di medicare ferite.

Pietro Verri si volse dunque alla casa di lei, e fattosi annunziare, senza tanti preamboli così le disse:

- Molte volte, in compagnia di mia madre, io venni qui, senz'altro fine che di vedere dappresso chi, anche fanciullo, io ammiravo tanto; ora vengo per una delle solite cagioni per cui vengon tutti: voglio dire, per interessarla ad ajutare delle buone persone, maltrattate dagli uomini. A me è riuscito di sapere come V. S. siasi già interessata a pro del costituito Lorenzo Bruni, del quale io fui eletto protettore per sua disgrazia.

- Per sua disgrazia? in che modo?

- È presto detto: per avere espressa la verità intera, e senza le solite astuzie della prudenza. Perciò sarebbe necessario che V. S. parlasse di ciò al signor ministro-plenipotenziario, il conte Pallavicini, il quale è l'autore appunto dell'ordinanza sulle maschere-ritratti, contro la quale il Bruni non ha altra colpa che della materiale contravvenzione. Ma siccome V. S. sa bene che si vuol persistere nel ritenerlo, se non colpevole, per lo meno sospetto d'aver fatto rapire la contessa... così...

Donna Paola Pietra si alzò a queste parole indignata, e:

- Ciò non è possibile, esclamò; io stessa produssi la lettera della contessa, che toglieva ogni dubbio.

- La luce non c'è, tanto per chi non ci vede, come per chi non ci vuol vedere...

- Parlerò al ministro...

- Prima però sarà bene preparare il Senato, che di ragione verrà interpellato: e i cavilli non mancano, e i sofismi e i soliti giuochi delle carte tramutate e dei bussolotti. C'è poi di più, che la contessa, a rigore di processo, dovrebb'essere sentita personalmente in giudizio... perchè una lettera... la S. V. capisce bene... può essere stata dettata e imposta dalla violenza, e la legge, quando vuole, tiene calcolo di tutto... onde a queste rimostranze il governatore potrebbe... Ella, che ha tanto senno ed esperienza, vede bene come vanno il più delle volte a finir queste cose, allorchè c'entra di mezzo il puntiglio.

- Voi dite benissimo... ma allora che si fa?

- V. S. mi perdoni, ma mi lasci parlare con libertà.

- Io sono qui ad ascoltarvi.

- È necessario che la S. V. senta la ballerina Gaudenzi alla quale io ho già parlato... Questa ragazza è la pupilla del Bruni, ed è la fanciulla più semplice e più virtuosa che dar si possa in seno a qualunque onesta famiglia, non che in mezzo alla polvere d'un palco scenico... ed è tanto sconcertata per la prigionia di quel bravo uomo di Bruni, che darebbe la vita onde vederlo rimesso in libertà. A costei ho dunque detto di venire a raccomandarsi alla S. V.

- Non c'era nessun bisogno, io sono disposta a far tutto quello che c'è da fare... anche senza che questa fanciulla s'incomodi a venire da me...

- Questo lo so anch'io, ma è un'altra la ragione per cui è necessario che questa buona ragazza venga consolata dalle parole e dai consigli della S. V.

- Ma di che dunque si tratta?

- È un affare assai delicato.

- Sentiamo.

- V. S. sa che il Senato... voglio dire i Senatori, almeno alcuni di loro, non sono quelli che precisamente dovrebbero essere... e che taluno, son cose che fa pena a dirle, ha, per esempio, l'abitudine di fare, benchè di nascosto... bottega dell'alto suo ministero...

- Oh!!...

- Io non credo d'aver detto cosa che le possa riuscire assolutamente nuova; ella ha provato di peggio.

- Pur troppo. Continuate.

- Il caso poi ha voluto che quelli precisamente che trattan la giustizia colle ganascie più che colla mente e col cuore, sono i più aperti d'ingegno.... e quel che più fa, sono i più ostinati e violenti, e hanno l'arte di tirar la maggior parte a votare con loro... V. S. vede dunque che...

- Vedo tutto e non vedo nulla.

- Converrebbe che la ballerina Gaudenzi in compagnia d'una sua zia facesse una visita a questi tali... e dopo le suppliche e i sospiri e i pianti... trovasse il modo di lanciar gentilmente deposto sul tavolino verde, tra la penna e il calamajo, qualche rotoletto onnipotente di zecchini. I nomi dei signori senatori a cui l'oro fa dir Toma per Roma son questi e questi (e pronunciò nomi che noi non possiamo ripetere). Ma, continuava il Verri, come si fa a dir tutto questo alla fanciulla, dal momento che a me, per mille rispetti, è impedito di toccar un tal tasto?... Nè lo avrei fatto oggi, se non fosse qui ad ascoltarmi la vostra saviezza.

- In conclusione, a che volete riuscire con queste parole?...

- La vostra sapienza m'illumini; ma se, a mettere in salvo gli innocenti, non ci fosse proprio nessun altro mezzo che il sacrificio di cinque o sei rotoletti... che sono una bazzecola per chi saltando in teatro guadagna più di un ministro, converrebbe forse, per soverchio rispetto alla giustizia, lasciar offendere la giustizia?

Donna Paola Pietra si alzò, e:

- Mandate da me codesta fanciulla. Sentirò e vedrò... ma, caro mio, la cosa è così estremamente delicata ch'io non so quel che sarò per fare. Son propositi che solo a toccarli contaminano la ragione e l'onestà... Un tempo erano crudeli e feroci. Ora han mitigate le apparenze, e son diventati... Oh tempi infelici! Mandatemi dunque la fanciulla.

Pietro Verri partì.

Il dialogo surriferito del conte avrà fatto senso al lettore, e anche noi fummo per gran tempo in dubbio di mettere a nudo cotali piaghe. Ma pensando poi che tutto serve a lezione, e che il fatto solo della possibile pubblicità che tosto o tardi viene a svelare le colpe state commesse nella creduta sicurezza del segreto, può utilmente fare il suo effetto in tutti i tempi e in tutti i luoghi; abbiamo creduto opportuno di affidare per la prima volta alla stampa la notizia di alcuni accidenti della vita pubblica e privata del secolo passato, che finora non ottennero che di passar di bocca in bocca dall'una altra generazione, e di non deviare e perdersi nel trapasso. Ma dove sono i documenti orali di quanto fu riferito? Essi sono scarsi e succinti, ma fedeli; essi sono sfoghi repentini della satira plateale, ma che ottennero di perpetuarsi quasi come l'epigrafe della storia in tavola di bronzo. Chè il popolo avea l'abitudine di nominare alcuni senatori intinti nella pece della venalità con motti proverbiali; e per citarne uno, aveva condannato a subire il disonore della strofa seguente due che in ciò avevan passato il segno:

Divora il C...erro

L'oro, l'argento e il ferro;

Il senator M...tone

Divora anche l'ottone.

Che più? In un vivacissimo diverbio avvenuto nelle aule stesse del Senato, un Morosini, il quale era svizzero (in Senato confluiva la nobiltà non solo del ducato di Milano, ma anche d'altri Stati, della Toscana, per esempio, della Romagna, ecc.), ebbe a dire ad un senatore che avea gran voce in capitolo, ma che facilmente si lasciava pigliare all'amo, Ch'egli non aveva i suoi possedimenti a Biassonno, ossia che non biasciava o non mangiava alle spalle altrui. Se non che quello stesso Morosini che avea la virtù d'essere incorruttibile, assaporava poi con truce diletto i tormenti fatti subire agl'imputati, e assisteva alla tortura sorseggiando la cioccolata.

Ed ora andiamo a trovare il tenore Amorevoli.




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