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Giuseppe Rovani Cento anni IntraText CT - Lettura del testo |
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VII La letteratura sarebbe assai più feconda se avesse il comodissimo privilegio della musica, nella quale, allorchè un maestro si trova a contatto di una bella situazione drammatica, e si ricorda d'aver letto in qualche vecchio spartito un bel motivo che gli paja ben adatto alla situazione stessa, se lo appropria senza molti scrupoli e senza timore che gli si possan fare i conti addosso. Il sommo, l'unico, l'immortale Rossini, allorchè un amico gli fece osservare, a proposito d'un suo celeberrimo quartetto, che quella musica trovavasi già in un vecchio spartito di Meyer, il maestrone non fece altro che crollare il capo, ed esprimere la sua compassione per la mellonaggine dell'amico scrupoloso, soggiungendo, per un di più, queste parole: - Dal momento che a quella situazione non c'era e non ci poteva essere musica più acconcia di quella già fatta da Meyer, perchè correr pericolo di guastare una situazione per la smania puerile di fare una musica nuova? - Oh così potessimo godere anche noi di un tal privilegio, e tanto più che vi avremmo un diritto maggiore per la nostra condizione di non immortali! In virtù di questo privilegio noi oggi non avremmo fatto altro che riportare come cosa nostra quella bella variazione che Goethe mise in bocca al suo Fausto sul tèma eterno della primavera: "I ruscelli e i torrenti si disvolgono sotto il soave, vitale sguardo della primavera; il vecchio e debole inverno si va ritraendo sull'ispide cime dei monti. Di lassù ci manda ancora, nella sua fuga, qualche spruzzaglie di gelo, ecc., ecc.," e così, senza molta fatica e colla sicurezza d'un gran successo, avremmo fatto l'istrumentale d'introduzione all'aria di sortita del tenore Amorevoli, che uscì di fatto di prigione in primavera, mentre faceva una splendida mattina del mese d'aprile, un aprile che avrebbe ben potuto chiamarsi fiorile anche prima della nuova nomenclatura della repubblica francese. Oh dev'essere bene esuberante la gioja che prova un galantuomo il primo istante che, preso commiato dall'amico secondino, esce all'aperto, libero, tra gente libera... vogliamo dire senza manette. E una tal gioja non possiamo gustarla che per intuito, dal momento che non abbiam mai avuto, non sappiamo se la disgrazia o la fortuna, d'andare in prigione; diciamo la fortuna, perchè da quel Giuseppe che disprezzò la moglie di Putifarre, al violinista Tartini, pare che la prigionia talvolta faccia l'effetto d'un di que' sogni per la cui virtù discendono infallibili ai mortali i numeri del lotto. Ma, per tornare a' fatti nostri, Amorevoli uscì tutto attillato, dalla prigione; chè i secondini pagati lautamente da lui, gli avean sempre fatto i punti d'oro. Uscì, e venendo per contrada Nuova e piazza Fontana, s'avvide di esser presso alla contrada Larga, e, per conseguenza, vicinissimo al teatro Ducale; però non ebbe allora altro pensiero che di recarsi là, e presto si trovò alla porta del teatro. Zampino, il servo del palco scenico, fu il primo a raffigurarlo, quand'egli si mostrò all'ingresso, e fu per cadere in deliquio per la gioja; non c'è nè cane barbone, nè cane maltese, nè cane pinch, che sappia fare smorfie e salti di consolazione alla vista d'un padrone ritrovato, quanti ne fece quel caro nanerottolo di Zampino a vedere la faccia del suo tenore, del signor Angelo Amorevoli, il quale era stato la sua risorsa durante la stagione di carnevale. - Nè Zampino si fermò lì, ma sempre, come un buon cane amoroso che corre abbajando in casa per annunciare alla famiglia la venuta del padrone aspettato, corse in teatro, dove si facean le prove per la stagione di primavera, e ad onta che la nuova prima donna signora Amarillide Bagnoli stesse sfoggiando una cadenza di parata, gridò con quanta voce aveva in corpo: Signori, è qui il signor Amorevoli! è qui finalmente il signor Amorevoli! Tutti i professori d'orchestra, i cantanti, i coristi, le comparse non ebber più l'animo alle prove, e furon tutti intorno all'Amorevoli a tempestarlo di domande e di congratulazioni; tanto che egli si vide obbligato ad invitarli tutti a pranzo all'albergo dei Tre Re, dov'egli era alloggiato e dove, pochi momenti dopo, si recò in compagnia di Zampino, de' cui servigj in quella giornata aveva grande bisogno. - E là non è a dire la festa che gli fecero l'oste, i camerieri, il cuoco, il quale andava superbo della confidenza che gli aveva accordato il primo tenore del teatrino, quel tenore tanto affabile che più volte erasi recato in cucina, con insolita degnazione, per ordinargli dopo il teatro il solito brodo a gelatina. - Ma il nostro Amorevoli entrò finalmente nel suo alloggio, rimasto vuoto da tanto tempo, e che l'oste aveva voluto a buoni conti chiudere a chiave nel tempo della cattura, pensando che qualcuno avrebbe pagato, e quando non si fosse presentato nessuno, si sarebbe pagato egli stesso col baule e coi tre cassoni, zeppi di roba e di vestiarj. A proposito dei quali, Zampino fu tosto in faccende per far loro pigliar aria, chè questa era sempre stata la sua incombenza; e intanto che il tenore attendeva a dare udienza alle visite, delle quali, dopo alcun'ora, cominciò la processione, era bello vederlo a togliere da un cassone un elmo che aveva servito nella parte d'Alessandro nelle Indie, e pulirlo colla seppia; toglier da un altro una daga con lama di damasco, che aveva brillato nell'Artaserse, e strofinarla con panno lano; sprigionare e spiegazzare un manto rosso tutto ricamato in oro, dicevasi, da una principessa incapricciatasi del signor Amorevoli (manto prezioso, che molto aveva contribuito al successo del Ciro in Babilonia), e metterlo a pigliar aria sulla ringhiera; e tirar fuori stili e stiletti d'ogni sorta con foderi di velluto di tutti i colori e prepararli per dar loro la polvere di pomice, e disporre tutte in giro a cavalcione della stessa ringhiera quelle dieci o dodici paja di maglie, color carne, bianche, rosse, azzurre. - Oh com'era felice Zampino di aver ripigliato quell'operazione importante! Quando le visite, fra le quali, oltre ai nobili ispettori del palco scenico, vi furono molti giovani cavalieri delle primarie famiglie, singolarmente innamorati della musica, concessero un po' di respiro al nostro tenore, divenuto in quel dì il personaggio più considerevole della città, al punto che se avesse fatto pagare il biglietto d'ingresso per farsi vedere, avrebbe guadagnato una bella somma; allorchè dunque tutti coloro lo lasciarono respirare, ed ei si trovò solo un istante, colse il momento opportuno, ed uscì per recarsi egli stesso a fare un atto di dovere con sua eccellenza il governatore conte Pallavicini, alle cui feste aveva cantato più d'una volta, e che, per quanto gli era stato riferito, aveva messa una valida parola a di lui vantaggio. Quando dall'usciere fu introdotto nell'anticamera magna, dove da qualche ora stavano in aspettazione i molti che si erano dati in nota per parlare a sua eccellenza, vide uscire dalla stanza del governatore la Gaudenzi appunto, insieme con la quale trovavasi donna Paola Pietra, ch'egli non conosceva. - Si riconobbero tosto e l'una e l'altra, e pari essendo stata la meraviglia in ambidue, si corsero incontro interrogandosi a vicenda: - Voi qui? - Qui voi?... E tosto la Gaudenzi volgendosi a donna Paola: - È il signor Amorevoli, disse. - Che oggi per la prima volta respira un po' d'aria libera, soggiunse tosto egli stesso. Donna Paola, sentendo quel nome, non potè a meno di guardare il tenore con grande curiosità, ma non disse nulla. Continuava intanto la Gaudenzi: - Sono qui, come vedete, perchè la nobile signora (e additava donna Paola) che si è degnata di accordarmi la sua protezione, ha avuta la compiacenza di presentarmi ella medesima a S. E., per impetrare la grazia del signor Lorenzo Bruni. - Scusate, disse Amorevoli, io vengo dal bujo, e veggo ancor bujo; qualcosa ho sentito dire, ma di preciso non so nulla; intanto che aspetto, vogliatemi dunque raccontare ogni cosa; e con atto di cortesia presentava una sedia a donna Paola. - Non vi pigliate incomodo, ella disse, mi attende la carrozza che mi dee condurre dove sono aspettata. Voi intanto, cara mia, soggiunse volta alla Gaudenzi, indugiatevi qui fin che il segretario vi porga il biglietto confidenziale di S. E. per il presidente del Senato... E in quanto al resto, vivete di buon animo, chè presto, mi lusingo, sarete uscita da ogni fastidio; che Iddio vi benedica! - E partì. - Oh che santa donna, oh che donna amorevole è quella che ora ci ha lasciati! disse la Gaudenzi. Senza di lei sa Iddio che mai sarebbe avvenuto di Lorenzo! - E si fece a raccontare all'Amorevoli tutto l'imbroglio storico che noi sappiamo. Amorevoli, che in prigione non aveva raccolto che qualche frammento di notizia dai secondini, il quale gli avea cresciuto la confusione delle idee, mentre poi coloro che lo avean visitato all'albergo non l'avevano intrattenuto che di complimenti, credette di sognare quando sentì la storia della maschera, del deliquio, della fuga, dell'arresto. - Dunque la contessa è fuggita? - Fuggita, sicuro. - Ma dove? - Si dice a Venezia. - Oh!!!... Amorevoli tacque...; la Gaudenzi non parlò. Un eloquentissimo silenzio durò per qualche momento. - Ma voi dovete ballare al san Moisè questa primavera, soggiunse poi Amorevoli. - Sì... e devo partire a giorni, e faccia la fortuna che Lorenzo ci abbia ad accompagnare. Ma ho sentito che anche voi... - Io sono scritturato, a stagione, pel carnevale venturo...; in quanto alla primavera, non sono obbligato che per sei recite, e non ho potuto dir di no, perchè quei signori patrizj mi hanno mandato una cambiale colla cifra in bianco; perciò vedete bene che ho dovuto lasciarmi vincere. La Gaudenzi sorrise, e non rispose nulla. In quella entrò un segretario di S. E., e le consegnò una carta, ricevuta la quale partì di là, insieme colla zia che l'attendeva in un angolo dell'anticamera. Amorevoli stette aspettando che venisse la sua volta di essere introdotto al governatore; per il che dovette lasciar passar quasi un'ora avendo cangiata la noja dell'aspettare nell'altra noja non meno pesante di dover subire mille interrogazioni da quanti erano là ad aspettare con lui. Entrò finalmente dal governatore, trovò affabile accoglienza, parlò, ebbe lusinghiera risposta, prese commiato, e, partito di palazzo, e adempiute alcune altre faccende, ritornò finalmente all'albergo dei Tre Re, dov'era già preparata una gran tavola per più di quaranta posate, la quale era la tassa che Amorevoli doveva pagare per essere stato liberato dalla prigione. Il numero dei convitati l'avea dato Zampino, che in quel giorno fu cameriere soprannumerario e sovrintendente. Poco prima delle due tutti i commensali eran raccolti all'albergo. Alle due fu dato in tavola. Vi sedevano la nuova prima donna, il nuovo primo tenore, il nuovo primo basso. Il primo violino direttore d'orchestra, il maestro Giambattista Lampugnani, compositore e concertatore; i rappresentanti di tutti gli ordini della gerarchia teatrale. Il pranzo principiò in silenzio, si animò a mezzo, si riscaldò poscia; prima cominciarono a parlare alcuni, poi ad uno ad uno entrarono tutti gli altri col sistema precisamente degli stromenti d'orchestra; e col sistema del crescendo rossiniano, allora nemmen sospettato dai maestri, quantunque fosse un modo spontaneo della combinazione dei suoni, tutti si confusero finalmente in quel poderoso e strepitoso unisono che compromette il timpano degli orecchi delicati. Quando poi corse il moscadello e il monterobbio, e le idee nei cervelli riscaldati cominciarono a far la ruota, non vi fu più ritegno nè di parole nè d'allegria. - Viva il tenore Amorevoli! - Viva il re dei tenori! - La simpatia delle platee. - Dite piuttosto dei palchetti. - Ah mio caro Amorevoli amoroso, saltò su un tal Frontino, secondo tenore, un po' esaltato, tu porti il nome con te e dovunque tu vada, quando non fai da Giasone, fai da Paride e fai da Enea... Ah diavolo che tu sei, ti ho seguito un pezzo per tutti i primi teatri e d'Italia e di fuori... e dappertutto hai sempre fatto l'effetto d'un tizzone gettato in una polveriera... Ti ricordi a Roma... ti ricordi a Napoli... Oh, a Napoli... quello fu un contrattempo!... E a Madrid... a proposito, sei guarito da quella puntura nel collo?... Ah... ecco qui... Chi si guarda dal guarnello, Più si guarda dal coltello.... Ah! ah! ah!... Poveri mariti, dove tu bazzichi... È però anche vero che non sei de' più fortunati... Là il collo fasciato, qui le mani legate. Ah! ah! ah!, e rideva un po' perchè aveva ragione, un po' perchè il vino rideva per lui. - Taci, taci, Frontino, disse Amorevoli, e lasciami in pace, e se sei allegro più del solito, sta in carattere almeno e parla di cose allegre. - Ho detto così per dire, e anche per darti un consiglio, il mio Amorevoli, perchè so che tu vai a Venezia... e quella è la città dei pericoli e dei trabocchetti amorosi. Però sta in guardia. Ma gli altri compagnoni, sebbene allegri come il secondo tenore signor Frontino, diedero di svolta a quel discorso malsano, e trovati altri propositi, prolungarono sin quasi a sera lo sturamento del monterobbio; e se ne uscirono tutt'altro che responsabili della conservazione del loro centro di gravità. E fu davvero un mezzo prodigio se, verso mezzanotte, i suonatori del teatro raccapezzarono tanto di lena e di fiato da mettersi a sedere ad una orchestra posticcia innanzi alla porta dell'albergo dei Tre Re, per fare una serenata di congratulazione e d'addio al celebre tenore che il giorno dopo doveva partir per Venezia; perchè, se il lettore non lo sa, lo sappia adesso, che prima di abbandonare il Capitano di giustizia, condotto a guardar la faccia di Galantino, protestò di non ravvisarlo affatto; onde ebbe licenza, se voleva, di partire anche dalla città di Milano. La parte giovane e vivace e tanto quanto musicale della popolazione di Milano, che aveva subodorata quell'accademia a ciel sereno, affollò la contrada dei Tre Re, e, secondo il costume imperscrivibile dei giovinotti di tutti i tempi e di tutti i luoghi, fecero un baccano del diavolo, e chiamarono a gran voce il tenore, che dovette più volte mostrarsi sul poggiolo dell'albergo a ringraziare, come se fosse una testa coronata, il buon popolo delle attestazioni di benevolenza onde gli era cortese; e finalmente potè andar a dormire quando i violini cominciarono a sentir l'aria umida della notte, e gli strumenti da fiato cessarono di ricever fiato dai loro proprietarj, che sonnecchiavano coi corni e i clarinetti in bocca. Ma v'è chi dorme di notte, e v'è chi veglia; e precisamente quando il tenore Amorevoli potè pigliar sonno, vegliava ancora... chi? un uomo di cui il lettore si è forse dimenticato: il conte ex colonnello V..., il marito della contessa Clelia. Noi lo abbiamo lasciato in un tristo momento, in cui l'ira gli era stata dimezzata in petto dalla pietà... Dopo, dovette cedere alle circostanze... ai pianti della madre di donna Clelia, a quelli della sorella, ai consigli del fratello... D'altra parte, fuggita la contessa, imprigionato il reo tenore, quand'anche avesse voluto far mulinelli collo spadone che aveva portato al reggimento, non avrebbe potuto che farli all'aria: si contenne dunque fremendo, al punto che potè aderire al suggerimento di suo fratello, uno del nobile collegio dei giureconsulti, e presentar la petizione formale per ottenere contro la moglie la divisione giuridica di letto e di mensa. - Essendo poi noto sì a lui come al parentado che la contessa erasi rifuggita a Venezia, dopo il falso gioco tentato per far credere ch'ell'era stata rapita, più volte ei fu in procinto di recarsi colà, e solo si trattenne al pensiero che poteva nascere uno scandalo nuovo, superiore al disonore. Oltre a ciò, il fatto che l'Amorevoli era in prigione, e trovavasi chi sa per quanto tempo fuor d'ogni libertà d'azione, gli ammorzò il furore per quella parte che bastava onde non lasciarlo partir da Milano. Ma durante quella giornata seppe che il tenore era stato messo in libertà; seppe inoltre (e a una tal notizia poco bastò non uscisse di cervello affatto), che il tenore era stato scritturato dai messeri ispettori del teatro di Venezia per sei recite. - Un uomo placido e di buon senso e di spirito, che fosse nato, per esempio, a Parigi e fosse un seguace del sistema onde colà trattavansi le infedeltà conjugali, non avrebbe fatto altro che recarsi a domandar consigli di prudenza a una mezza dozzina di ballerine voluttuose del teatro del Re... Ma egli era ispano-italico. - E questo fu il contrattempo. - Perciò, dopo il primo subbollimento del sangue, si contenne in apparenza, e si finse tranquillissimo coi parenti, col fratello, cogli amici; e tutto questo per potere annunciar loro, senza generare sospetti, che voleva lasciar per qualche tempo la città, e uscire a diporto... Partì dunque due giorni dopo, quasi contemporaneamente all'Amorevoli... e, pur troppo, alla volta di Venezia. Abbiamo pertanto, lettori amici e nemici, tutte le ragioni di credere che la guerra sia tutt'altro che finita, e che soltanto siasi trasportato altrove il quartier generale.
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