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Ludovico Ariosto La lena IntraText CT - Lettura del testo |
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(Un uom val cento, e cento un uom non vagliono. Questo è un proverbio che in esperïenzia questa matina ho avuto.) che di là viene: è desso. (Che partendomi di qui per far quanto m'impose Flavio, vo in piazza, e tutta la squadro, e poi volgomi lungo la loggia, e cerco per le treccole, indi inanzi al Castello, e i pizzicagnoli vo domandando s'hanno quaglie o tortore.) Vien molto adagio: par che i passi annoveri. (Nulla vi trovo: alcuni piccion veggovi sí magri, sí leggieri, che parevano che la quartana un anno avuto avessino.) Pur ch'egli abbia i danari! (Un altro toltoli averia, e detto fra sé: non ce n'erano de' megliori; c'ho a far che magri siano o grassi, poiché non s'han per me a cuocere?) Vien col braccio sinistro molto carico. (Ma non ho fatt'io cosí: che gli ufficii, e non le discrezïoni, dar si dicono. Anzi alla porta del Cortil fermandomi, guardo se contadini o altri appaiono, che de' megliori n'abbian. Quivi in circulo alcuni uccellator del duca stavano, credo, aspettando questi gentiluomini che di sparvieri e cani si dilettano, che a bere in Gorgadello li chiamassero. Mi dice un d'essi, ch'è mio amico: - Corbolo, che guardi? - Io glielo dico, e insieme dolgomi che mai per alcun tempo non si vendono salvadigine qui, come si vendono in tutte l'altre cittadi; e penuria ci sia d'ogni buon cibo, né si mangino se non carnacce, che mai non si cuocono; e perché non son care! Si concordano tutti al mio detto.) Io vo' aspettarlo, e intendere quel ch'egli ha fatto. un d'essi, e al canto ove comincian gli Orafi, mi s'accosta, e pian pian dice: - Piacendoti. un paio di fagian grassi per quindici bolognini gli avrai. - Sí sí, di grazia -; rispondo; et egli: - In Vescovato aspettami; ma non cantar -; et io: - Non è la statua del duca Borso là di me piú tacita. - In questo mezzo un cappon grasso compero ch'avea adocchiato, e tolgo sei melangole, et entro in Vescovato; et ecco giungere l'amico coi fagian sotto che pesano quanto un par d'oche. Io metto mano, e quindici bolognin su l'altar quivi gli annovero. Mi soggiunge egli: - Se te ne bisognano quattro, sei, sette, diece paia, accennami, pur che tra noi stia la cosa. - Ringraziolo...) Par che molto fra sé parli e fantastichi. …(E gli prometto la mia fede d'essere secreto; ma mi vien voglia di ridere: che 'l Signor fa con tanta diligenzia e con gride e con pene sí terribili guardar la sua campagna; e li medesimi che n'hanno cura, son quei che la rubano.) Spiccati, che spiccata ti sia l'anima! (Non ponno a nozze et a conviti publici li fagiani apparir sopra le tavole, che le grida che sono; e ne le camere con puttane i bertoni se li mangiano. Questi arrosto, e 'l cappone ho fatto cuocere lesso; e qui nel canestro caldi arrecoli. Ecco la Lena.) Io li avrò. Non mi piace udir rispondere in futuro. sei tu, che tutte l'altre il futuro amano. Ecco, presentoti cappon, fagiani, pan, vin, cacio: portali in casa. Parmi che saria superfluo aver portati piccioni, vedendoti averne in seno dui grossi bellissimi. Deh, ti venga il malanno! la man, ch'io tocchi come sono morbidi. Io ti darò d'un pugno. I denar, dicoti. Finalmente ogni salmo torna in gloria. Tu non tel scordi: tra mezz'ora arrecoli. Io trovai ch'in letto anch'era Giulio: gli feci l'imbasciata, et egli mettere mi fe' li panni s'una cassa, e dissemi ch'io ritornassi a nona. Intanto cuocere il desinare ho fatto, e posto in ordine. Ma le fatiche mie, Lena, che premio hanno d'aver? ch'io son cagion potissima che i venticinque fiorin ti si diano. Che vòi tu? Ch'io tel dica? Quel che dandomi, e se ne dessi a cento, non pòi perdere. Io non intendo. i danar, ch'io non so senz'essi intendere. Son dunque i danar buoni a fare intendere? Me sí, e credo anco non men tutti gli uomini. Saria, Lena, cotesto buon rimedio molta è, babbion, tra l'udire e l'intendere. Fa' che anch'io sappia questa differenzia. Gli asini ragghiar s'odono alla macina. né s'intendon però. sempre ch'io gli odo, intenderli: vorrebbono a punto quel che anch'io da te desidero. Tu sei malizioso piú che 'l fistolo. Or che l'arrosto è in stagion, vieni, andiamone a mangiar. Vengo. Dimmi: ov'è la giovane? Dove sono i danari? aver fra un'ora. far venir qui, come i danar ci siano. Andian, che le vivande si raffreddano. Va' là, ch'io vengo. - (Possino esser l'ultime che tu mangi mai piú; ch'elle t'affoghino! Mi debbo dunque esser con tale studio affaticato a comperarle e a cuocere, perché una scrofa e un becco se le mangino? Ma non avran la parte che si pensano: che anch'io me ne vo' il grifo e le mani ungere).
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