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Ludovico Ariosto
La lena

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  • ATTO SECONDO
    • SCENA TERZA
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SCENA TERZA

 

Corbolo, Lena

 

CORBOLO

(Un uom val cento, e cento un uom non vagliono.

Questo è un proverbio che in esperïenzia

questa matina ho avuto.)

LENA

Parmi Corbolo

che di là viene: è desso.

CORBOLO

(Che partendomi

di qui per far quanto m'impose Flavio,

vo in piazza, e tutta la squadro, e poi volgomi

lungo la loggia, e cerco per le treccole,

indi inanzi al Castello, e i pizzicagnoli

vo domandando s'hanno quaglie o tortore.)

LENA

Vien molto adagio: par che i passi annoveri.

CORBOLO

(Nulla vi trovo: alcuni piccion veggovi

sí magri, sí leggieri, che parevano

che la quartana un anno avuto avessino.)

LENA

Pur ch'egli abbia i danari!

CORBOLO

(Un altro toltoli

averia, e detto fra sé: non ce n'erano

de' megliori; c'ho a far che magri siano

o grassi, poiché non s'han per me a cuocere?)

LENA

Vien col braccio sinistro molto carico.

CORBOLO

(Ma non ho fatt'io cosí: che gli ufficii,

e non le discrezïoni, dar si dicono.

Anzi alla porta del Cortil fermandomi,

guardo se contadini o altri appaiono,

che de' megliori n'abbian. Quivi in circulo

alcuni uccellator del duca stavano,

credo, aspettando questi gentiluomini

che di sparvieri e cani si dilettano,

che a bere in Gorgadello li chiamassero.

Mi dice un d'essi, ch'è mio amico: - Corbolo,

che guardi? - Io glielo dico, e insieme dolgomi

che mai per alcun tempo non si vendono

salvadigine qui, come si vendono

in tutte l'altre cittadi; e penuria

ci sia d'ogni buon cibo, né si mangino

se non carnacce, che mai non si cuocono;

e perché non son care! Si concordano

tutti al mio detto.)

LENA

Io vo' aspettarlo, e intendere

quel ch'egli ha fatto.

CORBOLO

(Io mi parto: mi séguita

un d'essi, e al canto ove comincian gli Orafi,

mi s'accosta, e pian pian dice: - Piacendoti.

un paio di fagian grassi per quindici

bolognini gli avrai. - Sí sí, di grazia -;

rispondo; et egli: - In Vescovato aspettami;

ma non cantar -; et io: - Non è la statua

del duca Borso là di me piú tacita. -

In questo mezzo un cappon grasso compero

ch'avea adocchiato, e tolgo sei melangole,

et entro in Vescovato; et ecco giungere

l'amico coi fagian sotto che pesano

quanto un par d'oche. Io metto mano, e quindici

bolognin su l'altar quivi gli annovero.

Mi soggiunge egli: - Se te ne bisognano

quattro, sei, sette, diece paia, accennami,

pur che tra noi stia la cosa. - Ringraziolo...)

LENA

Par che molto fra sé parli e fantastichi.

CORBOLO

…(E gli prometto la mia fede d'essere

secreto; ma mi vien voglia di ridere:

che 'l Signor fa con tanta diligenzia

e con gride e con pene sí terribili

guardar la sua campagna; e li medesimi

che n'hanno cura, son quei che la rubano.)

LENA

Spiccati, che spiccata ti sia l'anima!

CORBOLO

(Non ponno a nozze et a conviti publici

li fagiani apparir sopra le tavole,

che le grida che sono; e ne le camere

con puttane i bertoni se li mangiano.

Questi arrosto, e 'l cappone ho fatto cuocere

lesso; e qui nel canestro caldi arrecoli.

Ecco la Lena.)

LENA

Hai tu i danari, Corbolo?

CORBOLO

Io li avrò.

LENA

Non mi piace udir rispondere

in futuro.

CORBOLO

Contraria all'altre femine

sei tu, che tutte l'altre il futuro amano.

LENA

Piaceno a me i presenti.

CORBOLO

Ecco, presentoti

cappon, fagiani, pan, vin, cacio: portali

in casa. Parmi che saria superfluo

aver portati piccioni, vedendoti

averne in seno dui grossi bellissimi.

LENA

Deh, ti venga il malanno!

CORBOLO

Lascia pormivi

la man, ch'io tocchi come sono morbidi.

LENA

Io ti darò d'un pugno. I denar, dicoti.

CORBOLO

Finalmente ogni salmo torna in gloria.

Tu non tel scordi: tra mezz'ora arrecoli.

Io trovai ch'in letto anch'era Giulio:

gli feci l'imbasciata, et egli mettere

mi fe' li panni s'una cassa, e dissemi

ch'io ritornassi a nona. Intanto cuocere

il desinare ho fatto, e posto in ordine.

Ma le fatiche mie, Lena, che premio

hanno d'aver? ch'io son cagion potissima

che i venticinque fiorin ti si diano.

LENA

Che vòi tu?

CORBOLO

Ch'io tel dica? Quel che dandomi,

e se ne dessi a cento, non pòi perdere.

LENA

Io non intendo.

CORBOLO

Io 'l dirò chiaro.

LENA

Portami

i danar, ch'io non so senz'essi intendere.

CORBOLO

Son dunque i danar buoni a fare intendere?

LENA

Me sí, e credo anco non men tutti gli uomini.

CORBOLO

Saria, Lena, cotesto buon rimedio

a far ch'udisse un sordo?

LENA

Differenzia

molta è, babbion, tra l'udire e l'intendere.

CORBOLO

Fa' che anch'io sappia questa differenzia.

LENA

Gli asini ragghiar s'odono alla macina.

né s'intendon però.

CORBOLO

A me par facile

sempre ch'io gli odo, intenderli: vorrebbono

a punto quel che anch'io da te desidero.

LENA

Tu sei malizioso piú che 'l fistolo.

Or che l'arrosto è in stagion, vieni, andiamone

a mangiar.

CORBOLO

Vengo. Dimmi: ov'è la giovane?

LENA

Dove sono i danari?

CORBOLO

Credo farteli

aver fra un'ora.

LENA

Et io credo la giovane

far venir qui, come i danar ci siano.

Andian, che le vivande si raffreddano.

CORBOLO

Va' là, ch'io vengo. - (Possino esser l'ultime

che tu mangi mai piú; ch'elle t'affoghino!

Mi debbo dunque esser con tale studio

affaticato a comperarle e a cuocere,

perché una scrofa e un becco se le mangino?

Ma non avran la parte che si pensano:

che anch'io me ne vo' il grifo e le mani ungere).





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