Scena
terza
Agata entra premurosamente, ed i
suddetti.
ROSALIA Che
desiderate, Agata?
AGATA Sapere se il
padrone è rientrato, perché vi è in sala monsignor abate, il quale ha somma
premura di parlargli.
ROSALIA (con
isbigottimento) L'abate?...
FERNANDO (vedendo
l'imbarazzo di Rosalia) E cosí?
AGATA Alla signora
non piace questa visita?
ROSALIA Non è
certamente per me - chi sono io? - Il padrone non è ritornato, ma non dovrebbe
tardare. Se monsignore si degna di attenderlo, potete introdurlo in questa
camera, dove ritroverà suo nipote.
AGATA (ironica)
Tante grazie! - (Che lunga conversazione! non ho potuto bene ascoltarla...
ma sapremo poi) (esce).
ROSALIA Io vado in
giardino da Emma.
FERNANDO Vi
consiglierei a rimanere; la vostra presenza mi darebbe coraggio per...
ROSALIA Io
rimanere qui?... è impossibile. Però mi raccomando a voi, don Fernando, che mi
conosceste giovinetta, che avete detto di credermi senza colpa. Assicuratelo
che non ne ho commessa alcuna, ditegli che non merito le sue persecuzioni,
perché ho patito tanto: che mi lasci vivere tranquilla, obliata, in questo
asilo, che mi ha dato il Signore... Ditegli ciò, o almeno non mi compromettete
di piú, siate onesto, prudente per carità! (esce per la porta dalla quale è
partita Emma).
FERNANDO Lo sarò.
- Una causa d'odio? Eh! non vorrei che monsignore, in luogo di far guerra al
vizio, la facesse alla troppa virtú... Non sono gonzo io, e ricordo benissimo
che questo pastore ne' suoi anni piú verdi, aveva delle predilezioni, poco
spirituali, per certe pecorelle e non sarebbe difficile, che trovatane una
smarrita, si fosse ingegnato di tirarla all'ovile... per carità evangelica.
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