Scena
quinta
L'abate ed i suddetti.
FERNANDO
Monsignore, venite in buon'ora.
ABATE Ebbene, chi
è questo amico vostro?
FERNANDO Chi è?...
consolatevi, perché ci occorre, appunto la vostra santa opera: trattasi di
perdono, di riconciliazione.
ABATE Di
riconciliazione?
FERNANDO Sí;
giacché io vi presento il marito di Rosalia.
ABATE (scosso)
Che cosa dite?... Ah! se fosse vero!... Ma il marito di Rosalia, del quale
ignoro il nome, trovasi però condannato a vita nell'ergastolo di Napoli.
CORRADO (alzatosi
con impeto) Monsignore, chi vi ha detto?...
FERNANDO (con
grande stupore) Corrado?...
ABATE E voi siete
quel desso?... ma come mai? sarei stato prevenuto? vi fu condonata la pena?
Parlate con confidenza; siamo in luogo sicuro.
FERNANDO Noi vi
salveremo a qualunque costo. Sareste fuggito?
ABATE Ditelo pel
vostro meglio.
CORRADO Ebbene,
che giova il negarlo? sono fuggito.
ABATE Ah! ciò va a
seconda de' miei desideri; perocché sappiate, mio caro, che lo stato incerto,
infelice, pericoloso di Rosalia mi aveva intenerito siffattamente, che
coll'aiuto del confessore di Sua Maestà, mi disponevo ad impetrare la vostra
liberazione, ed ero certo di ottenerla. Ma questa fuga non distruggerà i miei
progetti - al contrario. Informatemi delle circostanze che accompagnarono la
vostra disgrazia, le quali, siccome spero, mi faciliteranno i mezzi per
riuscire nell'intento, e farvi ottenere un salvocondotto; vedrete. Da bravo,
dunque; raccontateci tutto - poi vi condurremo al riposo, e domani vi troverete
in caso di fare una dolce sorpresa a vostra moglie, che certamente non vi
aspetta... Ah! io ne godo in anticipazione!
CORRADO Riaprirò
la piaga, don Fernando vi avrà già informato di ciò che riguarda il mio matrimonio...
ABATE Poco mi
disse.
FERNANDO E poco ne
sapevo. Ricordo solamente che amavate Rosalia da forsennato, ch'essa pure vi
amava, contro il divieto de' suoi genitori, ai quali non garbava punto il
vostro umore fantastico, il vostro carattere fiero, violento: che voi senza
tante cerimonie, e poco badando alle conseguenze, una bella notte rapiste
Rosalia alla sua famiglia, e ve la siete sposata. Ecco quanto mi è noto; in
seguito partii da Catania, e non seppi piú nulla dei fatti vostri.
CORRADO Fu meglio
cosí. - Vi lascio immaginare il dolore, che provarono i genitori di Rosalia,
l'odio che concepirono contro di me. Era giusto, ma allora non mi sembrava
cosí. Mia moglie aveva un fratello per nome Alonzo, il quale era riuscito ad
intenerire il cuore di suo padre... ma non verso di me. L'onesto vecchio
avrebbe volentieri perdonato alla figlia, l'avrebbe riaccolta in casa, se si
fosse decisa a lasciarmi. Rosalia, già divenuta madre di una vaga bambina...
resisté coraggiosamente ai consigli, alle preghiere, non meno che alle
minacce... ma invano, perocché decisero di rapirmela ad ogni costo, ed Alonzo
se ne tolse l'incarico. Fui avvertito della trama da un vecchio servo della
famiglia, che già aveva favorita ed agevolata la fuga di Rosalia dalla casa
paterna. Una notte... era la notte fatale destinata da Alonzo al rapimento
della sorella - io mi appostai sulla cantonata, e vedutolo, mentre si dirigeva
per entrare in mia casa, gli chiusi il passo, in modo che, pel suo meglio,
avrebbe dovuto retrocedere sul momento... ma invece lo sventurato ebbe
l'imprudenza di minacciarmi... minacciar me, egli, in quel luogo, in
quell'ora!... Subito le mie braccia diventarono d'acciaio come la lama dello
stile, che già serravo nel pugno. Al grido di Alonzo, si spalancò la finestra,
e vi comparve Rosalia spaventata, esclamando: “Corrado, rispetta mio
fratello!...” A quel secondo grido i miei occhi infoscati non videro piú che
sangue... e difatti la mia lama aveva già spaccato il cuore di Alonzo.
FERNANDO Che
orrore! capisco adesso perché poc'anzi trasaliste in quel modo!
ABATE Infelice,
continuate.
CORRADO Avevo
appena consumato l'omicidio che la giustizia divina era là per vendicarlo,
giacché fui arrestato sul fatto dalla pattuglia che passava per caso. Il mio
processo fu breve; le prove non mancavano; le circostanze rendevano piú grave
la colpa, anche per la resistenza da me opposta ai soldati. Venni condannato a
vita, e condotto nella casa di forza a Napoli.
ABATE I giudici
avrebbero potuto mitigare la pena, perocché, a mio avviso, se fu grave la
colpa, apparteneva però meno al cuore che al temperamento.
CORRADO Può darsi
- ed infatti non giunsi mai a domarlo, perché il vizio era nel sangue. Tredici
anni di lavori forzati non fecero che aggiungere fiele a questa lava che mi
scorre ancora per le vene. Per cui vi avete a figurare ciò che abbia patito un
uomo, quale io mi sono, giovine allora di ventotto anni, artista, marito,
padre, costretto come una fiera dal guinzaglio di ferro, ribadito nel masso
della carcere. La mia immaginazione mi fu sempre fatale, e nell'ergastolo
addoppiava i miei tormenti. Vedevo Rosalia sola, spregiata, mendica... ma
giovine e bella! - Quindi, o costretta a vivere col pane della elemosina, o con
quello della colpa... m'intendete voi? E mentre nel bagno urlavo per gelosia,
la sferza dell'aguzzino, invece di punire l'omicida, flagellava il marito. -
Non basta. - Avevo lasciata la mia figliuolina Ada, dell'età di un anno, o poco
piú, grama, pallida come un angioletto di cera, e me la figuravo ora stesa
sopra un letto di giacinti recata al cimitero; ora coperta di cenci, stretta ai
fianchi della madre, nell'atto di stendere le sue manine ai passeggeri; e
spesso invece, tutta ben vestita, vispa, saltellante in una bella casa, intenta
a prodigare le cure e l'affetto di figlia ad un ricco signore, ganzo della
madre... e quest'ultimo pensiero, incessante, questo orribile sogno bastava per
condurmi al delirio.
ABATE Lo credo - e
per verità, se la vostra immaginazione non vi avesse ingannato... Ah,
pover'uomo!... Ma in seguito?
CORRADO In seguito
pensai al modo di fuggire. Quest'idea fissa, tanto naturale nel prigioniero,
questo enigma che non riuscivo a sciogliere, questo lavoro assiduo, ostinato,
mi produsse una lenta febbre cerebrale. Allora il Reale commissario soprastante
alle carceri, ch'era stato intimo amico di mio padre, sentí compassione di me,
e mi fece trasportare in un carcere piú umano, dove ero solo e trattato con un
poco di carità, poiché fui anche sollevato dalle catene. Guarito dalla febbre
ritornai alla prima idea, al consueto lavoro. Mi diedi ad esaminare il piccolo
carcere, ch'era piuttosto una cella penitenziaria, e vidi che l'unica ferriata
non era molto alta. Coll'aiuto di un tavolo, che mi avevano recato per
collocarvi i medicamenti, mi arrampicai, e mi accorsi con gioia che al di là
del muro si trovava un cortile, poi subito la campagna. Non ero piú
sorvegliato, perché fingendomi tutt'ora infermo, non si credeva che mi
bastassero le forze per alzarmi dal mio giaciglio, dove stavo coricato tutto il
giorno per ingannare quelli che venivano a visitarmi, ma nella notte simile al
paziente meccanico, proseguivo con diligenza il mio lavoro, che cresceva,
cresceva. Oh! nessuno sa quanta forza acquistino le facoltà del prigioniero,
nessuno sa che le sue unghie diventano lime e scalpelli! Ma la catena stessa,
che per buona fortuna, i secondini avevano sospesa al muro, mi fu strumento di
liberazione, perché mi sono servito de' suoi lucchetti, de' suoi anelli per
iscalcinare le pietre, che tenevano confitte le spranghe della ferrata. Alla
perfine mi riuscí di smuoverne una - con questa sollevai la seconda, poi la
terza, la quarta... l'adito era aperto, ma bisognava spiccare un salto
pericoloso. Qui pure mi giovò la catena, giacché avendola raccomandata alle
spranghe rimaste, mi calai facilmente nel cortile, e da questo, piú facilmente
ancora, guadagnai la campagna.
FERNANDO
Ottimamente.
ABATE M'immagino
ciò che avrete provato dentro di voi vedendovi libero!
CORRADO No, non lo
potete. Bisogna essere stati sepolti vivi per tredici anni. Bisogna aver
contati quei lunghi anni, ora per ora, aver desiderato la libertà, la famiglia,
l'aria, il sole!... Io mi sentivo sano, robusto, felice! la mia fronte si
rinfrescava, i miei polmoni si dilatavano dentro a quella atmosfera imbalsamata
dagli aliti di tante esistenze! - Del resto è inutile che vi parli. Camminando
tutta la notte, ben presto mi posi in salvo fra le gole delle montagne. Un buon
abruzzese mi forní queste vesti, un altro assai ricco e caritatevole, un po' di
danaro e per tal modo, sulla cresta degli appennini, mi strascinai fin qui.
ABATE La
provvidenza vi ha assistito finora. Voi vedete dove vi ha condotto - presso
vostra moglie.
FERNANDO Dunque
coraggio.
CORRADO
Coraggio?... io ne ho avuto molto, vorrei averne ancora... ma da che intesi che
la mia Ada non vive con sua madre, nella casa di questo medico...
ABATE La vostra
Ada?... Aspettate... secondo quello che ho inteso, la giovanetta dovrebbe avere
quattordici anni...
CORRADO Sí.
ABATE Presso a
poco l'età della fanciulla, che, per quanto si è fatto credere, il medico ha
dato in custodia alla vostra Rosalia... Ma riflettete bene - siccome la figlia
legittima del dottore Palmieri cessò di esistere da lungo tempo...
FERNANDO Come?
ABATE (andando
allo scrittoio) Tengo presso di me l'atto mortuario, che ho già reso
ostensibile al medico, e...
CORRADO (subito,
infiammandosi) Ma chi è dunque la madre della fanciulla?...
ABATE Mah!...
CORRADO Per
l'anima vostra, spiegatevi!...
ABATE Buon Dio! come
vi lasciate subito trasportare dalla vostra immaginazione meridionale!... Io
che non sono sí facile a supporre il male, volevo dire solamente che la vostra
Ada potrebbe vivere nella pretesa figlia...
CORRADO Ada?
FERNANDO
Diavolo!... questo è impossibile.
ABATE Chi sa!...
fra le varie spiegazioni che si possono dare ad un mistero...
CORRADO La mia Ada
credersi figlia di un altro? amare un altro?... Non erano visioni d'inferno le
mie?...
FERNANDO Lo erano,
siatene certo.
ABATE Voi avrete
bene un qualche indizio per riconoscere vostra figlia.
CORRADO Ahimè!
quale? vi dissi che aveva poco piú di un anno, quando la lasciai.
ABATE Certo che...
ma, infine, di quali indizi ha bisogno un padre? la natura stessa...
CORRADO Ah! è vero
- il cuore mi dirà... Che potrà mai dirmi dopo tredici anni?
ABATE Allora
interrogherete Rosalia - la madre vi renderà ragione della figlia, la moglie di
sé stessa.
CORRADO Di sé?...
ABATE Sono questi
i vostri diritti.
CORRADO I miei
diritti? non lo so, monsignore; posso dirvi, però, che desiderai tanto, che
tanto ho fatto per rivedere mia moglie, ed ora che le sono vicino, tremo,
vorrei fuggire, ritornare nel carcere.
ABATE Perché?
CORRADO Vi dico
che non lo so.
FERNANDO Via,
Corrado, voi siete troppo agitato, siete debolissimo; vi occorre una buona
tavola, ed un ottimo letto.
ABATE Sia vostra
cura di fargli apprestare l'una e l'altra. Domani poi... Coraggio, la
misericordia del Signore è grande.
CORRADO Ma la sua
giustizia?... è l'una o l'altra che mi ha qui strascinato?... lo saprete
domani! (esce con don Fernando).
ABATE Domani il
leone avrà riacquistate le forze... e noi - signor dottore - riprenderemo il
nostro discorso (entra)
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