Le linee dei Mandani si erano a poco a
poco ristrette, onde impedire la fuga ai sei uomini bianchi, però nessuno di
quei formidabili guerrieri aveva mandato un grido che potesse sonare offesa
verso i disgraziati prigionieri.
Se ne stavano tranquilli, appoggiati ai
loro vecchi moschettoni, non dubitando certamente della vittoria del loro
sackem, ma lealmente pronti a riconoscere il sackem bianco se avesse avuto
tanta fortuna da sfuggire al tomahawh indiano.
Solamente uno si era accostato ai
combattenti, privo assolutamente di armi. Non doveva essere un guerriero,
poiché era gobbo e, se portava molte penne, portava pure molti monili formati
da denti di bestie feroci e da piccole vertebre di serpenti.
Testa di Pietra, che l'aveva scorto,
aveva subito detto al sackem, facendo atto di raccogliere la carabina:
«Chi è? Se è un uomo che tenta di
aiutarti, lo fucilerò.»
«È lo stregone della tribù,» rispose
Orso delle Caverne. «Non ha mai combattuto perché ha da fare ad intendersela
col Grande Spirito. Lascia pure il tuo fucile: quest'uomo non interverrà,
qualunque cosa debba accadere. Guarda: non ha che degli amuleti.»
«Va bene: sbrighiamoci, poiché comincio
ad avere freddo e non c'è nulla di meglio per scaldarci che scambiarci dei terribili
colpi. Vedremo fra pochi minuti chi sarà il sackem della tribù.»
«Pronto,» rispose Orso delle Caverne.
«Io ho ucciso più di venti uomini bianchi e non so quanti Irochesi ed
Algonchini. Sono invincibile.»
Testa di Pietra si tolse il berretto e
s'inchinò dicendo:
«Io sono commosso di dover misurarmi con
un uomo così formidabile. Saluto prima il vincitore, poiché più tardi non
potrei farlo.»
Aveva pronunciate quelle parole con voce
ironica. Il mastro cannoniere non era uomo da aver paura d'un indiano.
«Che mio fratello rosso getti lo scudo,»
disse. «Io non l'ho.»
«Mio fratello bianco ha ragione,»
rispose il sackem.
«Che mio fratello rosso getti anche il
coltello per scotennare, che io non possiedo.»
Il
sackem scagliò via l'uno e l'altro, poi fece tre passi innanzi, dicendo con
voce irosa:
«Tu chiacchieri come una squaw (donna).
Io a quest'ora avrei ucciso dieci uomini.»
«Bum!... Tu spari più forte dei pezzi da
trentadue della Tuonante. Quelli però ammazzavano delle schiere intere di
nemici, mentre la tua lingua non ha ucciso ancora alcuno. Forse il tuo
tomahawh.»
«Tu non mi credi un grande guerriero,
dunque?»
«Non così famoso come ti credi. Io sarò
un sackem ben più temibile e più ammirato di te.»
«Quanti nemici ha ucciso mio fratello
bianco?»
«Tanti da non ricordarmene più il
numero.»
«Io non ho veduto le capigliature dei
tuoi nemici.»
«Stupido!...» gridò Testa di Pietra.
«Sono un uomo bianco io e non un selvaggio che scotenna. Quando li ammazzavo
con i miei cannoni, li gettavo in mare in pasto ai pescicani. Era più spiccio.
Si può ora provarci, grande guerriero?»
«Hugh... Sarebbe ora!...»
«Aspetta un po'.»
Si levò la casacca di panno grossissimo,
foderata di pelle di lontra di fiume, se l'avvolse intorno al braccio sinistro
e fece tre salti di traverso coll'agilità d'un giovanotto, alzando l'ascia.
La neve cadeva sempre a larghe falde,
turbinando fra gli ululati del vento. La foresta tutta scricchiolava
orribilmente sotto i possenti urti delle raffiche che salivano dal Champlain,
perdendo rami a migliaia e migliaia.
Solamente un pellerossa ed un bretone
avrebbero potuto combattersi con quella notte orribile.
Il
sackem, avendo veduto Testa di Pietra spiccare tre salti, lo aveva subito
imitato, onde trovarglisi di fronte.
«Camerata, bada!...» gridò Piccolo
Flocco. «Noi fidiamo in te, ma guardati.»
«Io getterò a terra questo selvaggio,»
rispose il vecchio bretone. «Ha più paura di me, ve lo assicuro.»
Spiccò altri tre salti e piombò come un
fulmine addosso al sackem, il quale pareva veramente esitante e lo attaccò
furiosamente gridando:
«Mio fratello rosso prenda intanto
questo colpo d'ascia dell'uomo bianco. Sei già morto!...»
Le due scuri s'incontrarono sprizzando
scintille, ma nessuno dei due avversari cadde.
Il sackem aveva parata magnificamente la
botta che avrebbe dovuto spaccargli il cranio o sfondargli il petto.
«Orso delle Caverne è saldo in gambe,»
disse Testa di Pietra, gettandosi lestamente indietro. «Tu sei un grande
guerriero, però io sono più forte di te.»
«Basta, squaw!...» urlò l'indiano, il
quale aveva creduto di abbattere subito il suo avversario.
«Ah!... Io sono una donna...» gridò il
bretone. «È troppo!...»
Per la seconda volta si precipitò
addosso al sackem, tenendo alto il braccio sinistro difeso dalla grossa
casacca.
Sentì un urto che lo fece per un istante
traballare, poi attaccò con rabbia feroce.
Il tomahawh del sackem si era impigliato
fra le pieghe della casacca, che non era riuscito a tagliare completamente.
Testa di Pietra ne approfittò subito per
vibrare all'avversario un colpo mortale.
La
sua ascia scintillò un momento in aria, poi si sprofondò, con cupo rumore,
nella testa dell'indiano, rimanendovi infissa.
Piccolo Flocco, Jor ed i loro compagni
avevano mandato un gran grido:
«Vittoria!... Vittoria!...»
Testa di Pietra era balzato subito
indietro portando con sé il tomahawh del mandano ancora impigliato fra le
pieghe della casacca.
«Sì, gridate pure vittoria,» disse con
voce tuonante. «Ho ucciso il colosso.»
Orso delle Caverne, quantunque avesse il
cranio spaccato, era rimasto tuttavia ancora in piedi. Un largo getto di sangue
gli scendeva sul volto, misto a brani di materia cerebrale.
Brancolò un momento come un ubriaco,
agitando pazzamente le braccia, girò due volte su se stesso, poi stramazzò
pesantemente in mezzo alla neve, sprofondandovi quasi tutto dentro.
Lo stregone si era avvicinato a Testa di
Pietra, il quale stava infilandosi la casacca e gli disse:
«La profezia si è avverata.»
«Che profezia?» chiese il vecchio bretone.
«Lo stregone che mi aveva allevato e che
è morto molti anni or sono, aveva predetto che un giorno i Mandani avrebbero
avuto come sackem un vecchio dalla pelle bianca.»
«Si era sognato?»
«Grosso Ventre era un grande stregone
che parlava due volte al mese col Grande Spirito.»
«Ed il buon Manitou gli aveva detto che
un certo Testa di Pietra, venuto dai paesi lontani, sarebbe stato il sackem
bianco.»
«Così deve essere.»
«Sicché ora il capo della tribù sono
io.»
«Hai vinto il sackem rosso che tutti
credevano invincibile e tutti, da questo momento, ti obbediranno.»
«E se io rifiutassi una tale carica?»
«I guerrieri ti seguirebbero dovunque tu
andassi egualmente.»
«Quanti sono?»
«Più di cinquecento.»
«Tutti valorosi?»
«Abbiamo vinto più volte gli Algonchini
ed anche gli Irochesi.»
«Avete dei canotti?»
«La tribù ha i suoi wigwam su un fiume
che sbocca nel lago e non potrebbe fare a meno di avere dei galleggianti. Ne
possiede molti e capaci di contenere ognuno più di quindici persone.»
«È gelato il fiume?»
«Non ancora.»
«Farai mandare tutte quelle barche alla
foce del fiume. Ho da combattere degli uomini bianchi che montano delle navi.»
«Le case galleggianti?»
«Chiamale come vuoi, per me fa lo
stesso. Dirai ai guerrieri di accamparsi per ora, poiché non partiremo che dopo
la levata del sole.»
«Ed i tuoi compagni?»
«Per centomila campanili!... Vorresti
che li attaccassi al palo della tortura? Sono tutti miei parenti e valorosi. Il
sackem sono io e basta. Mi farò obbedire meglio di Orso delle Caverne. Non
avete intanto una tenda da mettere a mia disposizione?»
«Te la faremo innalzare subito, gran
sackem. Avrai anche fuoco, viveri e tabacco per te e per i tuoi parenti.»
Testa di Pietra indicò un grosso gruppo
di altissimi pini neri e gli disse: «Ti aspetto là sotto. Ne ho abbastanza di
questa neve. Dirai pure ai guerrieri di seppellire il loro defunto capo onde il
suo corpo non venga straziato dai rostri delle aquile bianche e dai falchi
pescatori o spolpato dai lupi. Ti aspetto.»
Raccolse la carabina, si appese alla
cintura il tomahawh che valeva quanto, e forse più, della sua ascia e coi
compagni si diresse rapidamente verso il gruppo di pini onde mettersi al
coperto dai turbini di neve che non cessavano un solo momento.
Cinque minuti dopo, venti guerrieri
guidati dallo stregone giungevano a gran corsa, portando sulle spalle dei
grossi rotoli di scorza di betulle e delle pertiche.
Gl'indiani canadesi non fanno uso di
tende di pelle. Il vero wigwam conico e così caratteristico che viene invece
usato da tutte le tribù dell'Ovest, è loro sconosciuto, eppure ogni anno
ammazzano un bel numero di bisonti, ma di quelle gigantesche pelli non si
servono che per tagliarsi dei mantelloni o come tappeti.
Danno la preferenza sempre alla scorza
di betulle o di olmo, che sanno levare con abilità straordinaria quasi tutta
d'un pezzo dai tronchi e che rendono leggerissima e pieghevole come tela. Anche
nelle spedizioni guerresche se ne portano via in grande quantità, onde
prepararsi delle capanne, essendo il clima canadese, specialmente il
settentrionale, assai freddo.
Piantano pochi pali, svolgono le pezze
che si adattano in qualche modo e si formano talvolta perfino delle vere
casette che però sono sempre aperte da un lato, onde lasciar sfogare il fumo.
I venti guerrieri in pochi minuti
alzarono una specie di tettoia, accesero un bel fuoco con rami di pino saturi
di resina, chiusero i tre lati onde la neve non potesse entrare troppo
liberamente e stesero al suolo delle gigantesche pelli di bisonte, che valevano
meglio di tutti i tappeti di Rabat o quelli non meno celebri dei fabbricanti
persiani d'Isphan o di Teheran.
Poco dopo, altri dieci guerrieri
entravano portando uno zampone di orso arrostito, dei lamponi conservati nello
zucchero estratto dagli aceri e delle gallette di frumentone.
«Finalmente abbiamo una casa,» disse
Testa di Pietra, congedando con un gesto maestoso tutti i guerrieri.
«Lasciatemi tranquillo ed affilate i vostri tomahawh, perché avremo ben presto
da combattere. Vada a riposarsi anche lo stregone, non avendo per ora bisogno
di lui.»
«Gran sackem,» disse un vecchio
guerriero, arrestandosi sulla soglia della capanna. «Chi dobbiamo nominare come
tuo sottocapo?»
«A questo pensateci voi. Scegliete il
più forte ed il più intelligente, ed ora lasciatemi mangiare.»
Tutti se ne andarono, scomparendo subito
fra i turbini di neve.
Testa di Pietra uscì dalla capanna, onde
essere ben certo che nessuno si fosse fermato al di fuori per sorprendere i
loro discorsi, abbassò una parte della tela d'olmo che doveva chiudere anche il
quarto lato dell'abituro, onde il vento non vi spingesse troppa neve, e si
sedette dinanzi al fuoco guardando i compagni. Non pensava più alla cena.
«Che cosa pensate voi di questa nomina
che fa d'un marinaio un capo di guerrieri selvaggi?» disse finalmente.
«Tu hai salvato tutti,» disse Piccolo
Flocco. «Se avessi rifiutato sarebbero stati capaci di attaccarti al palo della
tortura invece di affidare a te il totem della tribù.»
«Che cosa me ne faccio io di tutta
questa gentaglia che non pensa che a scotennare?»
«Ed il marchese lo hai dimenticato?»
«Ah!... testa di pietra piena invece di
mollica di pane,» disse il vecchio bretone ridendo. «In questo momento non mi
ricordavo più di lui e nemmeno della mia missione. Ma se è la mia fortuna
essere diventato gran sackem!... Con cinquecento uomini, valorosi senza dubbio,
si possono fare grandi cose e giungere anche a Ticonderoga, giacché possiamo
avere dei canotti. Vorrei sapere dove è scappato Riberac. Che sia andato in
cerca degli Irochesi per condurli qui?»
«È probabile,» disse Jor.
«Che cosa succederà allora se Irochesi e
Mandani sono nemici che si odiano a morte? Dovrò lanciare la mia tribù contro
gli Irochesi?»
«Qualche volta le tribù appartenenti a
diverse nazioni hanno sepolta la scure di guerra e dopo molti anni sono tornate
amiche,» disse il canadese. «Gli Uroni, per esempio, dopo aver combattuto
contro gli Irochesi per oltre un secolo, ora sono tranquilli e i sackem delle
due tribù hanno fumato il calumet della pace. Perché non potremmo noi ottenere
altrettanto? Con mille guerrieri potremmo dare del filo da torcere agl'inglesi
e salvare la guarnigione americana di Ticonderoga.»
«Uhm!... Fidatevi di questi uomini
rossi.»
«No, v'ingannate, sono più leali di
quello che credete.»
«Che cosa si decide?» chiese Piccolo
Flocco.
«Domani, succeda quello che si vuole,
noi scenderemo verso il Champlain e tenteremo intanto di catturare il
marchese.»
«Se sarà sbarcato.»
«Sono più che certo che la sua nave, se
non si è spaccata, si sarà almeno arenata. Si sparava troppo dal brigantino.»
«E se riuscissimo a prenderlo?»
«Lo manderemo a New York a farsi dare
un'altra stoccata dal suo fratello Sir William.»
«E chi lo condurrà?»
«Prima verrà con noi a Ticonderoga. Non
mi fiderei di farlo accompagnare dai miei guerrieri dal muso rosso. Quell'uomo
sarebbe capace di corromperli.»
«Non gli lasceremo indosso nemmeno una
ghinea.»
«Non mi fiderei. Saint-Clair ed Arnold
ci daranno una scorta più sicura. Che cosa dite voi, signor Oxford?»
«Che voi avete pienamente ragione,»
rispose il segretario del marchese.
«Ora si potrebbe ben mangiare un boccone
e schiacciare poi un sonnellino. Non si sta mica male dentro questa capanna di
scorza d'olmo. Riparano quanto le pelli. To'!... Che cosa suonano? I miei
guerrieri invece di riposarsi si mettono a danzare fra i turbini di neve?»
«Sono flauti che suonano a morto,» disse
Jor. «Si sta seppellendo il sackem.»
«Povero diavolo, mi rincresce di averlo
ucciso!... E d'altronde non potevo farne a meno,» disse Testa di Pietra. «Al
suo posto ci sarei io, mentre i bretoni devono campare fino all'estrema
vecchiaia. Mio nonno quando ha chiuso gli occhi aveva quasi cent'anni. Sono
ancora troppo giovane per andare a sparare delle cannonate all'inferno.»
«Con quei capelli grigi!...» disse
Piccolo Flocco. «E con quelle rughe!...»
«Non ho ancora un secolo e basta,»
rispose il vecchio bretone serio serio. «Sono ancora lesto come un gabbiere,
quantunque molte e molte primavere mi pesino sul groppone. Orsù, assaggiamo
questo zampone d'orso e vuotiamo le nostre ultime bottiglie. Guarda, Piccolo
Flocco, come sono diventati subito lucidi gli occhi dei due tedeschi, mentre
pareva che fossero lì lì per chiudersi. Hanno un appetito fenomenale questi
giovanotti. Fortunatamente ora abbiamo dei cuochi indiani che penseranno prima
a noi piuttosto che ai guerrieri.»
Avevano appena finito di mangiare quando
delle voci femminili si fecero udire dinanzi all'entrata della capanna.
«Chi viene a disturbare il sackem
bianco?» urlò Testa di Pietra, furioso. «Che non si possa stare un momento
tranquilli.»
«Ecco le mogli del sackem Orso delle
Caverne,» disse Jor. «Sono dodici almeno.»
«E che cosa vogliono da me?»
«Avete ucciso il loro sposo e dovrete
prendervele tutte.»
«Perché?»
«Così si usa fra i Mandani.»
«Io diventare il marito di dodici
donne!...» urlò Testa di Pietra.
«E se saranno così poche!» disse Jor.
«E dovrò tenerle tutte con me?»
«Certamente.»
«Le farò scappare a palle di neve.»
«Ed i guerrieri che rispettano le loro
donne, quantunque siano barbari, vi guarderebbero di traverso. Non vi consiglio
di usare nessun spregio verso le vedove di Orso delle Caverne.»
«Falle entrare. Voglio almeno conoscere
queste mie mogli che non ho mai sposate e che certamente mai sposerò.»
Jor alzò la tela che riparava il quarto
angolo della casa e non dodici, bersi tredici donne si fecero innanzi con
profondi inchini.
Le donne canadesi sono assai più belle
di tutte quelle che si trovano fra le tribù del Sud e del Ponente. Hanno tutte
un personale svelto, dei bellissimi occhi, assai mobili ed espressivi, dei
lineamenti piacevoli, dei capelli lunghissimi e molto neri e soprattutto una
bella bocca sempre pronta a sorridere dinanzi allo sposo.
Le vedove del sackem indossavano dei
costumi assai vistosi. Avevano casacche di pelle di camoscio ricamate,
portavano alte cinture di seta, cose piuttosto rare in quell'epoca nel Canada,
delle sottane di panno azzurro e mocassini di pelle bianca ricamati sui due
lati esterni a vari colori.
Erano tutte giovani e potevano piacere
ad un europeo.
«Corpo di una cannonata!...» esclamò
testa di Pietra, balzando in piedi. «Orso delle Caverne aveva tredici mogli!...
Quel numero gli ha portato sfortuna!... Se ne avesse sposato solamente dodici,
il suo tomahawh avrebbe forse spaccata la mia testa. Tredici!... Il punto di
Giuda!...»
Le guardò ad una ad una, mentre Piccolo
Flocco ed i due tedeschi ridevano a crepapelle, e si tirò la barba.
«Briccone di sackem!...» esclamò. «Non
era, dopo tutto, di cattivo gusto!...»
«Belline, è vero, mastro?» disse il
giovane gabbiere.
«Le vuoi tutte tu? Te le regalo.»
«Troppa abbondanza, camerata.
«E poi,» disse Jor. «non accetterebbero.
Sono le mogli del gran sackem dal viso non cotto e resteranno fedeli solamente a
lui.»
«Io non le voglio!...» urlò Testa di
Pietra. «Non mi sono mai imbarazzato con le donne né bianche, né negre, né
gialle, né olivastre, né rosse.»
«Eppure dovete ben tenervele, mastro, e
poi ne andrebbe di mezzo il vostro prestigio. Un gran sackem senza una dozzina
di mogli non sarebbe rispettato.»
Il vecchio bretone gettò via il berretto
e si grattò rabbiosamente la testa.
«Tredici donne!...» esclamò facendo un
gesto d'orrore. «Se potessi spedirle ai miei amici di Batz!...»
«Non vi andrebbero, ve lo assicuro, e
staranno sempre aggrappate ai vostri panni,» disse Jor.
«E che cosa vuoi che ne faccia io, corpo
di centomila campanili!...»
«Vi prepareranno i pasti, vi cuciranno
gli abiti...»
«Quali?... Ne ho uno solo, perché il mio
bagaglio è saltato insieme alla fusta.»
«Ve ne farete fare degli altri da loro
prima di rimanere in camicia.»
«Mi pare che tu mi burli, Jor,» disse
Testa di Pietra.
«Niente affatto. Sono le donne che vestono
i guerrieri, i quali non si occupano altro che dei loro ornamenti di penne e
dei loro colori per prepararsi la grande toeletta di guerra.»
«Camerata,» disse Piccolo Flocco, il
quale non aveva cessato di ridere, «non mostrarti più brutale d'un pellerossa.
Sono dieci minuti che queste disgraziate ti stanno dinanzi tremanti di freddo e
tu non hai detto loro nemmeno: accomodatevi. Dov'è la cavalleria francese? Si
faranno un pessimo concetto di noi tutti.»
«Io non ho conosciuto altro che la cavalleria
degli alberi,» brontolò il bretone.
«Mostrati un po' gentile ed offri loro
qualche cosa. Abbiamo ancora un po' di zampone, due prosciutti e dei
salsicciotti affumicati.»
«I salsicciotti li lascerai ai tedeschi.
Non possono farne a meno.»
«Dà loro i prosciutti»
«Incaricati tu di questo affare,» disse
il bretone, caricando la sua pipa. «E se si innamorassero poi di me?»
«Quale fortuna!...» esclamò Testa di
Pietra.
«Mi lasci carta bianca?»
«Ti considero già come il loro marito.»
«No, no, non ora. E poi tredici sono
troppe. Giacché me lo permetti, farò io gli onori di casa. Sarò il tuo aiutante
di campo.»
«Fa' quello che vuoi: lasciami fumare.»
Piccolo Flocco, aiutato da Jor, il quale
continuava pure a ridere, svolse dinanzi alle vedove una gigantesca pelle di
Bisonte, invitandole a sedersi ed a scaldarsi al fuoco.
Diede poi loro gli avanzi della cena, un
paio di prosciutti ed una bottiglia, l'ultima rimasta, e che Testa di Pietra
contava di vuotare lui anziché le donne. Jor aveva affettato gli zamponi di
maiale salato a larghi pezzi ed aveva aggiunto alcune gallette di granturco.
Le tredici vedove, prontamente
consolatesi della perdita del loro primo signore, assaltarono con voracità
quasi bestiale la cena, disputandosela perfino a colpi di unghie.
Orso delle Caverne doveva economizzare
assai sui viveri destinati alle sue donne.
«Che appetito!...» disse Piccolo Flocco,
il quale le guardava con curiosità tenendosi ritto dinanzi a loro colle mani
affondate nelle tasche. «Come potrei fare io a mantenerle tutte colla mia paga
di gabbiere? Alla larga!... Se le terrà Testa di Pietra.»
«Ehi, briccone, non sono sordo,» disse
il vecchio bretone, il quale fumava rabbiosamente avvolgendosi in una vera nube
di fumo assai acre. «Credi tu che un mastro cannoniere guadagni tanto da dare
da mangiare a tredici donne? Della mia mesata non mi rimaneva mai una ghinea.»
«Perché bevevi troppo.»
«Vattene al diavolo!... Non farmi
arrabbiare di più.»
«Ma qui non avete da spendere nulla, ve
l'ho già detto,» disse Jor. «Penserà a tutto la tribù.»
«E crederesti tu che io debba finire i
miei giorni sulle rive di questo lago, capo di una banda di selvaggi? Alla
prima occasione li pianterò tutti in asso e me ne tornerò sul mare a sparare
cannonate contro gl'inglesi.»
«Ti porterai via almeno le mogli,» disse
Piccolo Flocco.
«Vuoi farmi diventare un lupo idrofobo?
Lascia andare le mie donne, ché io non sono andato a cercarle. Se le prenderà
qualche altro sackem.»
«Sei poco gentile, Testa di Pietra.»
«Orso delle Caverne non lo sarà stato
più di me. Si può ora dormire? Domani, se la bufera sarà cessata, partiremo.»
Vuotò la pipa sul fuoco, si stese sulla
soffice pelle di bisonte mettendosi le braccia sotto la testa e chiuse gli
occhi.
Le tredici donne, vedendo il loro
signore riposarsi, credettero bene d'imitarlo. Forse la bottiglia di gin aveva
fatto un po' di effetto.
Piccolo Flocco chiuse bene la capanna e si
sdraiò a fianco del canadese. I due tedeschi ed il segretario del marchese
russavano già.
Al di fuori la bufera continuava a
ruggire, scuotendo la capanna, e la neve continuava a cadere.
Tutti dormivano profondamente da un paio
d'ore, quando il bretone, che aveva l'abitudine di dormire con un solo occhio e
gli orecchi bene aperti, fu bruscamente svegliato da due urla sorde.
«Corpo di centomila campanili!...»
esclamò, rizzandosi bruscamente. «Che non si possa dormire dunque questa notte?
Altro che i quarti di guardia a bordo della Tuonante!»
Per precauzione impugnò il tomahawh del
sackem, scavalcò il corpo dei suoi compagni, i quali continuavano a russare, e
si accostò all'entrata della capanna mettendosi in ascolto.
«Che io sogni o che sia ubriaco? Eppure
mi pare di essere ben sveglio, non ho bevuto che qualche bicchiere. Qui, dietro
questa tela, ci sono degli orsi.
«Che cosa brontoli, Testa di Pietra?»
chiese il giovane gabbiere il quale si era pure svegliato, solamente in quel
momento però. «Rimbrotti le tue tredici mogli? Lasciale dormire.»
«Vieni ad ascoltare, camerata,» disse il
vecchio bretone. «Le mie donne non c'entrano affatto. Si cerca di entrare nella
nostra casa.»
«Che i Mandani vengano ad accopparci?»
«Gl'indiani non centrano. Si tratta di
orsi.»
«Eh!... Vuoi spaventarmi?»
«So che hai anche tu coraggio da
vendere, quindi sarebbe inutile che mi ci provassi.»
«Come vuoi che degli orsi osino
assalirci in mezzo ad un accampamento guardato da cinquecento guerrieri?»
«Eppure io non devo ingannarmi,» disse
Testa di Pietra. «Odi? Questi sono fremiti che non si possono confondere con le
urla dei lupi o con i ruggiti dei giaguari.»
«Io credo che tu possa aver ragione,»
disse il giovane gabbiere armandosi precipitosamente d'una carabina. «Diamo
l'allarme?»
«Non spaventiamo le graziose mogli,»
rispose il vecchio bretone ironicamente. «Vediamo prima se per caso non ci
siamo ingannati.»
Si appese alla cintura il tomahawh, si
armò di un grosso ramo fiammeggiante, arma migliore contro le belve feroci che
attaccano di notte, poi strappò addirittura il pezzo di tela che serviva da
portiera.
Un grido di stupore gli sfuggì.
Dinanzi a lui stavano sdraiati i due
ultimi orsi di Aquila Bianca, semiaffondati nella neve, e, cosa ancora più
straordinaria, ognuno aveva appeso al collo uno dei quattro tamburi che Riberac
aveva messi a disposizione dei suoi amici e che nessuno aveva pensato più a
portarsi dietro, dopo la precipitosa ritirata.
«Corpo... d'una tromba sfiatata!» urlò
il bretone. «Sogno io?...»
«No, non sogni, come non sogno io,»
rispose Piccolo Flocco. «Questi sono proprio gli orsi di Aquila Bianca, i
compagni di Nicò.»
«Come si trovano qui?»
«Il loro padrone è morto e avranno
seguito le nostre tracce. Sai bene che ci dimostravano una certa affezione.»
«Pericolosa. Ci hanno infatti assaliti.»
«Perché Aquila Bianca li spingeva.»
«E questi tamburi? Sono due dei nostri.»
«Non possiamo ingannarci.»
«Chi li avrà appesi al loro collo?»
«Forse Aquila Bianca prima di morire.»
«Io non ci capisco nulla.»
«E veramente poco anch'io,» disse il
giovane gabbiere.
«Dobbiamo ammazzarli?»
«Tu hai detto che tuo nonno affascinava
gli orsi polari.»
«Così mi raccontava mio padre.»
«Forse anche tu possiedi nei tuoi occhi
un po' di quel fascino strano. Non sei suo nipote, tu?»
«E cosa vuoi che ne faccia di questi
animali?»
«Li condurremo con noi e quando non
avremo più viveri li mangeremo uno alla volta.»
«Forse tu hai ragione. Se li
ammazzassimo dovremmo regalare della carne anche ai Mandani, e domani non
avremmo più uno zampone.»
«D'altronde guarda come si mantengono
tranquilli. Si direbbe che aspettino da te una carezza o una parola
affettuosa.»
«No, piuttosto qualche suonatina,»
rispose il mastro ridendo. «Gli piace il rullo dei tamburi.»
«Ci penserà il signor Oxford ad
accontentarli. Quando il segretario picchiava le pelli degli asini
manifestavano una vivissima gioia, mentre non sapevano gustare le battute dei
due tedeschi. Guarda, guarda, come scuotono gli strumenti.»
I
due orsi si mantenevano affatto tranquilli, senza curarsi della neve che
minacciava di coprirli. Di quando in quando sbadigliavano lanciando fuori dei
fiati caldi e fetenti e tendevano il collo alzando i tamburi.
«Aquila Bianca li ha ammaestrati
meravigliosamente, non c'è che dire,» disse Testa di Pietra. «Ecco il vecchio
mastro cannoniere della Tuonante diventato capo di una tribù di selvaggi e
conduttore di orsi.»
«E con tredici mogli,» aggiunse
malignamente Piccolo Flocco.
«Stà zitto: non parlarmene.»
Si avvicinò ai due bestioni, due
splendidi orsi neri, ben grassi, che potevano gareggiare per altezza e peso coi
grizzly, e accarezzò loro il muso, poi li sbarazzò dei due tamburi.
I due orsi manifestavano la loro soddisfazione
con dei grugniti e, liberatisi dalla neve che li copriva, entrarono nella
capanna.
Il segretario del marchese e i due
tedeschi si erano già svegliati, mentre le vedove del sackem continuavano a
dormire placidamente, a breve distanza dal fuoco, sulla gigantesca pelle di
bisonte.
«Lasciate i fucili,» disse subito
Piccolo Flocco, vedendoli armare i cani. «Sono nostri amici. Sono i compagni di
Nicò I.»
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