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Giovanni Della Casa Rime IntraText CT - Lettura del testo |
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Come fuggir per selva ombrosa e folta se mover l’aura tra le frondi sente, o mormorar fra l’erbe onda corrente, così la fera mia me non ascolta; al primo suon talor de le parole ch’io d’amor movo: e ben mi pesa e dole, ma non ho poi vigor, lasso dolente, prende suo corso per selvaggia via, e dico meco: or breve certo lo spazio di mia vita fia.
Ella sen fugge, e ne’ begli occhi suoi nel suo da me partir, lasciando a’ venti quant’io l’ho a dir de’ miei pensier dolenti: né già viver potrei, se non che poi onde questa alma in tanta pena è torta, quasi giudice pio mi riconforta. Non che però ’l mio grave duol s’allenti; pietà trovar in quei begli occhi rei; ond’io le narro allora tutte le insidie e i dolci furti miei.
Né taccio ove talor questi occhi vaghi s’avien che l’aura lo sollevi e mova, e come il dolce sen mirar mi giova (non che l’ingorda vista ivi s’appaghi), dove ’l bel piè si scopra, anco non celo: così gli inganni miei conto e rivelo, né questo in tanta lite anco mi giova. ver’ la giudice mia sì dolci prieghi, ch’almen non mi si toglia dritta ragion, se pur pietà si nieghi?
Donne, voi che l’amaro e ’l dolce tempo di lei già per lungo uso saper devete, e i benigni atti e i feri, chiedete posa a i lassi miei pensieri, i quai cangiando vo di tempo in tempo; già mille volte in mia ragion deluso: sì m’ha ’l suo duro variar confuso, e ’l dolce riso, e quei begli occhi alteri ch’altrui prometton pace e guerra fanno. Né già di lei mi doglio, che ’n vita tiemmi con benigno inganno.
Pietosa tigre il cielo ad amar diemmi, procella il corso mio dubbioso face: onde talora il cor riposa e tace, talor ne gli occhi e ne la fronte viemmi ch’ogni mia prova in acquetarlo è vana. Allor m’adiro, e con la mente insana membrando vo che men di lei fugace a mezzo il corso, e se ’l buon tempo antico misera, o sasso; e lacrimando dico:
Or vedess’io cangiato in dura selce, come d’alcuna è scritto, quel freddo petto; e ’l viso e i capei d’oro, non vago fior tra l’erbe o verde alloro, ma quercia fatti in gelida alpe, od elce penser, dolce novella al core afflitto, contra quel che nel ciel forse è prescritto, recar potesse. Ahi mio nobil tesoro, la lingua e quel ch’i’ non detto ragiona: le devria freno, ed ei la scioglie e sprona.
Amor mia vita inforsa, e ben m’avveggio colpando, io stesso poi vario e vaneggio.
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