Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giovanni Della Casa
Rime

IntraText CT - Lettura del testo

  • LE RIME SECONDO LA STAMPA DEL 1558
    • XLVI
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

XLVI

Come fuggir per selva ombrosa e folta

nova cervetta sòle,

se mover l’aura tra le frondi sente,

o mormorar fra l’erbe onda corrente,

così la fera mia me non ascolta;

ma fugge immantenente

al primo suon talor de le parole

ch’io d’amor movo: e ben mi pesa e dole,

ma non ho poi vigor, lasso dolente,

da seguir lei, che leve

prende suo corso per selvaggia via,

e dico meco: or breve

certo lo spazio di mia vita fia.

 

Ella sen fugge, e ne’ begli occhi suoi

gli spirti miei ne porta

nel suo da me partir, lasciando a’ venti

quant’io l’ho a dir de’ miei pensier dolenti:

né già viver potrei, se non che poi

ritorna, e ne’ tormenti,

onde questa alma in tanta pena è torta,

quasi giudice pio mi riconforta.

Non che però ’l mio grave duol s’allenti;

ma spero, e ragion fôra,

pietà trovar in quei begli occhi rei;

ond’io le narro allora

tutte le insidie e i dolci furti miei.

 

taccio ove talor questi occhi vaghi

sen van sotto un bel velo,

s’avien che l’aura lo sollevi e mova,

e come il dolce sen mirar mi giova

(non che l’ingorda vista ivi s’appaghi),

e qual gioia il cor prova

dove ’l bel piè si scopra, anco non celo:

così gli inganni miei conto e rivelo,

né questo in tanta lite anco mi giova.

Deh chi fia mai che scioglia

ver’ la giudice mia sì dolci prieghi,

ch’almen non mi si toglia

dritta ragion, se pur pietà si nieghi?

 

Donne, voi che l’amaro e ’l dolce tempo

di lei già per lungo uso

saper devete, e i benigni atti e i feri,

chiedete posa a i lassi miei pensieri,

i quai cangiando vo di tempo in tempo;

so s’io tema o speri,

già mille volte in mia ragion deluso:

sì m’ha ’l suo duro variar confuso,

e ’l dolce riso, e quei begli occhi alteri

vòti talor d’orgoglio,

ch’altrui prometton pace e guerra fanno.

Né già di lei mi doglio,

che ’n vita tiemmi con benigno inganno.

 

Pietosa tigre il cielo ad amar diemmi,

donne, e serena e piana

procella il corso mio dubbioso face:

onde talora il cor riposa e tace,

talor ne gli occhi e ne la fronte viemmi

pien di duolverace,

ch’ogni mia prova in acquetarlo è vana.

Allor m’adiro, e con la mente insana

membrando vo che men di lei fugace

donna sentìo fermarsi

a mezzo il corso, e se ’l buon tempo antico

non mente, arbore farsi,

misera, o sasso; e lacrimando dico:

 

Or vedess’io cangiato in dura selce,

come d’alcuna è scritto,

quel freddo petto; e ’l viso e i capei d’oro,

non vago fior tra l’erbe o verde alloro,

ma quercia fatti in gelida alpe, od elce

frondosa, e ’l mio di loro

penser, dolce novella al core afflitto,

contra quel che nel ciel forse è prescritto,

recar potesse. Ahi mio nobil tesoro,

troppo inanzi trascorre

la lingua e quel ch’i’ non detto ragiona:

colpa d’Amor, che porre

le devria freno, ed ei la scioglie e sprona.

 

Canzon, tra speme e doglia

Amor mia vita inforsa, e ben m’avveggio

che l’altrui mobil voglia

colpando, io stesso poi vario e vaneggio.

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License