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Giovanni Della Casa Rime IntraText CT - Lettura del testo |
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XLVII Errai gran tempo, e del camino incerto misero peregrin molti anni andai con dubbio piè, sentier cangiando spesso, né posa seppi ritrovar giamai per piano calle o per alpestro ed erto, terra cercando e mar lungi e da presso: tal che ’n ira e ’n dispregio ebbi me stesso, e tutti i miei pensier mi spiacquer poi ch’i’ non potea trovar scorta o consiglio. Ahi cieco mondo, or veggio i frutti tuoi come in tutto dal fior nascon diversi! Pietosa istoria a dir quel ch’io soffersi, in così lungo esiglio peregrinando, fôra: non già ch’io scorga il dolce albergo ancora, ma ’l mio santo Signor con novo raggio la via mi mostra, e mia colpa è s’io caggio.
Nova mi nacque in prima al cor vaghezza, sì dolce al gusto in su l’età fiorita, che tosto ogni mio senso ebro ne fue; e non si cerca o libertate o vita, o s’altro più di queste uom saggio prezza, con sì fatto desio com’i’ le tue dolcezze, Amor, cercava; e or di due begli occhi un guardo, or d’una bianca mano seguìa le nevi, e se due trecce d’oro sotto un bel velo fiammeggiar lontano, o se talor di giovenetta donna candido piè scoprìo leggiadra gonna (or ne sospiro e ploro), corsi, com’augel sòle che d’alto scenda e a suo cibo vole. Tal fur, lasso, le vie de’ pensier miei ne’ primi tempi, e camin torto fei.
E per far anco il mio pentir più amaro, spesso piangendo altrui termine chiesi de le mie care e volontarie pene, e ’n dolci modi lacrimare appresi, e ’n cor piegando di pietate avaro vegghiai le notti gelide e serene, e talor fu ch’io ’l torsi; e ben convene or penitenzia e duol l’anima lave de’ color atri e del terrestre limo, ond’ella è per mia colpa infusa e grave: ché se ’l ciel me la diè candida e leve, terrena e fosca a lui salir non deve. Né pò, s’io dritto estimo, ne le sue prime forme tornar giamai, che pria non segni l’orme pietà superni nel camin verace, e la tragga di guerra e ponga in pace.
Quel vero Amor dunque mi guidi e scorga che di nulla degnò sì nobil farmi; poi per sé ’l cor pure a sinistra volge, né l’altrui pò né ’l mio consiglio aitarmi, sì tutto quel che luce a l’alma porga il desir cieco in tenebre rivolge. Come scotendo pure alfin si svolge stanca talor fera da i lacci e fugge, tal io da lui, ch’al suo venen mi colse con la dolce esca ond’ei pascendo strugge, tardo partimmi e lasso, a lento volo; indi cantando il mio passato duolo, in sé l’alma s’accolse, e di desir novo arse credendo assai da terra alto levarse: ond’io vidi Elicona, e i sacri poggi salii, dove rado orma è segnata oggi.
Qual peregrin, se rimembranza il punge di sua dolce magion, talor se ’nvia ratto per selve e per alpestri monti, tal men giv’io per la non piana via seguendo pur alcun ch’io scorsi lunge, e fur tra noi cantando illustri e conti. Erano i piè men del desir mio pronti, ond’io del sonno e del riposo l’ore dolci scemando, parte aggiunsi al die de le mie notti anco in quest’altro errore, per appressar quella onorata schiera. Ma poco alto salir concesso m’era. Sublimi elette vie, onde ’l mio buon vicino lungo Permesso feo novo camino, deh come seguir voi miei piè fur vaghi! Né par ch’altrove ancor l’alma s’appaghi.
Ma volse il penser mio folle credenza a seguir poi falsa d’onore insegna, e bramai farmi a i buon di fuor simile: come non sia valor, s’altri no ’l segna di gemme e d’ostro, o come virtù senza alcun fregio per sé sia manca e vile. Quanto piansi io, dolce mio stato umile, i tuoi riposi e i tuoi sereni giorni vòlti in notti atre e rie, poi ch’i’ m’accorsi che gloria promettendo angoscia e scorni dà il mondo, e vidi quai pensieri e opre di letizia talor veste e ricopre. Ecco le vie, ch’io corsi, distorte: or vinto e stanco, poi che varia ho la chioma, infermo il fianco, volgo, quantunque pigro, indietro i passi, ché per quei sentier primi a morte vassi.
Picciola fiamma assai lunge riluce, canzon mia mesta, e anco alcuna volta angusto calle a nobil terra adduce. Che sai, se quel pensero infermo e lento ch’io mover dentro a l’alma afflitta sento, ancor potrà la folta nebbia cacciare, ond’io in tenebre finito ho il corso mio, e per secura via, se ’l ciel l’affida, sì com’io spero, esser mia luce e guida?
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