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Giovanni Della Casa
Rime

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  • LE RIME SECONDO LA STAMPA DEL 1558
    • XLVII
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XLVII

Errai gran tempo, e del camino incerto

misero peregrin molti anni andai

con dubbio piè, sentier cangiando spesso,

né posa seppi ritrovar giamai

per piano calle o per alpestro ed erto,

terra cercando e mar lungi e da presso:

tal che ’n ira e ’n dispregio ebbi me stesso,

e tutti i miei pensier mi spiacquer poi

ch’i’ non potea trovar scorta o consiglio.

Ahi cieco mondo, or veggio i frutti tuoi

come in tutto dal fior nascon diversi!

Pietosa istoria a dir quel ch’io soffersi,

in così lungo esiglio

peregrinando, fôra:

non già ch’io scorga il dolce albergo ancora,

ma ’l mio santo Signor con novo raggio

la via mi mostra, e mia colpa è s’io caggio.

 

Nova mi nacque in prima al cor vaghezza,

sì dolce al gusto in su l’età fiorita,

che tosto ogni mio senso ebro ne fue;

e non si cerca o libertate o vita,

o s’altro più di queste uom saggio prezza,

con sì fatto desio com’i’ le tue

dolcezze, Amor, cercava; e or di due

begli occhi un guardo, or d’una bianca mano

seguìa le nevi, e se due trecce d’oro

sotto un bel velo fiammeggiar lontano,

o se talor di giovenetta donna

candido piè scoprìo leggiadra gonna

(or ne sospiro e ploro),

corsi, com’augel sòle

che d’alto scenda e a suo cibo vole.

Tal fur, lasso, le vie de’ pensier miei

ne’ primi tempi, e camin torto fei.

 

E per far anco il mio pentir più amaro,

spesso piangendo altrui termine chiesi

de le mie care e volontarie pene,

e ’n dolci modi lacrimare appresi,

e ’n cor piegando di pietate avaro

vegghiai le notti gelide e serene,

e talor fu ch’io ’l torsi; e ben convene

or penitenzia e duol l’anima lave

de’ color atri e del terrestre limo,

ond’ella è per mia colpa infusa e grave:

ché se ’l ciel me la diè candida e leve,

terrena e fosca a lui salir non deve.

Né pò, s’io dritto estimo,

ne le sue prime forme

tornar giamai, che pria non segni l’orme

pietà superni nel camin verace,

e la tragga di guerra e ponga in pace.

 

Quel vero Amor dunque mi guidi e scorga

che di nulla degnò sì nobil farmi;

poi per sé ’l cor pure a sinistra volge,

né l’altrui pò né ’l mio consiglio aitarmi,

sì tutto quel che luce a l’alma porga

il desir cieco in tenebre rivolge.

Come scotendo pure alfin si svolge

stanca talor fera da i lacci e fugge,

tal io da lui, ch’al suo venen mi colse

con la dolce esca ond’ei pascendo strugge,

tardo partimmi e lasso, a lento volo;

indi cantando il mio passato duolo,

in sé l’alma s’accolse,

e di desir novo arse

credendo assai da terra alto levarse:

ond’io vidi Elicona, e i sacri poggi

salii, dove rado orma è segnata oggi.

 

Qual peregrin, se rimembranza il punge

di sua dolce magion, talor se ’nvia

ratto per selve e per alpestri monti,

tal men giv’io per la non piana via

seguendo pur alcun ch’io scorsi lunge,

e fur tra noi cantando illustri e conti.

Erano i piè men del desir mio pronti,

ond’io del sonno e del riposo l’ore

dolci scemando, parte aggiunsi al die

de le mie notti anco in quest’altro errore,

per appressar quella onorata schiera.

Ma poco alto salir concesso m’era.

Sublimi elette vie,

onde ’l mio buon vicino

lungo Permesso feo novo camino,

deh come seguir voi miei piè fur vaghi!

Né par ch’altrove ancor l’alma s’appaghi.

 

Ma volse il penser mio folle credenza

a seguir poi falsa d’onore insegna,

e bramai farmi a i buon di fuor simile:

come non sia valor, s’altri no ’l segna

di gemme e d’ostro, o come virtù senza

alcun fregio per sé sia manca e vile.

Quanto piansi io, dolce mio stato umile,

i tuoi riposi e i tuoi sereni giorni

vòlti in notti atre e rie, poi ch’i’ m’accorsi

che gloria promettendo angoscia e scorni

dà il mondo, e vidi quai pensieri e opre

di letizia talor veste e ricopre.

Ecco le vie, ch’io corsi,

distorte: or vinto e stanco,

poi che varia ho la chioma, infermo il fianco,

volgo, quantunque pigro, indietro i passi,

ché per quei sentier primi a morte vassi.

 

Picciola fiamma assai lunge riluce,

canzon mia mesta, e anco alcuna volta

angusto calle a nobil terra adduce.

Che sai, se quel pensero infermo e lento

ch’io mover dentro a l’alma afflitta sento,

ancor potrà la folta

nebbia cacciare, ond’io

in tenebre finito ho il corso mio,

e per secura via, se ’l ciel l’affida,

sì com’io spero, esser mia luce e guida?

 




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