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Giuseppe Parini
Discorso sopra la poesia

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  • DISCORSO SOPRA LA POESIA
    • II
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II

 E per lasciare da un lato le dispute che si sono fatte per deffinire quest'arte, io credo, appoggiandomi all'autorità de' migliori maestri, esser la poesia l'arte d'imitare o di dipingere in versi le cose in modo che sien mossi gli affetti di chi legge od ascolta, acciocchè ne nasca diletto. Questo è il principal fine della poesia, e di qui ha avuto cominciamento.
 Da questa deffinizione appare che l'arte poetica non è già così vana come vogliono i suoi nemici; i quali, se questa vogliono condannare, condannar debbono egualmente la pittura, la statuaria e le altre consimili arti di puro diletto, le quali presso tutte le colte genti in sommo pregio si tengono, e per le quali mille valenti artefici si sono renduti immortali.
 Mi si potrebbe rispondere che il piacere che in noi vien prodotto dalla poesia non nasce già da motivi intrinseci a quella, ma dalla sola opinione, la quale, veggendo esattamente descritte le tali e tali cose secondo le regole che gli uomini hanno convenuto di stabilire a quest'arte, gode di vederle adempiute. Ma chi ben considera filosoficamente quest'arte e la natura del cuore amano, ben tosto s'avvede che non dall'opinione degli uomini, ma da fisiche sorgenti deriva quel piacere che dal poeta ci vien ministrato.
 Per rimanere convinto di ciò, egli è mestieri di prima riflettere a quanto sono per dire. Tutte le arti, che sono di un'assoluta necessità al viver dell'uomo, sono state comuni ad ogni tempo e ad ogni nazione, come sono l'agricoltura e la caccia. Ma, perciocchè l'uomo non solo ama di vivere ma eziandio di vivere lietamente, così non è stato pago di aver ciò solamente che il mantiene; ma ha procurato ancora ciò che il diletta. Adunque non solo le arti che sono assolutamente necessarie, ma quelle ancora che per loro natura e non per la sola opinione vagliono a dilettarci, sono state in ogni tempo comuni a tutte le genti: e si dee dire che questo, perciò appunto che son state sempre comuni ad ogni popolo, non per l'opinione che in ogni paese è diversa, ma per una reale impressione, che tuttavia, e di lor natura, fanno sopra il cuor nostro, vengano a recarci diletto.
 Tanto più universali sono poi state sempremai quelle arti dilettevoli al soccorso delle quali non bisognano stranieri mezzi, ma la mente basta, o gli organi dell'uomo stesso: perciò comuni a quanti popoli abitano la superficie della terra furon sempre il canto, la danza, e, nulla meno di queste, la poesia.
Cominciando dagli Ebrei fino agli ultimi popoli della terra, tutti quanti hanno avuto i loro poeti. parlo io solo delle nazioni ch'ebber riputazione delle meglio illuminate, ma delle barbare ancora, anzi delle selvagge, presso alle quali non pur veruna scienza, ma niuna delle belle arti è fiorita giammai. Ci rimangono ancora memorie o graziosi frammenti della poesia degli antichi Galli, de' Celti e degli Sciti. Lungo sarebbe chi parlar volesse delle poesie degli Arabi, de' Turchi, de' Persiani, degl'Indiani, delle quali molte veder possiamo tradotte nella lor lingua dagl'Inglesi e da' Francesi. È pur conosciuta da' viaggiatori la poesia della China, del Giappone, de' Norvegi, de' Lapponi, degl'Islandesi, che in materia di furore poetico sono fra gli altri popoli singolari. Fino a' selvaggi dell'America, che non hanno verun culto di religione, conoscono la poesia.
 Questa sola universalità adunque di essa, siccome dimostra non esser la poesia una di quelle arti che dall'uno all'altro popolo si sono comunicate, ma che sembra in certo modo appartenere all'essenza dell'uomo; così a me par bastevole per se medesima a dimostrare che un vero, reale e fisico diletto produca la poesia nel cuore umano; non potendo giammai essere universale ciò che non è per bene, ma soltanto lo è relativamente.
 Ma io odo interrogarmi: E in che consiste egli adunque e d'onde nasce cotesto piacere o diletto, che in noi produce la poesia?




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