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Giuseppe Parini
Discorso sopra la poesia

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  • DISCORSO SOPRA LA POESIA
    • IV
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IV

 

Egli è adunque certissimo che la poesia è un'arte atta per se medesima a dilettarci, coll'imitar ch'ella fa della natura e coll'eccitare in noi le passioni ch'ella copia dal vero. E questo è un pregio non vano, non ideale, non puerile dell'arte stessa.
 Le si aggiungono nondimeno altri pregi non manco reali di questo. La versificazione, lo stile, la lingua e simili, che formano la parte meccanica di lei, non meritano meno d'esser considerate; ma noi per ora le tralasceremo, bastandomi che sia chiaro come la poesia abbia facoltà di piacerne per via del sentimento, ch'è la parte più nobile, anzi l'anima e lo spirito di quest'arte.
 Che se altri richiedesse se la poesia sia utile o no, io a questo risponderei ch'ella non è già necessaria come il pane, utile come l'asino o il bue; ma che, con tutto ciò, bene usata, può essere d'un vantaggio considerevole alla società. E, benchè io sia d'opinione che l'instituto del poeta non sia di giovare direttamente, ma di dilettare, nulladimeno son persuaso che il poeta possa, volendo, giovare assaissimo. Lascio che tutto ciò che ne reca onesto piacere si può veramente dire a noi vantaggioso; conciossiachè, essendo certo che utile è ciò che contribuisce a render l'uomo felice, utili a ragione si posson chiamare quell'arti che contribuiscono a renderne felici col dilettarci in alcuni momenti della nostra vita.
 Ma la Poesia può ancora esser utile a quella guisa che utili sono la religione, le leggi e la politica. E non in vano si gloriano i poeti che la loro arte abbia contribuito a raccoglier insieme i dispersi mortali sotto le graziose allegorie d'Anfione e d'Orfeo. Omero ha pure insegnato, molto imperfettamente bensì, ma pure quanto era permesso alla sua stagione, la condotta delle cose militari, e i primi capitani della Grecia hanno fatto sopra l'Iliade i loro studii; di che mi possono essere buoni testimoni Platone, Aristotele, Plutarco ed altri autori. sono da dimenticarsi i cantici militari di Tirteo, che infiammarono e spinsero alla vittoria gli sconfitti Spartani, e che per pubblico decreto cantavansi in ogni guerra dinanzi alla tenda del capitano. Esiodo ha insegnata l'agricoltura, ed altri altre arti o sia fisiche o sia morali.
 Egli è certo che la poesia, movendo in noi le passioni, può valere a farci prendere abborrimento al vizio, dipingendocene la turpezza, e a farci amar la virtù, imitandone la beltà. E che altro fa il poeta che ciò, collo introdurre sulla scena i caratteri lodevoli e vituperevoli delle persone? Per qual altro motivo crediamo noi che tanto ben regolate repubbliche mantenessero dell'erario comune i teatri? solamente per lo piccolo fine di dare al popolo divertimento? Troppo male noi penseremmo delle saggie ed illuminate menti de' loro legislatori. Il loro intento si fu di spargere, per mezzo della scena, i sentimenti di probità, di fede, di amicizia, di gloria, di amor della patria, ne' lor cittadini; e finalmente di tener lontano dall'ozio il popolo, in modo che non gli restasse tempo da pensare a dannosi macchinamenti contro al governo, e perchè, trattenuto in quelli onesti sollazzi, non si desse in preda de' vizii alla società perniciosi. Ciò ch'io ho detto de' componimenti teatrali, si può dir colla debita proporzione ancora d'ogni altro genere di poesia.
 Se la poesia dunque è tale, come io, scorrendola per varii capi, ho dimostrato, e come a chi spassionatamente la esamina dee comparire, onde proviene che a' di nostri, e spezialmente in Italia, incontra tanti disprezzatori? Se io ho a dire la verità, io temo che ciò proceda non già dal difetto dell'arte, dei valenti coltivatori di essa.
 Per bene avvederci dell'origine di questo disprezzo prendiamone un esempio dalla medicina. Questa scienza ha forse ora tanti contradditori e tanti disprezzatori quanti ne ha la poesia. Niuna cosa è più facile dell'asserire che una persona ha il tal male, dello scrivere una ricetta ; così nulla è di più agevole che il misurare alcuno parole e il chiuderlo In uno spazio determinato. Quindi è che al mondo si trovano tanti ciarlatani, che di medico il nome si usurpano o loro si concede gratis, e tanti versificatori che da assumono il nome di poeta, o loro per certa trascuraggine vien conceduto dalla moltitudine, che non pensa più oltre.




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