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Giuseppe Parini
Discorso sopra la poesia

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  • DISCORSO SOPRA LA POESIA
    • III
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III

 Se noi ricorriamo all'origine di quest'arte, egli è certo che non altronde che da un dolce e forte affetto dell'animo debb'esser nata, siccome da un dolce e forte affetto dell'animo debbono esser nate la musica e la danza. La benefica natura ha dato all'uomo certi segni, sempre costanti ed uniformi in tutti i popoli del mondo, onde poter esprimere al di fuori il dolore o il piacere. Tutti i popoli sospirano, piangono, gridano, allorchè provano un'affezione che dispiace alla lor anima; e tutti i popoli egualmente saltano, ridono, cantano, allorchè provano un'affezione che alla loro anima piace. Per mezzo di questi segni la medesima passione che agita l'uno, fa passaggio al cuore dell'altro che n'è spettatore; e a misura che questi più o men teme, o più o meno spera la cagione del piacere o del dispiacere del compagno, ne viene più o meno agitato. L'anima nostra, che ama di esser sempre in azione e in movimento, niente più abborre che la noia; e quindi è che volentieri si presenta a tutti gli oggetti che senza suo danno metter la possano in movimento; e, qualora non ha occasione di dover temere per sè, sente piacere così de' lieti come degl'infelici spettacoli. Per questa ragione è che i Romani non provavano minor gioia dall'essere spettatori de' giuochi florali, dell'ovazione, e de' trionfi, che del combattimento de' gladiatori. Il che proveremmo noi medesimi se la religione non avesse più raddolciti i nostri costumi, se la carità non ci facesse tener per una parte di noi medesimi que' meschini che già venivano sagrificati al diletto del popolo, se le nostre leggi non ci facessero abborrire in tali spettacoli l'ingiustizia; e se finalmente il tempo non ce ne avesse disavvezzati. Bene il proviamo nondimeno negli altri spettacoli, quantunque infelici, ove non concorrano questi motivi. Chi è di noi che non senta, misto alla compassione, anello il piacere al veder di lontano una battaglia, un vascello nella burrasca, un incendio o la morte d'un giustiziato? Perchè crediamo noi che tanto popolo accorra a somiglianti spettacoli? E non ci diletta egualmente, come l'aspetto d'una deliziosa e fiorita collina, l'ispido, il nudo, il desolato, l'orrido d'una montagna, d'un diserto, o d'una caverna?
 Ora, que' primi uomini che a ragionar si posero sopra le cose, osservato avendo che così i segni del dolore come que' del piacere recan diletto a chi li mira, eccitando ne' cuori le stesse passioni, non fino a quel grado però che le sentiva colui onde primamente provengono i medesimi segni, si diedero ad imitarli, giudicando che l'imitazione, quanto s'allontanerebbe dalla cagion del dolore, tanto s'avvicinerebbe al puro e solo piacere.
 Così essi applicaronsi ad imitare le giaciture e i movimenti del corpo dell'uomo appassionato, e ne composere il ballo; le diverse modulazioni della voce, e ne fecero la musica; i sentimenti e le parole, e ne nacque la poesia.
 Come però i segni dell'uomo appassionato sono sempre più veementi, più forti e, per così dir, più scolpiti che non son quelli dell'uomo che trovasi in calma, così riescono tali le parole e l'espressioni. Quindi è che la poesia ha un linguaggio diverso da quello della prosa, che esprime più arditamente e più sensibilmente i nostri pensieri, e vien sostenuto dalle immagini e da certi tratti più vivaci e lampeggianti: in guisa che corre tra il linguaggio della prosa e quello della poesia lo stesso divario che corre tra l'uomo che riflette e discorre, e tra l'uomo ch'è commosso ed agitato, le cui Idee sogliono essere più rapide e, per così dire, dipinte a più sfacciati colori. Perciò il linguaggio della poesia è così naturale come quel della prosa; e quindi è che sì l'uno come l'altro sono sempre stati comuni ad ogni nazione.
 Da questa teorica, che forse può parer troppo lunga, ma ch'è, al mio credere, necessaria per ben capire che cosa sia l'arte poetica, facilmente altri può dedurre se sia o no vero e reale diletto, o se dalla sola opinione dipendano o no que' dolci movimenti d'ira, di nausea, d'abbominazione, d'orrore, d'amore, d'odio, di tèma, di speranza, di compassione, di sospetto, di disprezzo, di maraviglia, che pruova nel suo cuore colui che assiso nella platea vede da eccellenti attori rappresentarsi la Merope, o che in un'amabile solitudine osserva gli effetti sempre diversi dell'illustre amante di Laura, i sublimi capricci e grotteschi di Dante, le gelosie di Bradamante, le lusinghe d'Alcina, i furori di Rinaldo, le tenerezze d'Erminia, e simili.




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