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Giuseppe Parini
Discorso sopra la poesia

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  • DISCORSO SOPRA LA POESIA
    • V
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V

 Basta che un giovine sia pervenuto a poter presentarvi una cattiva prosa frastagliata in versi, che, più non pensando alla preziosità che la pietra richiede, commendiamo qualunque vile selce o macigno, perchè il maestro ha saputo segarlo. Noi non istiamo ad esaminare se l'artefice di quella pietra ci abbia saputo formare una Venere degna d'esser collocata in una reale galleria, ovveramente un passatoio o un termine da piantarsi a partire il campo di Damone da quello di Tirsi.

Son come i cigni anco i poeti rari,
Poeti che non sien del nome indegni
,
(Orlando Furioso XXXV, 33.)

disse già l'Ariosto. Eppure noi veggiamo tuttodì uscir delle scuole un numero di gioventù che con quattro sonetti pretende di meritarsi il nome di poeta, e si trova chi loro il concede. Una mediocre osservazione della gramatica, la legittimità delle rime, un pensiero che non sia affatto ridicolo bastano per far sì che ogni monaca che si seppellisce, che ogni moglie che becca un marito, che ogni bue che prenda la laurea, ricorrano a voi. Sì tosto che soli quattordici de' tuoi versi possono ottener l'onore d'essere ammessi in una raccolta, eccoti diventato poeta.
 Le scuole pubbliche istesse contribuiscono a disonorare la poesia. Non contento, chi lor presiede, d'insegnar male le arti che servir debbono d'introduzione al viver civile, si sbraccia nel volere che gli scolari diventino poeti. E perchè questo mai? E a che può bisognare nel mondo ad un giovine un'arte ch'è di puro piacere? perchè adunque non si ammaestra quivi ancora la gioventù nella musica e nella pittura? Frattanto ecco il danno che ne proviene. Si fa perdere per qualche anno la metà della giornata ai giovani che sono quivi adunati, in una inutile o seccagginosa occupazione. Molti di essi, che hanno dalla natura qualche disposizione maggiore al verseggiare, trascurano il più importante dell'eloquenza, e, invaghiti di se medesimi, da se stessi si applaudiscono; un puerile amore di gloria gli accende; e, qualora escano dall'erudito ginnasio, innamorati de' vezzi della poesia ma senza bastevoli doti da poterne godere giammai, odiando ogni scienza ed ogni arte necessaria al viver civile, rimangono a carico de' lor genitori, si rendono ridicoli a' lor compagni meglio consigliati, e, se mai producono alcuna cosa, servono di trastullo alle persone o si assicurano le fischiate della posterità.
 Questo gran numero di verseggiatori, adunque, è la cagione per cui da molte altronde savie persone viene in sì piccol conto tenuta la poesia. Nè meno cooperano a ciò molti, per altro valorosi, rimatori, i quali vengono ammirati bensì, ma non piacciono.
 Il poeta, come si può dedurre da quel che di sopra abbiamo detto della poesia, dee toccare e muovere; e, per ottener ciò, dee prima esser tócco e mosso egli medesimo. Perciò non ognuno può esser poeta, come ognuno può esser medico e legista.
 Non a torto si dice che il poeta dee nascere. Egli dee aver sortito dalla natura una certa disposizione degli organi e un certo temperamento che il renda abile a sentire in una maniera, allo stesso tempo forte e dilicata, le impressioni degli oggetti esteriori; imperocchè come potrebbe dilicatamente o fortemente dipingerli ed imitarli chi per un certo modo grossolano ed ottuso le avesse ricevuto?
 La poesia che consiste nel puro torno del pensiero, nella eleganza dell'espressione, nell'armonia del verso, è come un alto e reale palagio che in noi desta la maraviglia ma non ci penetra al cuore. Al contrario la poesia che tocca e muove, è un grazioso prospetto della campagna, che ci allaga e ci inonda di dolcezza il sono.
 Ora che dovremo dire della nostra presente poesia italiana? Infinite cose ci sarebbero a dire. Ma perciocchè il tempo è venuto meno al buon volere, permettetemi ch'io rimetta ad altra occasione li discorrervene a lungo. Frattanto io spero che verrà a ragionarvi meglio di me, e di più importanti cose che queste non sono, qualche altro degli Accademici, cui l'esempio dell'abate Soresi e di me abbia rianimato a continovare un esercizio, che ci può essere nello stesso tempo utile e piacevole, quale è questo delle Lezioni private: di maniera che, se noi non vi abbiamo giovato o dilettato col recitarvi le cose nostre, possiam lusingarci almeno di averlo fatto coll'eccitamento datovi, acciocchè, ogni mese almeno, ci trattenghiate con qualche vostro lavoro.




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